Archive for settembre, 2016

Provare l’ambu

Posted by Herbert Asch on settembre 25, 2016
racconti / 3 Commenti
Foto di GP

Foto di GP

Tanti anni fa, circa del 1988, quando ero ancora anestesista implume e ignorante (quest’ultimo lo sono rimasto) fui inviato in consulenza in un ospedalino periferico, monospecialistico medico, che assisteva molti pazienti cronici.

Ad uno di questi pazienti cronici, una SLA con paralisi ormai quasi completa, tracheostomizzato e ventilato, era necessario, mensilmente, sostituire la cannula tracheale, per cui veniva chiesta la nostra consulenza. Ed il compito ovviamente, toccava all’ultimo arrivato. Appunto il sottoscritto.

Mi era stato detto che tutto il materiale era già dal paziente, solo che andassi su.

Quindi finito il mio turno di guardia, sono partito alla volta del nosocomio con qualche dubbio, poiché di cannule, il sottoscritto, all’epoca specializzando al terzo e ultimo anno di A&R, in realtà da solo, non ne aveva mai cambiate. Ma tant’è toccava a me. Bella lì.

Il paziente, pezzo d’uomo anche se ormai consumato, aveva circa una cinquantina d’anni. Comunicava solo più digrignando i denti. Era ventilato con un baraccone che teneva mezza stanzetta, più o meno delle dimensioni di una madia da pane, su cui spuntavano qualche misuratore a lancetta, diverse manopole, dei tubi, un pallone nero che si gonfiava e sgonfiava ritmicamente, e che emetteva rumori pneumatici ritmici, il tutto per effettuare una banale ventilazione volumetrica controllata, e bon.

Neanche quel tipo di respiratore l’avevo mai visto, ma tant’è, non dovevo cambiare nulla e dubito anzi che fosse possibile cambiare modalità. L’avrei semplicemente lasciato staccato il tempo necessario alla manovra, tollerando la comparsa degli allarmi, per riattaccarlo subito dopo il cambio della cannula.

Sul carrello c’era di tutto e di più o perlomeno tutta l’attrezzatura ventilatoria che può esserci un reparto di cronici. D’altronde il personale non era solito usare tutti quei presidi ed essi venivano stipati alla rinfusa nel cassetto “Ventilazione”. La mercanzia veniva esposta come la Sindone, solo per le occasioni particolari, come appunto questa.

All’infermiera che mi avrebbe assistito spiegai che volevo preparare tutto in precedenza in modo da essere veloce e non lasciare in apnea il paziente per troppo tempo.

Breve briefing per chiarire le fasi: io avrei preparato tutto quanto serviva sul carrello, mi sarei messo i guanti, rimanendo con i guanti sterili e la cannula nuova in mano. L’infermiera avrebbe staccato la cannula dal ventilatore, sgonfiato il palloncino e tolto la cannula vecchia, io avrei infilato la cannula nuova nella stomia, e l’avrei collegata ad un tubo corrugato ed un filtro nuovo. Quindi lei avrebbe dato due o tre ventilazioni con l’ambu mentre io controllavo i campi polmonari, e, se tutto fosse stato a posto, avremmo ricollegato il paziente al suo respiratore in pochi minuti.

Tutta la pantomima l’ho illustrata in presenza del paziente, per rassicurarlo ed informarlo sulle varie manovre e poi… si comincia!

Il mio grosso problema era cosa dovevo aspettarmi infilando la cannula. C’era la possibilità di fare una falsa strada? Una cannula nuova, ovviamente di uguale modello e diametro, sarebbe entrata facilmente? E se ci fosse stato un problema come me la sarei cavata? In fondo nel mio ospedale c’era sempre un altro collega cui chiedere. Qui ero solo.

Un bel sospirone e via. Campo sterile. Ci adagiamo la cannula nuova, una siringa per cuffiare, il tubo corrugato ed il filtro nuovo. Una cannula per aspirazione viene collegata al vuoto: verifico l’aspirazione che funziona. Questa la manovrerò io. Provo il palloncino della cannula: ok.

Do il via all’infermiera, che a sua volta aveva preparato tutto a portata di mano. Ora stacca il paziente, sgonfia il palloncino e tira via la cannula vecchia.

Una veloce aspirata e infilo senza problemi (che culo!) la cannula nuova. Gonfio il palloncino. Ok ci siamo! Collego il corrugato e il filtro che tengo mentre l’infermiera collega l’ambu. Prendo il fonendo.

Due, tre pompate. Qualcosa non va, il torace non si espande. Altre due pompate: niente.

Il paziente comincia a virare verso il cianotico.

Prendo in mano io l’ambu. Due pompate. Niente

Il paziente è nero.

C’è qualcosa che non mi torna, ma non riesco a focalizzarlo.

Devo fare qualcosa… Intanto rimettiamo tutto come prima di cominciare!

Riprendo la cannula vecchia e la metto al posto della nuova, la cuffio e collego il paziente al ventilatore. Il quale ventilatore, nel frattempo, tanto per rendere meglio il pathos della scena, ha sparato i suoi allarmi che neanche un maiale sgozzato…

Il paziente ritorna al suo normale colorito dopo quattro ventilazioni, il torace si espande, gli allarmi tacciono.

Ora devo capire cosa cazzo è successo. Riguardo la cannula utilizzata, riprovo il palloncino, guardo il corrugato, ispeziono il filtro. Niente tutto regolare, a posto, funzionante.

Controlliamo il collegamento all’ossigeno dell’ambu (nessun reservoir, ovviamente, all’epoca erano fantascienza). Tutto a posto.

Prendo l’ambu in mano e un dito scompare in una piega. Piega? No, la copertura esterna dell’ambu è tagliata, di lì esce l’aria e non dalla valvola. In quegli ambu neri (qualcuno se li ricorda?) la tenuta era data dalla guaina esterna in gomma, mentre l’espansione era assicurata da una struttura interna semirigida, fenestrata, elastica. Chiudo la valvola col palmo della mano, comprimo. L’ambu si collassa, ma, non c’è resistenza, non pompa nulla; lascio andare la chiusura e non esce niente. Prendo un altro ambu dello stesso tipo che nel frattempo l’infermiera è andata a prendermi e faccio la stessa prova. Se la valvola di uscita è chiusa il pallone non si collassa, oppone resistenza, e quando lascio andare esce un soffio potente: questo funziona!

Ecco svelato l’arcano. Ecco che cosa non mi convinceva. Vista la mia poca esperienza non mi ero accorto che l’ambu non opponeva resistenza nel ventilare, ero tutto concentrato a capire quale fosse il problema, che, visti i miei dubbi iniziali, doveva per forza essere nella cannula!

E nemmeno l’infermiera se ne era accorta, non essendo abituata a ventilare con l’ambu.

A rileggerlo così sembra normale, facile: certo! se provavi l’ambu prima di usarlo…

Lo chiudi, lo schiacci vedi che resista, lasci andare e vedi che soffi… e checcivuole?

Perché, quanti dei miei colleghi e degli infermieri lo facevano all’epoca? Quanti lo fanno anche oggi? Siamo così sicuri che sia una manovra di routine?

Intanto l’ho mai vista descritta.

Anche solo restando tra istruttori BLS: se ci pensate spieghiamo per filo e per segno come e dove mettere le mani, porgere l’orecchio, fare gas (anzi G.A.S.) ma di provare i presidi che usiamo, ne parliamo? E questo neanche quando veniva data più importanza alla ventilazione.

È vero che è una cosa banale, ma quanti ci pensano?

Io sempre, visto il cago che mi sono preso. Mi viene spontaneo appena prendo un ambu in mano.

Per finire la storia, la cannula l’abbiamo poi cambiata, senza più problemi, ma quella cannula me la ricordo ancora adesso.

Herbert Asch

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Il Paradiso – sogno di un’anestesista in pensione

Posted by Magamagò on settembre 08, 2016
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foto di EP

foto di EP

“in fondo abbiamo sempre avuto a che fare con la fermata precedente al paradiso,
ma noi cerchiamo di fare scendere la gente lì e non farla proseguire… :-)
H.Asch”

Dovevo chiudere la finestra. Eppure lo so che quando c’è la luna piena devo chiuderla. Per non farla entrare. La luce argentea mi abbaglia. E mi toglie il fiato. Anche i pensieri sono corti. Intercisi. Affannati. E ho un peso sullo stomaco. No sul petto. Piccoli aghi che s’infilano nella pelle. AIUTO ! Apro gli occhi, voglio alzarmi. Ma due occhi mi bloccano: verdi, piccoli, in una nuvola bianca. Ma di notte le nuvole sono nere.

Una linguetta rossa si lecca i baffi. Ah, meno male, è il gatto.

MA IO NON HO GATTI !

“Non ti affannare, che vuoi capire, sei solo un uomo.”

Lo sento nella mia testa; meno male, non è un gatto parlante.

MENOMALE? Sto impazzendo. Mi legge nel pensiero, mi parla nel cervello, ed io che riesco ad elaborare di pensiero con senso compiuto? MENOMALE.

“Appunto, sei limitato. Ma non è colpa tua, sei un uomo ” Vabbè, mettiamola così.

“Sei ateo, anzi agnostico” Non è una domanda  ma un’asserzione. “Io lo so perché” e continua il monologo nella mia testa “Tu sei un tipo pragmatico e ti sei fatto quattro conti da ragioniere come sei.

Quanto si può vivere? Al massimo cento anni, forse qualcosina in più, ma i primissimi anni uno non se li ricorda e dunque non valgono; e dunque cento anni. E nell’aldilà, quanto ci staremo? Un’eternità, che non si sa quanto sia ma comunque nell’ordine di 1 più tantissimi zeri. Ne consegue che bisogna scegliere bene il dopo, più che il prima. Giusto? Ti torna il discorso?”

Accidenti gatto, non avrei saputo spiegarmi meglio, anzi forse tu hai dato un senso alla mia inquietudine.

“Allora ti aiuterò a fare la scelta giusta, facendoti vedere tutti i possibili paradisi offerti dalle varie religioni.”

E come puoi fare un prodigio simile? Con Google?

“Shhhh. Non dire sciocchezze e chiudi gli occhi”

Li ho chiusi, naturalmente, avrei fatto qualunque cosa in quel momento, e subito dopo una lingua rasposa ha cominciato a leccarmeli, facendomi così apparire luoghi, testi, immagini, sensazioni; tutte catalogate, precise, anche col numero progressivo, proprio come avrei fatto io con la mia anima di ragioniere se non fossi stato pigro… e pavido.

1° Il Paradiso cristiano: luogo dove andranno gli uomini da Dio giudicati giusti e retti.

2° Il Paradiso cattolico (nello specifico): lo stato dei giusti dopo la morte, costituito dalla visione beatifica di Dio.

3° Il Paradiso dei Sumeri: luogo primordiale, terra pura, posto privo di sofferenze dove vivrà eternamente l’uomo destinato dagli dei.

4° Il Paradiso musulmano: sotto il trono di Allah, dove andrà l’uomo, dopo essere stato giudicato positivamente nella tomba. Potranno accedervi anche da altre religioni. Il più alto livello del Paradiso sarà per i giusti, i martiri e i più religiosi. La storia delle Urì, cioè le vergini destinate come mogli al beato, allietandone il soggiorno eterno, in realtà non compare nel Corano ma solo nelle leggende islamiche.

5° Per Buddismo e Induismo, siamo un tutt’uno con Brahma; il peso delle conseguenze delle proprie azioni ricade su noi stessi e dipende dal Karma, dal destino, di ciascuno. C’è la reincarnazione; non esiste paradiso, si perde la propria identità e si torna nell’unità universale.

Ci sono anche altre religioni, passate e presenti, forse meno diffuse.

Ma è l’alba, l’ultimo pensiero scompare con un “puff” come nei fumetti. Apro gli occhi, guardo l’ora e mi accorgo di quanto sia tardi, terribilmente tardi, mostruosamente tardi. Mi preparo in fretta, ancora con la mente confusa dai pensieri notturni, ma impossibilitato a metterli in chiaro. Forse più tardi, forse stasera.

Esco e corro in strada a prendere l’autobus. E LO PRENDO, in pieno, anzi è lui che prende me e mentre volteggio in aria una volta, due volte, prima di cadere sul selciato e perdermi in un mare di sangue, un ultimo pensiero, il mio ultimo, è ancora nell’aria e cerca di raggiungermi : CAZZ…!   Non ho scelto il Paradiso!

Si dice che negli ultimi istanti la vita ti passi tutta davanti, che finalmente si capisca tutto, che… non so, per me è stato solo quel lampo, quel rimpianto, nemmeno un dolore fisico ma mentale.

Ho di nuovo un peso sullo stomaco, anzi sullo sterno, sopra il cuore insomma, che so bene che è immobile ma ancora vivo. Apro le palpebre e vedo di nuovo gli occhi verdi, e intorno una nuvola bianca… buffo, pensavo fosse il pelo del gatto, che so, un gatto d’Angora tutto bianco a pelo lungo, ma invece è proprio una nuvola, soffice, dai contorni indistinti, eppure ben definita, irreale ma solida. Un sorriso, un lampo di quegli occhi verdi che mi fa chiudere i miei, una leccatina rasposa sopra, un pensiero che si va formando nella mia mente… “Tranquillo, non so se tu sia stato giusto, ma sei stato buono, almeno hai cercato di essere buono, e quindi andrai nell’unico vero Paradiso.”

Una bolla mi circonda, mi racchiude, sento un suono in lontananza, sempre più forte, un ronzio, anzi no, un ron-ron, delle fusa megagalattiche che mi circondano, penetrano in ogni mia cellula, ed io mi rilasso, felice, sereno, appagato perché le fusa servono a questo, e so che questa è la vera felicità, il vero paradiso.

Ma… e i più giusti? In alcuni paradisi i più giusti hanno qualcosa in più. E allora cosa è?

I più giusti potranno accarezzare la schiena di un gatto che fa le fusa dalla testa alla coda; cosa si può chiedere di più?
Ah ecco, mi pareva, speriamo di meritarlo. Eh sì, questo sì che è paradiso!

Magamagò

 

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