Fluttuando a mezz’aria

Posted by Osyride on maggio 07, 2013
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foto di MFR

La Centrale 118 ci invia in codice rosso in una via poco distante dalla nostra sede per un problema di tipo cardiocircolatorio, è in arrivo anche l’automedica.

Guardo sulla mappa qual è la via, esco ad avviso il mio autista che dobbiamo uscire per un codice rosso.

Sinceramente non ho pensato al peggio, credevo che fosse la classica perdita di coscienza – magari già risolta al nostro arrivo.

Neanche il tempo di accendere le sirene e siamo sul posto.

Portiamo giù tutto il materiale: zaino, ossigeno e DAE; entriamo nella casa, saliamo le anguste scale ed arriviamo nell’appartamento. Troviamo un signore seduto su una sedia, in evidente arresto cardiaco. I parenti presenti ci riferiscono che si è accasciato da pochi minuti, non è cardiopatico e non aveva lamentato dolori o malesseri particolari.

Lo sdraiamo sul pavimento, scopro il torace e, finché avviso la Centrale 118 dell’arresto cardiaco, il mio autista inizia il massaggio cardiaco. Appena rientro, gli do il cambio alle compressioni toraciche, mentre lui posiziona le piastre del DAE. L’analisi parte subito “Scarica consigliata! Allontanarsi dal paziente!” Defibrilliamo e ricominciamo con la rianimazione, “30 compressioni:2 ventilazioni” per 2 minuti. Si avvia di nuovo il DAE e defibrilliamo nuovamente.

Finalmente arriva l’automedica, continuiamo con la rianimazione, l’infermiere prende un accesso venoso, il medico intuba. Dopo poco iniziano a comparire segni di circolo e un respiro spontaneo!

Con l’autista dell’automedica vado a preparare la barella, apro l’ossigeno in ambulanza e ci prepariamo per il trasporto.

Quando ritorniamo in casa il signore va però nuovamente in arresto cardiaco. Ricominciamo quindi nuovamente con la rianimazione, medico e infermiere somministrano i farmaci del caso e dopo 2-3 minuti compaiono nuovamente i segni vitali.

Lo posizioniamo velocemente sul telo portaferiti e ci prepariamo per scendere le terribili scale che ci aspettano: ripide, strette e scivolose…

Lo carichiamo in ambulanza. Oggi tocca a me guidare, sto finendo il corso per diventare autista, e questa è l’occasione per guidare in emergenza. Il mio autista mi chiede se voglio far guidare lui, ma io mi sento sicura e gli dico che me la sento.

Accendo i lampeggianti, percorro tutto il vicolo in retromarcia perché non c’è posto per girarsi e, appena mi immetto sulla strada principale accendo le sirene e seguo l’automedica che mi fa strada.

Ancora una volta nessuna emozione, solo concentrazione, penso solo al traffico ed a guidare il più fluidamente possibile per non scuotere troppo chi è nel vano sanitario con il paziente. In 2 minuti siamo in ospedale; il personale della rianimazione e gli infermieri del pronto soccorso ci aspettano direttamente in shock-room.

Spostiamo il signore sulla barella del pronto soccorso e sistemiamo il materiale prima di allontanarci.

 

Ancora una volta quella sensazione – indescrivibile – di quando ti trovi davanti ad una persona “tecnicamente” morta e poi la vedi riprende i segni vitali sotto i tuoi occhi o tra le tue mani. Solo provandolo di persona si può capire quanto forte sia l’emozione!

 

Certo, dopo anni che salgo in ambulanza, sono diventata abbastanza fatalista: se quella persona sopravviverà è perché non era il suo momento e non per la nostra particolare bravura; ma noi siamo stati le persone giuste al momento giusto, gli strumenti attraverso cui Dio, il fato o il destino ha fatto sì che quella persona non morisse.

Questo vale anche al contrario, quando, per quanto tempestivamente arriviamo sul posto e per quanto corrette siano le manovre che compiamo, la persona muore. Sono convinta che in questo caso anche il medico rianimatore più bravo di questo mondo non potrebbe fare nulla. Semplicemente era la sua ora…

 

Forse solo il sorriso che avevo quando sono uscita dalla sede per tornare a casa, riusciva ad esprimere quanto grande fosse comunque la mia soddisfazione!

 

 

osyride

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