Archive for maggio, 2014

Altissimo rischio di aztrugatnat

Posted by Nicola on maggio 24, 2014
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foto di NC

foto di NC

 

Sono finita in un Paese Lontano, dove sto lavorando in vari ospedali come Personal Care Assistant su turni special con un contratto casual, tramite una Nursing Agency.  Una versione in prosa approssimativa ma comunque soddisfacente della traduzione dal paeselontanese all’italiano sarebbe questa: sto lavorando in vari ospedali come oss, tramite un’agenzia che mi chiama per coprire dei turni quando gli ospedali richiedono pesonale extra.

Io comunico la mia disponibilitá sui tre turni all’agenzia settimanalmente. In teoria loro dovrebbero contattarmi sempre settimanalmente per propormi dei turni compatibili con le mie disponibilitá e io potrei accettarli o rifiutarli a seconda di ció che piú mi aggrada, perché essere uno special con contratto casual vuol dire essere liberi. In teoria. In pratica gli ospedali fan richiesta all’ultimo, per cui l’agenzia mi chiama all’ultimissimo e io non c’ho na lira, quindi, schiava del Dio Danaro, mi do sempre disponibile e mi guardo bene dal rifiutare qualsivoglia turno, dato che non so mai quando sará la prossima volta che mi chiameranno.

Nella pratica, la mia vita da Personal Care Assistant nel Paese Lontano funziona grossomodo cosí…

Sto dormendo profondamente. All’improvviso un casino indefinito, extrasistole da “cosa sta succedendo??” poi capisco: é il telefono. Nella confusione mentale del sonno interrotto allungo una mano chiedendomi perché mai il mio cellulare stia suonando per avvisarmi che la batteria é carica al 100% e solo dopo qualche secondo mi rendo conto che si tratta invece di una chiamata.

“Proonntooo?” “ProntoNicolachiamodallagenziaTalDeiTali!” sono rallentata io o é accelerata lei? capisco solo agenzia. Non per altro, ma perché nella costruzione inglese la parola agenzia occupa l’ultimo posto nella frase. Fortunatamente é la parola chiave e capisco di cosa si tratta. “Sí, mi dica!” “Nicola, potresti lavorare oggi per uno special dalle 7 alle 19 al San Vincenzo, reparto 10 Ovest?” “Si, certo!” “7-19 al S.Vincenzo, 10 Ovest” “Certo, certo, va benissimo!” “Grazie Nicola, buona giornata” “Buona giornata!” riaggancio. Bene! Dalle 7 alle 19, reparto… merda! Li richiamo. “Pronto, scusi, sono Nicola… qual era il reparto?” riaggancio. Dunque, 7-19 reparto 10 Ovest del… merda!! Li richiamo. “Pronto… ancora Nicola… e qual era l’ospedale??” Non ce la faccio! Andiamo, oggettivamente, sono pretenziosi loro a pensare che la mia mente, naturalmente settata sull’italiano nel sonno, possa capire e registrare ben tre dati a due secondi da un risveglio brusco… é inumano!

Mi siedo sul letto e guardo l’ora: 6.03. Onnnoo!! Correre! Mi butto addosso dell’acqua e una divisa, maledico la me di ieri che pensando “figurati se mi chiamano domattina!” ha deciso di non stirare la camicia, maledico ogni bottone della camicia e le mie fisiologiche difficoltá di coordinazione delle 6 del mattino.

E intanto devo pensare, cercare di concentrarmi e valutare quale sia la scelta migliore: bici o treno? Bici o treno? L’ospedale dista quasi 8km da casa mia, ci metto circa 40 minuti in bici; la mia bicicletta pesa quanto un Ciao e, poichè qui non ci si cambia a lavoro, se mi impegno rischio di arrivare con la divisa fradicia di sudore; se non mi impegno o se mi cambio in ospedale rischio di arrivare in ritardo; in ogni caso rischio di non arrivare affatto, dato che non ho tempo per fare colazione e l’unica energia a cui posso attingere mi é data dall’ansia di arrivare in ritardo. Bici o treno? Bici! Mi si chiederá perché non il treno… non dimentichiamo che con questo tipo di contratto non ho la certezza di quante ore lavoreró in un mese, non sono che un’immigrata che lavora a giornata come i braccianti del Mississippi, non posso certo permettermi il lusso di pagare il biglietto del treno tutti i giorni! Cosí salto in sella al mio destriero e arrivo trafelata in reparto, dove mi attendono dodici ore quasi ininterrotte di camminata circolare inseguendo un vecchino con demenza armato di deambulatore che mi insulta in macedone e cerca di picchiarmi e mordermi ogni volta che lo trascino fuori dalle stanze degli altri degenti. Dodici ore. Neanche per raggiungere il campo base dell’Everest ho mai camminato tanto in un solo giorno.

E questa è la mia gavetta oltreoceanica nella quotidianitá. Urca, tenete a freno l’ividia!

Devo ammettere che i turni non sono sempre cosí, a dire il vero quello è stato il peggiore. Il piú delle volte il grosso delle mie energie lo spendo cercando di capire il senso del mio esser lí. Ad esempio, quando la consegna é “Ragazzo autistico ricoverato per difficoltá di gestione a domicilio, puó essere aggressivo e violento… non entrare nella stanza” ma come?? “prenditi una sedia e mettiti qui in corridoio davanti alla porta” che, ci tengo a precisare, era chiusa. Non ho passato proprio tutto il turno in corridoio, ma buona parte.

Oppure quando mi chiamano per un signora a cui é stato riconosciuto un discutibilissimo rischio di autolesionismo e il mio compito é quello di stare seduta su una sedia a due metri dal letto della paziente con gli occhi puntati su di lei e riportare su una scheda di osservazione comportamentale quel che sta facendo ogni quindici minuti. Per dieci ore. Di notte.  “DORME. DORME. DORME. DORME. DORME. DORME. DORME. BEVE UN BICCHIERE D’ACQUA. RIPOSA A LETTO. DORME. DORME DORME…”

Insomma, non si tratta di un lavoro difficile o stancante, alle volte non rischiede piú impegno del semplice esser lí. La difficoltá sta nell’abituarsi al fatto che non si sa quando e se si verrá chiamati e nel trovarsi ogni volta in un ambiente diverso con persone nuove.

Un’altra difficoltá spesso é la consegna: sulla terminologia scientifica e sul vocabolario intraospedaliero il mio inglese ha ancora delle lacune non indifferenti, per cui mi é capitato piú volte di ritrovarmi in situazioni del tipo “La signora é fortemente confusa e allucinata, ha lamentato mal di testa e nausea nell’ultima mezzora, ora sta dormendo. Si mobilizza da sola, ah, occhio: è ad altissimo rischio di aztrugatnat. Ha una dieta per diabetici…” ops, forse non ho solo capito “Alto rischio di cosa?” “Altissimo rischio di aztrugatnat. Che si mobilizza da sola te l’ho detto, poi, ha una dieta per diabetici, mangia da sola…” E’ divertente vedere le ipotesi che formula il mio cervello prima di richiedere spiegazioni. Cosa avrá voluto dire?? Altissimo rischio di cosa? Cosa potrá mai fare la signora a cui devo stare attenta? Sputa? Si nasconde? Si infila le biglie nel naso? Levatele le biglie e non venite a stressare me, diamine!

Nicola

Paura di morire – 2

Posted by Herbert Asch on maggio 19, 2014
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il dirupo

Ma non ho mai pensato di farla finita così. Mai pensato che ammazzarsi fosse la risposta.

Non si è liberi di morire, perché non si è nemmeno liberi di vivere. Non veniamo al mondo per essere soli. Siamo fatti di legami, di relazioni, di storie.

Essere padroni della propria vita non significa decidere quando morire. Non ci sono notai o atti di proprietà che certifichino chi siamo e cosa possediamo, anche se da sempre gli uomini si angustiano con nomi, documenti e genealogie.

Fosse solo la paura del dolore a spingermi, basterebbe un passo oltre questo muro. No. Nell’ultimo pezzo della mia esistenza voglio riconoscere ciò da cui dipendo, prima di staccarmene. Voglio essere la parte di storia che ho dimenticato. Voglio essere il ramo che si piega verso il suo tronco. Appartenere è l’unica libertà a cui aspirare.

da “Sangue mio” di Davide Ferrario

Herbert Asch

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Un angelo malato

Posted by Angela on maggio 11, 2014
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foto di RR

Durante le mie lunghe notti di guardia, sono tante le volte che la mia mente torna a quei pomeriggi d’inverno assolati… io e lei attorno a quel “braciere”, che mi infuocava le gambe: quanta serenità, quanta sicurezza in un affetto incondizionato. La guardavo incantata: nonostante la sua malattia, presente da quando ho memoria della mia infanzia, la sua  pelle era sempre candida, le sue trecce ordinate attorcigliate intorno alla nuca, i suoi occhi vivaci e inquisitori, il suo sorriso povero di denti, ma così ricco di una bellezza d’altri tempi.

Le nostre chiacchiere coprivano il ticchettio di quella sveglia sul tavolo, in cui un gallo picchiettava di continuo in sincrono con la lancetta dei minuti. Ero capace di raccontarle qualsiasi cosa, e lei era sempre attenta ad ogni mia parola, sempre interessata, sempre partecipe della mia vita, nonostante non ricordavo di averla mai vista lasciare la sua casa .

Lei, cascasse il mondo, ero certa che l’avrei trovata seduta su quella sedia davanti all’ingresso ad aspettarmi.

Non accettavo nemmeno la vaga idea che un giorno avrebbe potuto lasciarmi. No, lei no.

Mia nonna era, ed è ancora tuttora, un amore viscerale, una figura angelica che ha accompagnato la mia vita riempiendola di una tenerezza infinita.

Il desiderio di vederla star bene, mi ha fatto sognare di diventare un medico fin da quando avevo dieci anni. Da quando ne avevo solo quattordici mi occupavo di tutta la sua terapia, e lei amava farsi “curare” solo da me.

Lo so che in realtà era piena di difetti, una matriarca tremenda, ma guai a chi me la toccava, io ero perfetta per lei e lei era perfetta per me.

Ancora oggi, a distanza di ormai quasi dieci anni dalla sua morte, sento il dolore immenso della sua mancanza, il bisogno delle sue mani calde con cui scaldava spesso le mie, sento ancora l’angoscia del nostro addio. Il dolore lancinante durante il viaggio verso casa per raggiungerla durante un suo nuovo malore. La consapevolezza che quella volta la mia amata professione non l’avrebbe aiutata, la mia rassegnazione di un giovane medico che si deve arrendere davanti alla morte non più rimandabile. Il suo “grazie di tutto”…

Nei momenti bui della mia vita, sento quelle mani, stringo forte la sua fede al mio anulare destro, sorrido, e il suo conforto mi arriva fino al cuore, e so che non si separerà mai da me, perché continua a vivere attraverso di me.

Oggi, se sono diventata un medico rianimatore, so per certo di doverlo solo a lei… il mio angelo malato che rivedo in ogni paziente e che mi porta a mettere il cuore ogni giorno in quello che reputo una nobile e meravigliosa professione.

 

 

Angela

Una notte insonne

Posted by Indiano on maggio 05, 2014
emozioni / Nessun commento
foto di DB

foto di DB

Non è una notte di guardia la mia ma solo una notte insonne, troppo lunga perché arrivi in fretta il turno di domani mattina e troppo corta per essere dormita.

Ho appena cambiato posto di lavoro, inseguito in un sogno iniziato quando quel maledetto 30 Giugno ho messo piede per la prima volta su un ambulanza che correva nella notte per le vie della Brianza, ora lavoro nel Mio pronto soccorso con i mostri sacri tanto invidiati da insignificante soccorritore.

La mia vita ora è stupenda, ha voltato pagina ma credo ad un prezzo troppo alto.

Laureato da poco, pieno di complimenti e pacche sulle spalle dei migliori coordinatori in circolazione ma senza possibilità di essere integrato, in cerca disperata di un posto che mi permetta di crescere e non mi faccia “morire” in una maledetta RSA.

Finalmente ho il mio primo colloquio a venti giorni dalla mia laurea, entro in un bell’ufficio preciso ma non troppo ordinato, curato ma con quel non so che di rivoluzionario; mi accoglie lui F. sulla trentina non tanto alto magro vestito con un paio di pantaloni a sigaretta maglioncino e…. scarpe sportive insomma un tipo particolare.

Dopo pochi giorni diventa il mio primo caposala dopo pochi mesi diventa il mio mentore dopo un anno è diventato mio fratello: abbiamo condiviso tanto assieme : voli in elicottero, su aerei, grandi manifestazioni, tanto lavoro ma anche litigi, arrabbiature, esuberanze, pensieri e riflessioni.

Dopo un anno e tre mesi è arrivato il momento di salutarti, sono stati giorni bui, giorni in cui la paura di abbandonarti ha tenuto testa al mio sogno ma ho scelto di seguirlo e viverlo nel bene e nel male.

È una notte insonne abbiamo appena avuto uno scambio di messaggi, ricordando alcuni momenti belli qe ora sono qui, a fissare la parete bianca illuminata dalla luce del mio PC, a prometterti e promettermi che diventerò migliore di te perché è questo quello che mi hai insegnato … che non ci sono limiti.

Non esisterà mai nessuno come noi

Indiano