Nel tepore autunnale di una sera di Ottobre, quando la notte, avida di tempo, anticipa sensibilmente la sua immanenza e i lampioni tratteggiano profili urbani dai contorni assai familiari, mi avvio sul vecchio sentiero, cosparso di foglie secche, mentre una Luna curiosa e impaziente si affaccia tra i rami, quasi ormai spogli. Mi dirigo verso l’ultima notte di guardia, in terapia
intensiva pediatrica, poiché da domani lavorerò altrove, più lontano, ben oltre il sentiero, in un luogo non raggiungibile a piedi: tornerò ad occuparmi di adulti. Si tratta di una scelta professionale, del tutto priva di contenuti affettivi.
Così, incedo più lentamente del solito, nel tentativo di catturare ogni istante, ogni immagine, ogni profumo del cammino che tutti i giorni, per anni, attraverso la poesia del parco fluviale, mi aveva condotto dai miei piccoli e tanto amabili pazienti. Assaporo quei momenti come fossero le ultime boccate del fumatore o l’ultimo bicchiere del bevitore e con quei gusti, che già sono ricordi, nel palato, mi ritrovo in reparto, dove le voci del personale e i suoni dei monitors mi catapultano nella realtà lavorativa, proprio al termine dell’orario di visita dei parenti, che coincide con il cambio di turno.
Indossata la divisa verde, raggiungo il collega pomeridiano che colloquia coi parenti: la piccola rianimazione che, in presenza dei soli pazienti assume dimensioni apparentemente normali, si ritrae decisamente, quando viene occupata anche dal personale e dai visitatori, tanto che, da un capo della stanza si percepiscono distintamente le parole pronunciate all’altro!
Vengo presentato a una coppia di genitori che ancora non conosco, ma che ricorderò a lungo, poiché mai nel corso di una vita, finora, mi sono sentito così piccino! Come posso dimenticare la gioia e la felicità di quel padre, la luce emanata dallo sguardo che fende le lenti degli occhiali e mi travolge d’imbarazzo? E il sorriso commosso di soddisfazione e speranza della madre?
Entrambi per l’ottenimento…dell’adozione!
Si tratta, in effetti, dei nuovi genitori di un piccolo paziente, un infante portatore di sindrome di Down, ricoverato in terapia intensiva a seguito di un intervento correttivo di malformazione connatale, abbandonato appena dopo la,nascita. Mi raccontano di un figlio più grande, anch’egli adottivo, paraplegico perché colpito da una neuropatia congenita, che brama di conoscere il nuovo fratellino e che pertanto verrà presto a fargli visita. Mi congedo con una vigorosa e rispettosa stretta di mano e sorvolo sul mio trasferimento,
attonito per l’esistenza di un tale coraggio e per una capacità di amare così intensa, prorompente e incondizionata (sicuramente immaginabile, ma quanto realistica, invero?) e al cui cospetto…mi pare di svanire!
Terminato il giro-visite, consumati alcuni dolcetti d’addio col personale, raggiungo lo studio del medico di guardia, dove trascorrerò l’ultima notte, insonne, riflettendo poco sul futuro, ma molto… sul passato!
Zarianto