tatuaggi

Armando

Posted by Labile on agosto 28, 2015
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titolo giornale

“ È nel buio che sono arrivato, così di corsa che non ho avuto il tempo di vederlo, il Belgio, il luogo del mio contratto di lavoro. Maschio, 35 anni come limite di età, bloccato per un anno pena l’arresto. Condizione di merda per lavorare e senza, come oggi, nessun mare da attraversare e nessun dazio da pagare.

Contratto firmato in patria, l’Italia appena uscita dalla guerra, quella che mi ha risparmiato non uccidendomi in battaglia per consegnarmi alla miniera.

Al buio totale rischiarato poco e male, soffocato da un respiro accorciato dalla polvere, annusando l’odore del gas bruciato.

Nero, nera come la luce che scompare se chiudo gli occhi.

Gli unici al riparo dai graffi di un lavoro che resta impresso sulla pelle. Stretti cunicoli in discesa, 350 franchi il giorno a cottimo se sei bravo a demolire il resto di una vita apparsa milioni di anni fa.

E nel buio paragono le linee che si tatuano sulle mie braccia raschiando lo strato fossile, mischiano nero e sangue a perpetua memoria. Il dorso attraversato da una bibbia di linee scritta con fatica in turni senza paragoni terrestri. Il ciclo continuo della produttività, scendere nei pozzi a centinaia di metri, dove il basso si confonde con l’alto nella dimensione orizzontale del carbone che demolito scivola sul nastro trasportatore. Sul carrello caricato spedito nerissimo verso la luce al suo destino splendente e infuocato.”

 

Armando, mi racconta, preciso, tutto questo con una vocina appena udibile spenta dalla silicosi.

Curioso delle vite degli altri, gli ho appena chiesto delle numerosissime striature tatuate sul corpo, che nere decorano le braccia e ovunque abbia dovuto far fulcro e leva per la fatica di minatore.

Minatore nel Belgio della rinascita post-bellica, giovane ripudiato dalla patria al ritmo di 2000 partenze a settimana senza nessun mare da attraversare.

(“Le case, le pietre /ed il carbone dipingeva/di nero il mondo.
Il sole nasceva/ma io non lo vedevo/mai laggiù nel buio.
Nessuno parlava, /solo il rumore di una pala/che scava, che scava.”
New Trolls 1969)

Labile

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Geronimo

Posted by Labile on gennaio 30, 2014
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L’uomo anziano che arriva in ospedale, annaspa nella poca aria ingurgitata, con la tipica fame d’aria mescolata ad un palese e incontrollabile stato di agitazione.
Il colore, bianchissimo, della pelle mi sorprende mentre taglio la maglietta. Liberato il torace, cominciamo velocemente le manovre consuete per trattare l’edema polmonare imponente che lo travolge.
Incannulate un paio di vene e somministrati i primi farmaci, velocemente collegato al monitor.
“Si, sembra reagire …” è il pensiero che facciamo tutti guardandoci e cominciando ad allentare la tensione provvediamo velocemente al resto.
Nel tagliare la maglietta emergono segni e linee bluastre che pian piano prendono forma. Un uccellino con una rosa in bocca, una scritta che recita eterno amore, una sirena a seno nudo e due code, un cuore dedicato alla mamma.
Tatuaggi abbozzati chissà quando da una mano incerta e in un segno bluastro malamente tratteggiato. Tipici, vista l’età del possessore, dei carcerati.
Di quegli uomini che hanno passato chissà quanti anni “a bottega” come mi spiegherà in seguito Geronimo che con voce stentata risponderà alla mia curiosità.
Si l’ho battezzato subito Geronimo, come il mitico e bellicoso capo indiano Apache, visto che sul suo petto troneggiava anche una enorme figura di un Indiano con copricapo di piume, fumante una lunga pipa, il calumet della pace. La figura, sicuramente il più importante fra i suoi tatuaggi, occupava l’immenso e bianchissimo torace che per parecchio tempo ci ha impegnati a risolvere il suo edema polmonare.
Geronimo, ultraottantenne, ha scontato per un delitto “d’onore ” parecchi anni in carcere. Uomo d’altri tempi, che capita qui in pronto soccorso, trascinando peccati lavati e raccontabili dalla sua pelle tatuata nelle lunghe giornate carcerate con ago e inchiostro, che a distanza di decine di anni hanno assunto una particolare colorazione bluastra che raccontano la sua personale visione dell’amore provato per la sua donna passato per un onore schizzato di fango.
Uomo d’altra epoca, di quelli che la donna era prima la mamma e poi la moglie, sempre da amare all’infinito e sempre da proteggere magari smacchiando le offese nel sangue, come accadeva nell’Italia dei primi anni ’50.
Geronimo raccontandomi e spiegandomi il significato dei suoi tatuaggi mi fa capire l’infinito amore provato, quello sospeso e sempre sognato nelle giornate carcerate, dell’attesa dentro lui e fuori lei, che aspetta, che lo aspetta fino alla fine. E allora sirene a due code sognate di notte e un uccellino per portare una rosa d’amore all’amata e ricordarsi sempre che l’amore, quello certo, ce lo insegna per prima la mamma.
“E l’indiano , Geronimo?”

“Essi sapevano come stavano le cose e tuttavia dissero che io ero un uomo cattivo: l’uomo peggiore del posto; ma che cosa avevo fatto? lo stavo vivendo pacificamente qui con la mia famiglia sotto l’ombra degli alberi …”

Labile

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