Archive for gennaio, 2011

per una brocca d’acqua

Posted by Rachele on gennaio 28, 2011
testimonianze / 1 Commento

E’ una bella mattina di sole quando le donne della famiglia si recano al serbatoio d’acqua in cima alla collina. Ma qualcuno vede in questa madre e i suoi figli un obiettivo militare, come se fosse così difficile distinguere una famiglia afgana da un gruppo militari armati… e così parte il missile con il suo carico di morte e distruzione e nel giro di un attimo distrugge una famiglia. Due bambini muoiono sulla collina, la madre e 4 figli vengono trasportati all’ospedale di Emergency.
Tre sorelle dai 5 ai 10 anni appaiono subito molto gravi. La più piccola è in coma perché i frammenti dell’esplosione le sono penetrati in testa e nell’addome, le due più grandi sono in shock per i frammenti penetrati nel torace e nell’addome.
Comincia la solita corsa in sala operatoria per cercare di strappare alla morte chi è troppo giovane per morire così, per una brocca d’acqua in una bella giornata di sole… Si mobilitano i chirurghi, si attivano gli anestesisti, il laboratorio per il sangue. Le tre sorelle vengono operate: una per una toracotomia d’urgenza, l’altra all’addome e la terza per un intervento alla schiena nel tentativo di evitarle la sedia a rotelle a vita. I frammenti dell’esplosione sono anche penetrati nelle gambe e nelle braccia delle tre bimbe e i chirurghi con pazienza rimuovono i tessuti distrutti e le schegge.
Le due ragazzine più grandi si svegliano nella terapia intensiva di Kabul, si guardano intorno, chiedono della madre, anche lei ricoverata nel nostro ospedale, chiedono quell’acqua che è quasi costata loro la vita. Fa pena vederle così tutte e tre, nei grossi letti, con flebo, pompe, cannule ovunque perché i bambini non dovrebbero stare in un letto di ICU, ma giocare con gli aquiloni sotto il cielo di questo paese… Invece una di loro non correrà mai più dietro agli aquiloni colorati perché le schegge le hanno lesionato il midollo e quello che la aspetta d’ora in poi è la vita di una paraplegica a soli 10 anni, per sempre…
Per due giorni la più piccola delle sorelle rimane attaccata al ventilatore, in coma farmacologico per dare tempo al suo cervello di riparare i danni del trauma. Il terzo giorno proviamo a svegliarla e per quelle strane risorse che solo i bambini hanno, la bimba si sveglia, respira bene, apre gli occhi di nuovo a quel mondo che le ha finora concesso molto poco… Non parla ma si guarda intorno, afferra il dito dell’infermiere per portarselo alla bocca e poi la siringa per bere. E’ una bella piccola bambina, con gli occhi pieni di vita e i capelli rossi per l’ennè che qui si usa specie dopo il Ramadan per colorare mani e capelli.
Non sappiamo chi ha lanciato il missile, né ci interessa saperlo perché per noi la guerra sono solo i nostri pazienti, soprattutto questi bambini che hanno avuto la sfortuna di nascere qui e che imparano cosa è la morte e la sofferenza prima ancora di imparare a camminare. Ed è per loro che Emergency è qui e che continua con i suoi medici e infermieri a dare una speranza di vita e di futuro a tutte le vittime di guerra.

Rachele

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amami, Alfredo

Posted by blue dolphin on gennaio 19, 2011
cronache / 5 Commenti

Alfredo ha 55 anni, una moglie simpatica e una figlia adolescente.
E’ ricoverato in rianimazione da oltre 3 mesi, battendo svariati record provinciali e regionali. Ha all’attivo una fibrosi polmonare occupazionale, una cardiopatia dilatativa, uno shock settico e due arresti cardiaci, da cui il meritato nomignolo di Highlander. A vederlo, soprattutto quando è in buona, non lo diresti… certo, le masse muscolari sono solo un vago ricordo, la crymine lo ha indebolito tanto da renderlo quasi incapace di parlare, tanto che la cannula fonatoria giace spesso inutilizzata nell’apposita scatolina e il colorito non è dei più sani, ma in realtà il nostro eroe è stato dichiarato dimissibile da settimane. Eppure anche stanotte è qui. Eccoci all’annoso problema: quei fantasmi dei “reparti a bassa intensità di cure” che, a quanto pare, esistono solo sulla carta, anche in questa regione così figa dal punto di vista sanitario (dicono…). Nei fatti, nessuno è in grado di prendersi cura di Alfredo, della sua tracheostomia e del suo ventilatore domiciliare, come i molteplici e spesso drammatici tentativi di trasferimento hanno dimostrato: Alfredo è sempre tornato al mittente, talvolta ripreso per i capelli, con un’espressione allucinata e colpevolizzante del tipo “ma dove accidenti mi volevate mandare?? vi sembro uno da corsia?”. Perplessità comprensibili, ma… che fare? Con tutto il bene che ti vogliamo, Alfredo, dove ti mettiamo? La soluzione è per ora una lunga lista d’attesa in una “struttura speciale”. Nessuno sembra veramente convinto e l’attesa sta diventando secolare, ma se qualcuno ha un’idea migliore, batta un colpo per favore.
Per il momento, insomma, il Nostro resta in famiglia. E non si limita a governare il proprio box, ma da lì ci sorveglia tutti, reclama le nostre attenzioni battendo le mani (gli facciamo il verso: “cameriere, il conto!” e lui ci risponde con un garbato segno dell’ombrello) e commenta con pollice verso l’arrivo dei medici che gli stanno antipatici (non ho ancora capito cosa diamine pensi di me…). Non solo: dal proprio trono giudica, con inequivocabili espressioni del volto, l’arrivo degli altri pazienti, in un turnover che – per fortuna – gli porta dei vicini di casa nuovi quasi ogni giorno. Sembra una zitella inacidita che osservi il via vai di gente dal balcone: faccia indifferente, forse un po’ snob, per i banali postoperati; espressione mesta per i neurolesi; disgusto per i politraumi; rassegnato scuotimento del capo per chi secondo lui non ce la farà… e c’è da dire che è diventato più bravo di qualunque score multiparametrico!
Ma quello che veramente lascia esterrefatti è guardarlo mentre si gestisce le proprie invasività: si aggiusta le medicazioni del cvc che non lo convincono e quando gli gira, scelto il sondino più opportuno, si broncoaspira con gusto le secrezioni, dopo aver sconnesso con attenzione il circuito dalla tracheo. Uno spettacolo! Intendiamoci, nessuno gli ha mai chiesto di farlo. Ma lui è ostinato e ci si impegna, un po’ per sentirsi autonomo, un po’ perchè forse si annoia; e poi, insomma… credo che lo farei anch’io al suo posto. La tracheo è mia e la gestisco io!
Il suo stato psichico è spesso un problema. E’ difficile immaginare di passare 3 mesi in una rianimazione, 2 dei quali in piena coscienza: perdi la consapevolezza della notte e del giorno, i tuoi ritmi circadiani si confondono col cambio turno degli infermieri, sei condannato ad un inquinamento acustico spesso assordante e soprattutto aspetti senza sapere bene cosa, quando e soprattutto perché. L’assistenza psicologica e la terapia antidepressiva qualcosa fanno, ma spesso Alfredo si scoraggia, a volte piange, a volte sillaba con le labbra “tanto muoio”; a volte invece per fortuna si arrabbia, ti manda a fanculo senza motivo e poi sembra stare decisamente meglio.
La sera, dopo che sua moglie se ne va, è il momento della tv. Non ne ha sempre voglia. Spesso scrive sulla sua lavagna “ma perchè paghiamo il canone?”. Sempre lucido, senza dubbio…
Stasera sono reperibile e mi hanno incastrato. Tra 20 minuti vado in sala. Ho mangiato qualcosa e ci sarebbe giusto il tempo di guardare un po’ della mia telenovela preferita. Sia ben chiaro, non che io la guardi spesso, ma ogni tanto, per svagarmi un po’… e poi stasera Angela e Franco si dovrebbero rimettere insieme, è un puntatone. Mi affaccio nel box di Alfredo, aria assente e depressa: “che guardi?”. Scuote la testa con indifferenza. “Ti scoccia se cambio?”. Fa spallucce. Mi appoggio al letto, monopolizzo il telecomando e seguo rapita le commoventi scene d’amore-vendetta-ritorni di fiamma, dimenticandomi quasi del mio ospite, che comunque non si ribella alla cosa. Dopo un po’ si affaccia il collega di guardia, il vice-capo: “ma tu non dovevi andare in sala? e che è sta roba trash che guardate??”. Mi sveglio dalla trance e davanti al mio serissimo Responsabile, un po’, sinceramente, mi vergogno. Ed ecco l’idea geniale e perversa: “Facevo compagnia ad Alfredo…il programma l’ha scelto lui!”. Gli faccio l’occhiolino e scappo in sala, mentre lui scuote la testa in segno di profonda disapprovazione. Tanto la fonatoria non ce l’ha neanche stasera, non farà la spia…

Blue Dolphin

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notti di guardia

Posted by Gaddo on gennaio 10, 2011
cronache / 2 Commenti

Ore 19.45. Entro in ospedale in fretta e con una punta di rimorso: avrei voluto arrivare prima per mandare a casa il mio collega della guardia pomeridiana, ma non ce l’ho fatta. Fra i saluti ai bambini, una cena ultrarapida con piatto unico che farà le veci del cenone di capodanno e il caricare tutto in auto, non ce l’ho proprio fatta.
Ore 20. Faccio il mio ingresso trionfale in PS. In sala d’attesa radiologica c’è gente, e io non credo ai miei occhi: fra poco cominciano i festeggiamenti e le danze, non riesco a trovare motivi per una presenza così assidua e affezionata al pronto soccorso. E infatti non la trovo nemmeno quando comincio a refertare esami: dolori alla spalla da settimane, distorsioni di cinque giorni prima, dolori al petto in giovani ventenni ansiosi. Mi chiedo cosa stia succedendo, nel mondo in generale e in questo paese in particolare.
Ore 20.43. Mi chiama l’ortopedico di guardia e mi comunica che alle ventidue e trenta, urgenze permettendo, ci si vede su da loro in reparto per una bicchierata e un taglio di panettone. Io dico che ci sarò, salvo sorprese, e lui cala l’asso: Ho una paziente in reparto che respira male, l’ha vista la geriatra di guardia e dice che può essere un’embolia polmonare. Embolia polmonare, come no. Non so perché, ma dal tono di voce del mio collega inferisco l’estrema improbabilità statistica che si tratti di embolia. Potrei scommetterci un intero mese del 2011.
Ore 21.05. In Tac. La paziente dell’ortopedia non ha l’embolia polmonare, è ufficiale. Il mio mese del 2011 è salvo.
Ore 21.30. Porca miseria, mi sono accorto di aver dimenticato l’Ipod a casa. Bene: notte dell’ultimo dell’anno senza nemmeno un po’ musica. Che culo.
Ore 21.44. Mi telefona una cara amica: Non è che per caso sei di guardia stanotte? Perché mia figlia ha appena ingoiato una batteria. Portala subito qui, le dico.
Ore 22.05. Mi richiama l’ortopedico: c’è una donna che si è buttata giù da un balcone non troppo alto, non è riuscita nel suo intento ma in compenso si è fatta molto male. Serve una Tac del bacino perché secondo lui le radiografie non sono chiare. Io mi chiedo perché mai le persone aspettino le feste comandate per arrecarsi danno: se per una inclinazione irreversibile legata alla malinconia delle feste in solitudine o se per farla pagare a chi invece le feste se le sta godendo alla faccia di chi minaccia il suicidio. Forse entrambe le cose insieme. Nessuna delle quali, a mio modesto parere, giustifica la conclusione di ritrovarsi in un triste letto dell’ortopedia con il bacino fracassato. Se proprio vuoi ammazzarti, insegna il saggio, meglio scegliere un piano abbastanza elevato.
Ore 22.30. Arriva la mia amica con la bimba, in un felice istante lavorativo in cui fuori non c’è nessuno che aspetta. Facciamo la radiografia alla bimba in un istante e la batteria c’è per davvero. La rispedisco in pediatria, mi richiameranno loro per discutere il caso.
Ore 22.55. Incredibile, qui fuori c’è ancora gente che aspetta. Mi ero portato il PC portatile per scrivere qualcosa, ma non riesco a staccarmi dalla consolle del PACS. Quando esco dalla mia sala di refertazione per andare in ecografia le persone in attesa hanno una faccia incredibilmente priva di espressione. Come se fossero altrove: in treno, in coda alle poste per pagare una bolletta, davanti alla tivù mentre guardano il Grande Fratello. Forse è solo la tristezza del luogo, forse è la stanchezza fisica. Forse è il senso di disperazione che ti assale ogni volta che entri in ospedale dalla porta d’ingresso sbagliata, quella del paziente.
Ore 23.35. Viene in studio uno dei due chirurghi di turno. E’ una persona simpatica, con cui vado d’accordo a prescindere: sono contento di vederlo anche se in realtà è venuto a pormi un problema. C’è la paziente a cui ho fatto l’ecografia poco prima: ha mal di pancia ma è molto grassa e non è facile visitarla. Ha un po’ di sangue nelle feci e una leggera anemia. Gli esami del sangue per il resto sembrano a posto, salvo i lattati alti. Insomma, per farla più breve di come la fa lui: Secondo te, mi chiede, è legittimo chiedere una Tac con questo quadro per una sospetta ischemia intestinale? Beh, gli rispondo, non è che bastino i lattati alti per sospettare un infarto intestinale. Ma è la notte di Capodanno, non ho voglia di discutere e neanche di essere sarcastico; e ho intuito che né lui né la collega di PS ci hanno capito nulla. Facciamola pure, questa Tac. A una quasi novantenne, una volta tanto, aver preso raggi per niente non farà grossi danni.
Ore 23.57. Il tecnico mi chiama al telefono perché la paziente è già sul lettino, pronta all’esame. Io entro in Tac, oltre al tecnico ci sono due infermiere dall’aria stanca. Parte l’esame: e la mezzanotte scocca durante il bolus tracking, in un silenzio rotto solo dal ronzare del tubo radiogeno che fa il suo dovere. Ci scambiamo gli auguri, io, il tecnico e le due infermiere, mentre l’esame finisce. Nessuna traccia di ischemia intestinale né di altre patologie. Quale che sia il motivo del mal di pancia, e non c’erano molti dubbi che non di trattasse di infarto, il mio amico chirurgo dovrà cercarselo altrove.
Ore 0.10. Dopo un fitto scambio di SMS sull’inutilità della peretta evacuativa e sulla somministrazione di un purgante più robusto alla bimba, la mia amica dice che viene a farmi gli auguri. Scende dopo pochi minuti: ha la faccia stravolta dal sonno mentre la bimba è vispa come se l’avesse punta un calabrone, e a più riprese cerca di smontare la sala refertazione. Andiamo dai tecnici, in un momento di pace, con un pandoro e una bottiglia di prosecco. La tecnica va a procurarsi un cavatappi, e alla fine si aggiunge anche l’otorino di guardia. Alla vista della bottiglia ghiacciata si rianima, e racconta che in reparto ha appena brindato con un vinaccio che sembrava fatto con la polverina. Brindiamo anche noi a momenti migliori, ognuno concentrato sui propri desideri. La bimba è irrefrenabile, allegra più di noi tutti messi insieme.
Ore 01.30. L’emorragia di esami si arresta, la sala di attesa è vuota come solo una sala di attesa ospedaliera può essere. L’albero di Natale lampeggia a intermittenza, gli occhi mi bruciano. Decido che è ora di ritirarmi nelle mie stanze. Leggo un libro per cinque minuti, poi le palpebre mi si chiudono e prendo sonno.
Ore 02.00. Anziano paziente dispnoico, Rx torace.
Ore 02.30. Anziano paziente dispnoico. Rx torace e addome diretto.
Ore 03.00. Anzianissima signora con un probabile ictus cerebrale. Rx torace di benvenuto.
Ore 03.30. Anziana signora con difficoltà respiratorie. Rx torace.
Ore 04.00. Giovane con sospetta frattura del polso. Che non ha, of course.
Ore 04.30, 05.00, 05.30, 06.00. Altri ultranovantenni, sempre per gli stessi motivi. Faccio davvero fatica a tenere gli occhi aperti, vedo praticamente doppio. Converto il mio privato desiderio di fine anno in quello di non finire in galera per aver sbagliato uno degli esami notturni, refertati praticamente con un occhio solo.
Ore 06.30. Ancora l’ortopedico, implacabile come l’anno della fame. C’è un’altra paziente ricoverata in cui la geriatra sospetta un’embolia polmonare. Gli chiedo, con voce implorante, se il sospetto è proprio così terribile da non poter attendere almeno un’ora, in modo che possa riprendere un minimo di conoscenza. Dalla risposta allegra del collega (ma questo non ha mai sonno?) re-inferisco che all’embolia polmonare non ci crede molto nemmeno questa volta. Per amor del vero, l’ortopedico non mi sveglierà fino alle 8 di mattina, e la tac per embolia la faremo insieme io e il mio collega, al cambio guardia. Negativa, of course.
Ore 07.59. Squilla il cordless, ancora e ancora. E’ il mio collega del cambio, mi chiede dove sono ma lo capisce subito appena rispondo con voce cavernosa. Mi alzo, mi bagno la faccia, lavo i denti. Disfo il letto in cui praticamente non ho dormito, rimetto a posto le coperte.
Ore 08.15. Porto il cordless al collega. Scambiamo due chiacchiere, gli auguro migliore fortuna durante il turno giornaliero e prendo la strada di casa. In strada nessuno, nemmeno un cane. La mia macchina è ricoperta da uno strato di ghiaccio spesso un dito. Ci sono tre gradi sotto zero, l’aria è davvero magnifica. L’alba è rosa.
Ore 09.00. Sono a casa. Tutti dormono, anche la piccola: che in genere alle sette di mattina salta sul letto intonando canzoni natalizie. Mi siedo sul divano, accendo la televisione, guardo un pezzo di film degli anni cinquanta. Il silenzio è perfetto. Dopo mezzora i miei bimbi irrompono nella sala e mi abbracciano: e l’anno comincia per davvero, nel migliore dei modi possibili.

Gaddo

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