Archive for ottobre, 2011

Tutto all’aria !

Posted by Magamagò on ottobre 24, 2011
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Nell’atrio del mio Ospedale c’è un cartello che dice :
SE IL CANCRO BUTTA ALL’ARIA LA TUA VITA …
Lo leggo ogni volta e non lo finisco mai, perchè per me è stato proprio così, ha buttato all’aria la vita di mio marito, chirurgo, in prima persona, ma anche la mia e quella di mia figlia, e quella di chi ci sta e ci è stato intorno.
Però ora, a ripensarci, ora che è passato un pò di tempo e sembra che le cose siano andate bene, forse quel “buttare all’aria” significa in alto nel Cielo, nel vento, che il Padreterno così abbia voluto rimescolare le carte per darci una “mano” migliore, per ridare alla nostra vita una leggerezza nuova, un soffio vitale nuovo, un’occasione per rinfrescare i valori in cui crediamo, il nostro status di medici, di genitori, di figli o compagni, di persone comunque con tanto bene dentro da donare agli altri e tanto cuore per riceverne altrettanto e di più.
Una “mano” migliore per capire il dolore, per essere veramente empatici coi pazienti i quali sapevano bene che il Male, il dolore, aveva colpito anche noi, che le nostre parole non erano finte, che la nostra testimonianza di vittoria, di forza, non era teorica; caspita! lo avevamo provato sulla nostra pelle … e vivere in un posto relativamente piccolo dove ci si conosce tutti, è stato di grande aiuto per noi e per gli altri.
Così, in fondo, è stata un’esperienza positiva, che ci ha rafforzati, che ci ha fatto crescere, una dimostrazione in più, se ce ne fosse bisogno, che c’è chi sa cosa sia meglio per noi, e per questo gliene siamo grati.

Qualche mattina passo per la porta secondaria per non vedere il cartello …

BEH, NESSUNO È PERFETTO !!

Magamagò

Non me lo hai chiesto direttamente… ma io ero lì ugualmente.

Posted by Icy24 on ottobre 06, 2011
emozioni / 3 Commenti

Premessa: da pochi giorni sono stato assegnato ad un reparto che molti motociclisti ben conoscono: Chirurgia Ortopedica…
Tolto lo stess di dover gestire ventotto pazienti con tre Infermieri (tolti noi studenti che siamo due e per ora poco utili) e un Ausiliare… assurdo… mi sto rendendo conto cosa vuol dire stare dall’altra parte e di quanto, un certo tipo di approccio, faccia davvero la differenza.
Sto anche toccando con mano (è proprio il caso di dirlo) come le persone si rialzino piano piano. Persone che fino a poco tempo fa accompagnavo dal luogo dell’incidente fino al pronto soccorso.
Ecco, se il soccorso è la fase “A”, oggi io vedo la fase “B” (degenza e preparazione all’operazione chirurgica), la fase “C” (L’operazione vera e propria), e la fase “D” il post operatorio con la riabilitazione e, …cavolo!, fa un certo effetto
Qualche giorno fa è entrato in reparto un ragazzo più o meno della mia età: incidente in macchina, aquaplaning e albero preso in pieno;  una gran botta che tra le altre cose ha causato la frattura del bacino all’altezza dell’anca e la frattura di tibia e perone.
È un tipo di soccorso che mi è già capitato e ricordo bene la difficoltà nel gestire il paziente, l’attesa della liberazione dalle lamiere dei vigili del fuoco, la “scarcerazione” del paziente, la stabilizzazione e la corsa in Pronto Soccorso.
È un soccorso che di solito lascia un bel segno, ma che, per come siamo fatti, per come DOBBIAMO fare, una volta consegnato il paziente al DEA la cosa finisce più o meno lì.
E invece no, ora è diverso, perchè “Chicco” (nome di fantasia per un cristiano di almeno una novantina di chili) l’ho visto arrivare e l’ho visto avvicinarsi, giorno dopo giorno alla sala operatoria, ci ho parlato, l’ho visto sorridere e l’ho visto piangere,
L’ho visto scherzare sull’incidente e l’ho visto, stamattina, tornare ad essere piccolo piccolo per la paura dell’operazione che avrebbe affrontato da lì a poche ore. Piccolo e vulnerabile. Così mi son ritrovato a sedermi accanto a un letto e tenere la mano di Chicco mentre si sparava i suoi cinque minuti di paura, lacrime e silenzio. Un silenzio che qui posso rispettare, a differenza dell’ambulanza, dove se il paziente sta zitto troppo tempo, partono le domande per valutarne la coscienza e lo stato di orientamento nello spazio e nel tempo… un silenzio che dice molto, specie sulla paura, che accomuna tutti, di essere “abbandonati” lì dove più si è indifesi.
Un silenzio che oggi, dopo la fine del turno della mattina (06:00/14:00), mi ha spinto a citofonare al blocco delle sale operatorie per chiedere se potevo affacciarmi a vedere come andava l’intervento del bacino (di cinque o sei ore) e della gamba (due ore circa)

E così oggi un Icy che si sentiva MOLTO piccolo è entrato per la prima volta in sala operatoria in una posizione differente da quella sdraiata del paziente; si è messo i calzari, la cuffietta e la mascherina e, una volta varcata la porta della sala, e cercando di assomigliare il più possibile a una delle mattonelle del muro (agli studenti del primo anno non sarebbe concesso entrare in sala operatoria), non ha più levato gli occhi da quell’omone anestetizzato sul quale una bella squadra di chirurghi stava chiudendo l’accesso dell’operazione di ricostruzione del bacino.
Mi hanno pure chiesto di dare una mano nel cambio di lettino operatorio per la successiva operazione alla gamba e mi è stato permesso di assistere da una distanza consona a non disturbare il loro lavoro ma ad apprezzare ogni istante della mia prima operazione chirurgica da spettatore.
Cavolo… ok che al sangue sono abituato, ma è davvero strano vedere come si possa operare su un corpo apparentemente inanimato. Ho sempre saputo che le operazioni ortopediche sono abbastanza cruente e, ad un occhio non avvezzo, anche violente… un paio di volte ho quasi sentito io male al posto suo, che invece se la dormiva alla grande.
E pensare che ho subìto, nel 2002, la stessa operazione…
Comunque, dopo due ore esatte il primario abbandona il campo operatorio e lascia al suo specializzando l’onore e l’onere di chiudere e suturare.
Posso avvicinarmi di più. Sembra così strano che ci sia solo una ferita così piccola, eppure hanno lavorato, internamente, dal ginocchio alla caviglia, con mazzette, trapani, punteruoli, lunghissime punte flessibili. Il corpo di Chicco ha sussultato più volte sotto i colpi di coloro i quali stavano rimettendo a posto quello che l’incidente aveva ferito e menomato. Ma a guardarlo dorme sereno, con respiri spontanei e profondi. È strano…
Lo accompagno verso la rianimazione/terapia intensiva dove lo guardo svegliarsi piano piano. Forse mi vede pure attraverso la vetrata ma tanto domani non ricorderà nulla… io però c’ero, come, con quello scambio di silenzi, mi avevi chiesto…

Esco dal blocco operatorio; levandomi mascherina e cuffietta rifletto su come determinati lavori necessitino per forza di una certa disposizione mentale. Mi affaccio in reparto per andare a cambiarmi e vedo le altre due ragazze del mio corso mentre una cerca di dare un senso al farfugliare di un vecchina che ha tanti di quegli anni da non ricordarselo più nemmeno lei; mentre l’altra cambia per la quarta volta di fila in un ora (mi diranno) la stessa persona senza fare un fiato, anzi, cercando di spiegargli che se avvisa per tempo… basta poco…
Sì… serve proprio qualcosa che si deve avere in dote, altrimenti qui non si resiste più di una settimana!
Non so se continuerò in questo corso di studi… Ortottica mi attende e con lei lo studio di famiglia e un futuro più che sicuro… ma… boh… a me piace questo mondo…
Intanto domani si ricomincia… e ho altri ventisette “Chicco/e” a cui badare insieme agli altri… ventisette storie… ventisette persone… ventisette caratteri… ventisette incazzature e ventisette sorrisi… e uno che ha svalicato la fase “C” per cominciare con la “D”…
Chissà se mi ha visto, dietro a quella vetrata…

The show must go on…

Icy24