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“… shock consigliato”

Posted by Il Barelliere on ottobre 12, 2015
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foto di RdR

foto di RdR

E’ da circa due ore che Maria ha dolore al petto: un dolore strano però, come mai provato prima, che le arriva fin dietro la schiena e le causa un malessere diffuso a tutto al corpo. Ma lei ha solo quarant’anni, è sempre stata in salute e non ci fa troppo caso, non sarà nulla, passerà da solo.
Quel dolore però diventa via via sempre più forte, quasi insopportabile, come una morsa, forse è il caso di andare in ospedale…
All’improvviso però, la situazione precipita. La donna spalanca gli occhi e si accascia sul pavimento priva di sensi. Smette di respirare.

Non so cosa sia successo dopo, in quegli interminabili minuti che sono trascorsi dalla chiamata al 118 fino al nostro arrivo. Quando entriamo in casa però il marito è su di lei, l’ha distesa sul pavimento e seguendo le istruzioni dell’operatore di centrale ha iniziato il massaggio cardiaco.
La donna è in gasping. Un rantolo si libera dalla sua gola e sebbene possa sembrare che stia respirando, in realtà i polmoni non si espandono minimamente.

Il Capo-equipaggio si lancia sul torace e prosegue il massaggio cardiaco, iniziato dal marito. Ha un fisico esile Maria, per le compressioni basta un braccio solo, se non si vuole spaccare tutto.
Taglio la t-shirt e scopro completamente il torace, accendo il DAE, posiziono e connetto  le piastre.
Alla prima analisi rileva movimento, probabilmente il respiro agonico, che si sta facendo via via sempre più inesistente, sta creando degli artefatti.
Pochi istanti dopo ripete nuovamente l’analisi << shock consigliato >> . Erogo la scarica. Il corpo di Maria si contrae e si rilascia nel giro di un paio di secondi, ma purtroppo nessun segno di ripresa.
Andiamo avanti con le manovre di rianimazione: le compressioni si alternano alle ventilazioni con l’ambu, siamo quasi arrivati ormai alla seconda analisi, quando all’improvviso Maria riprende a respirare.

Cazzo non ci credo! Ce l’abbiamo fatta , il torace si espande!
Certo il respiro non è dei migliori è superficiale e forse troppo frequente, la donna continua ad essere incosciente,  ma cazzo sta respirando da sola!
E’ la prima volta che mi capita di riprendere una persona in arresto e ora non bisogna perdere la concentrazione.

Qualche secondo dopo i primi respiri di Maria, entra provvidenzialmente in casa l’equipaggio dell’automedica.
Faccio subito spazio alla dottoressa, che prende il mio posto alla testa della donna, mentre in men che non si dica l’infermiere ha già reperito un accesso venoso e si destreggia tra flebo  e cavi del monitor. Equipaggio tosto stasera per fortuna, con la dottoressa mi è già capitato di lavorare qualche volta, ed è una rianimatrice coi controcazzi : decisa, preparata e determinata, è il medico che ogni studente, almeno per quel che mi riguarda, vorrebbe e dovrebbe diventare.
Le manovre vanno avanti per diversi minuti, viene intubata e le si  continuano ad infondere farmaci.  La situazione è ovviamente molto tesa, aspiriamo più volte le vie aeree dalle quali continua a fuoriuscire sangue; è un continuo passare garze, boccette e sondini, mentre il capo-equipaggio ventila con l’ambu.
Ci si sta giocando il tutto per tutto, ma in tutto questo il suo cuore, dopo la prima scarica, ha continuato a battere senza fermarsi.

Lasciamo Maria in sala emergenze del pronto soccorso accerchiata da un numero indefinito tra medici ed infermieri, che come formiche, si adoperano veloci e precisi su lei.
Sinceramente non credevo sarebbe sopravvissuta e la sensazione che mi ronzava per la testa era solo quella di aver rinviato l’invitabile.

Qualche giorno fa però, alla festa della nostra associazione è arrivato un uomo. Si è avvicinato a Gianluca, il capo-equipaggio che era di turno con me l’altra notte,  e non trovava le parole per ringraziarci. Maria ce l’ha fatta ! Dopo un giorno in terapia intensiva, ha ripreso conoscenza e non sembra abbia riportato danni da ipossia cerebrale. La situazione è talmente buona che entro una settimana prevedono di rimandarla a casa.
Penso che questa sia una delle gioie e delle soddisfazioni più grandi che una persona possa mai provare, indescrivibile e forse incomprensibile per chi non ci è passato, anche se la nostra, è stata solo una piccola parte di tutto il lavoro svolto dai medici e dal personale sanitario, ma soprattutto dal marito, che se non avesse avuto la forza e la lucidità di iniziare tempestivamente il massaggio cardiaco, molto probabilmente io non sarei  qui a raccontare questa storia.

Il Barelliere

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L’ uomo che non riusciva a morire in pace

Posted by rem on gennaio 05, 2015
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foto di MV

foto di MV

Era arrivato a 90 anni quasi senza rendersene conto e senza meriti particolari,   soprattutto aveva  sempre  fatto finta di niente, come se gli anni non passassero, come se gli orizzonti non si restringessero con il passare del tempo, come se non aumentasse giorno per giorno la possibilità di morire, almeno  statisticamente. Aveva  vissuto ogni giorno come puro presente, e si era risvegliato il giorno dopo riniziando  da capo, nessun  segreto particolare. Ora però si sentiva un po’ stanco, niente di tragico , voleva solo finire di vivere, serenamente, come aveva sempre vissuto. Era solo stanco e non era nella natura del suo carattere, delle sua personalità docile, cercare una via d’uscita a questa vita terrena che peraltro riteneva anche l’unica, non sentendosi particolarmente affine a chi credeva in una vita dopo la morte. Va bene così, pensava. Mi basta questa vita che ho vissuto. E poi una vita senza corpo , non era così sicuro che sarebbe stata veramente desiderabile.  Aspettava quindi, giorno dopo giorno, ripetendo automaticamente e un po’ più a fatica gli atti della vita di tutti  i giorni: lavarsi, vestirsi, andare di corpo… Regolarità novantennale, una palla ormai, era per questo che se avesse potuto avrebbe volentieri accelerato i tempi. 

Nessun gesto tragico però, non era nelle sue corde

Così quel giorno quando si svegliò e non si sentiva un granché, un pensiero  lo fece, ma non lo disse alla badante ucraina che viveva con lui più per tranquillità dei figli che per reale necessità. Poi verso mezzogiorno una strana sudorazione accompagnata ad un dolore mai provato al centro  del petto, una morsa, non una bella sensazione,  “ci siamo” pensò. 

Ebbe  appena il tempo di pensarlo che svenne. Quando riprese conoscenza il mondo era arancione, una allucinazione lisergica, ma il dolore era ancora lì, stava di nuovo per svenire, vide piastre metalliche impugnate  a pochi metri dalla sua faccia e quando rinvenne   del tutto capì che l’arancione erano le tute del personale del 118 accorso al richiamo della badante che aveva fatto un corso di rianimazione cardiopolmonare e lo aveva massaggiato fino all’arrivo dell’equipe di emergenza

“Oreste! le ho salvato la vita” disse la badante 

“ma vaffanculo” fu l’unica cosa che gli uscì dalla bocca, non esattamente un ringraziamento. 

Era la prima volta che le mancava di rispetto.

rem

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L’uomo in blu

Posted by massimolegnani on febbraio 16, 2013
racconti / 2 Commenti
Foto di MV

Foto di MV

È il colore a volte che fa la differenza, nel mio caso una differenza abissale.

Avrei voluto essere arancione, mi sono ritrovato blu.

Pensare che una dozzina d’anni fa al corso teorico-pratico organizzato dall’ASL per selezionare chi fra i propri autisti avrebbe guidato le ambulanze del 118, ero stato tra i migliori, alzavo la mano come a scuola e snocciolavo senza errori la successione delle manovre del log-roll, sapevo dire quando e come si doveva usare il cucchiaio e quando la spinale, conoscevo a memoria procedure d’intervento e protocolli di chiamata. Quello era stato un periodo esaltante, di giorno il solito lavoro, alla sera uno studio accanito, di notte il sogno sempre uguale e sempre bello, sfrecciavo per le strade a sirene spiegate, fendevo il traffico come Mosè le acque del MarRosso, portavo l’equipaggio sul luogo del disastro, collaboravo nel soccorso dei feriti, l’arancione fluorescente del giaccone d’ordinanza un lasciapassare tra la folla dei curiosi. Tutto faceva pensare che sarebbe andata proprio così, ma poi all’esame mi ha fregato l’emozione.

L’istruttore mostrandomi il manichino riverso sul pavimento mi disse Guglielmetti fai conto che sia un ragazzino di dodici anni coinvolto in un incidente: apparentemente non è cosciente, forse non respira, datti da fare. A sentire quelle parole non ho più visto davanti a me un bambolotto di plastica ma un volto insanguinato e ho perso la testa, Cristosanto è poco più di un bambino. Mi sono chinato su di lui e anziché iniziare le manovre di soccorso che pure sapevo a menadito l’ho preso tra le braccia, un bambino vero, irrimediabilmente morto, tra le mie braccia, un bambino da lavargli il viso con le lacrime, piangevo sì, e lo cullavo mentre l’istruttore sbraitava Guglielmetti ma che fai? Sbrigati, sta per morire, Guglielmetti dacci dentro con la rianimazione, forza! No, è inutile, non ce la può fare, non ce la posso fare, è morto, povero ragazzino, morto senza nemmeno un nome. L’unica cosa che m’importava era tenerlo stretto, lì inginocchiato su un pavimento che credevo asfalto tra rottami e resti umani, essergli vicino nel passaggio, accompagnarlo dove…non lo so dove vanno a morire i morti. Avevo un dolore mai provato.

Mi dovettero staccare a forza dal manichino e del mio passaggio al 118 non se ne parlò mai più.

Mi assegnarono un furgoncino, che di recente hanno sostituito con uno appena più moderno, ma niente lampeggianti nè sirene, e una divisa orrenda, giubbino blu con stampigliata una croce rossa subito sbiadita e pantaloni della stessa tinta con al fondo una striscia catarifrangente bianca. Ai piedi non gli scarponcini in goretex di cui sono forniti gli “arancioni”, no, per le scarpe arrangiati, così una volta mettevo mocassini marroni o sandali d’estate, ora delle vecchie Superga che ho ritrovato in casa.

Così conciato, che sembro una caricatura del soccorso, batto la provincia in lungo e in largo a portare campioni di piscio e sangue da un laboratorio all’altro ed anziani dalle case di riposo all’ospedale per esami, ma solo se non stanno male, sai Gu non vorremmo che ti emozionassi un’altra volta se li dovessi rianimare, e una risata cattiva a chiudere il discorso.

Dodici anni che faccio ‘sto mestiere, una dozzina d’anni lunga come un giorno solo, talmente è sempre uguale quel che faccio. E quel che è peggio non è il lavoro ma la pausa in mensa dove vorrei mangiar da solo e invece c’è sempre qualcuno degli equipaggi del pronto intervento che si siede e sfotte, e anche se non sfotte mi basta vederlo tutto in ghingheri, lo zaino rosso delle emergenze accanto alla sedia, il cellulare collegato alla centrale, la chiamata a inizio pasto e lui che scatta, bello e sicuro come un guerriero, lascia il vassoio quasi intatto, beato te che puoi mangiare tranquillo dice con aria superiore e subito corre a salvar la gente, mi basta questo per sentirmi la mezza merda che sono diventato.

E poi magari anche a me interrompono il pasto, Guglielmetti vai a prendere il signor Lacchia di Caluso e portalo alla dialisi. Provo a obbiettare che c’è tutto il tempo, senti, finisco di mangiare e vado; No! gracchia il mio severo dio nella ricetrasmittente, ci vai immediatamente che questo già una volta si è lamentato di te, sei arrivato all’ultimo momento e dopo andavi troppo forte in macchina e lo sballottavi di qui e di là. Ok, vado, non discuto, vado.

Lacchia è una serpe d’uomo. D’accordo ha i suoi malanni, la dialisi non è una passeggiata ma lui ce l’ha col mondo intero e con me in particolare perché lo porto dove non vorrebbe andare. Lo carico, lui e la carrozzina (potrebbe camminare, certo, ma il viaggio verso l’ospedale pretende di farlo sulla sedia a rotella) utilizzando l’elevatore elettrico del mio CuboFiat e da quel momento il signor Lacchia troneggia sul pianale posteriore, diventa il mio tiranno grigio, mi rimbrotta per ogni cosa, la guida, il traffico, il riscaldamento eccessivo o troppo basso, mi tiene il fiato sul collo, sbraita e sputacchia saliva, certe volte mi minaccia pure con l’inseparabile bastone, e diventa un calvario il viaggio. Ci vuole tutta la mia pazienza a sopportarlo e quell’ora che passo con lui mi segna la giornata. Dopo non c’è sorriso di altri miei clienti che compensi l’umore rovinato.

Questo mestiere mi regala poche soddisfazioni e allora retrocedo a minime ambizioni, divento consapevole del poco margine possibile di miglioramento, cerco di lavorare in fretta per ritagliarmi piccoli momenti di consolazione tra un servizio e l’altro, una sosta al bar, qualche sguardo rubato in giro, due parole con la Piera mentre le consegno le provette per le analisi e lei mi firma la ricevuta, il seno che straripa nel camice attillato e quel sorriso un po’ sciupato che invita all’ammicco e alla battuta sconcia alla quale non rinuncio (eh Piera, sempre col vento in poppa e le poppe al vento).

E quando mi capita di andare verso sud a consegnare materiale alla Sorim mi fermo tra le risaie a osservare il bianco degli aironi. Li guardo curvi a nettarsi con il becco le piume al sottocoda e immagino le mondine ancora chine sulle erbacce. Ascolto il loro canto e vedo i corpi curvi che dovevano a quel tempo essere belli.

massimolegnani

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finalmente riesco a stendermi

Posted by il Professore on agosto 24, 2010
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Finalmente riesco a stendermi, sono le 2 di notte… finiti i giri. Liquidi messi su, parametri presi, diuresi scaricata, pompe sostituite su tutti e due, non dovrebbero suonare fino alle 6, l’ora dei prelievi e delle EGA. Il 3 ed il 4 così sistemati non dovrebbero disturbare… non ne posso più.
Oggi è stata una giornata pesantissima, dalle 9 alle 18 BLSD: sempre la solita storia, sia la lezione che i partecipanti al corso. Cerco di metterci entusiasmo, di variare, di aggiungere particolari a qualcosa che è sempre uguale. ABCD… GAS… DAE… una serie di sigle che ai più non significano niente ma che rappresentano l’universo dell’arresto cardiaco. “Signore, signore, c’è una persona incosciente chiamate il 118!” e poi la storia dei crediti formativi ha snaturato il tutto: non gliene frega un niente del corso, di utilizzare il defibrillatore, di imparare a ventilare, della manovra di Heimlich. L’unico interesse è finire presto e superare il test e la prova di valutazione finale. Davanti a loro solo un pallosissimo insegnante, che insegnante non è, che professore non è, che docente non è ma è solo uno che fa un po’ di corsi per “prendere un po’ di soldi in più”.
Non bastasse questo per la mia frustrazione, c’è anche la notte da andare a fare e se sono stanco stai sicuro che non riesco a riposarmi! È la solita storia: se il giorno non dormi la notte balli!
Il turno in rianimazione promette bene. Oggi non sono di uscita per le emergenze intraospedaliere questo significa che se và bene posso stare per i fatti miei con gli arti in scarico e la mano destra sul mouse rapida nei movimenti dello SPIDER. In più oggi ho due pazienti cronici, deconnessi, con un’unica pompa di furosemide, che il medico mette per scaricare il circolo.
Vicino di postazione un giovane chiacchierone che ha voglia di sapere ed un posto vuoto che ha voglia di essere occupato. Risultato??? Ore 23 telefonata dal PS: vogliono un rianimatore e lui parte e dopo 10 minuti telefona per farsi prepare la postazione ed ecco il ricovero che si prolunga un po’ troppo. BPCO già intubato dal 118 che ha solo bisogno di un buon ventilatore, ma il medico, che oggi ha dormito, vuole anche ECG, esami completi, un’arteria radiale, telefonare ai familiari per sapere perché non sono venuti in ospedale… ed un CVC (che significa RX torac ed una lunga attesa per quando con calma arriverà il tecnico reperibile da casa sua).
Le 2 arrivano subito. Dovrei anche riguardare le slide per il corso di EBP di domani, il mio riposo, per l’ennesimo corso e poi le domande del curioso neoassunto (“perché non usano la NIV? Come mai non c’è morfina in ambulanza? Perché non posso andare al congresso???…”)
Speriamo che le 6 arrivino presto…penso proprio che oggi mi merito la sdraio, 4 lenzuoli, uno a coprire la sdraio, 2 sotto la testa e con uno mi copro se non mi ammazza il sonno ci pensa l’aria condizionata, schermi in funzione numeri grandi ed eccomi in mezzo al 3 ed il 4 pronto a far spuntare l’alba. Un’ultima rapida occhiata al teleschermo prima di chiudere un po’ gli occhi e le onde del 3 che iniziano a ballare, quella dell’ecg all’impazzata e l’arteria piatta. Mi alzo accendo tutte le luci, avvicino il carrello dell’urgenza e chiamo tutti intorno a me. Giù il letto, sgonfio il materasso, accendo il defibrillatore, apro la busta attacco il connettore e le piastre… “TUTTI VIA TUTTI VIA STO’ PER SCARICARE” e il sogno di passare una notte tranquilla se ne và con il cuore del 3 che non ha nessuna voglia di far vedere a tutti quanto sono bravo a fare la RCP, ad usare il DAE, a ricordarmi l’ABCD, ad insegnare BLSD…

il Professore

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