foto di GP
Il nostro essere viene talvolta così essenzialmente colpito, che può essere fatto a pezzi. Ci sono circostanze in cui non si apprezza niente.
La fragilità del nostro essere è una realtà di cui bisogna tenere conto, per poter coltivare la bellezza e vincere.
A passo col tempo, l’essere umano, ha sentito il suo potere crescere. Le due espressioni del suo genio, la scienza e la tecnica, gli hanno fatto credere di essere il padrone del mondo, l’inizio e la fine, il potente conduttore e modellatore della vita. Un’intera certezza sembra che lo abbia avvolto!
Nel momento in cui pensava di essere più forte, la sua anima colpita da un grammo di difficoltà si è infranta come la porcellana.
Spesso l’essere umano dimentica chi è, litiga con se stesso. In realtà lui ha il potere e la luce, la debolezza e il buio.
Quando queste cose vengono dimenticate, lui vive pesanti fatiche.
Emerge quindi che lo studente ha bisogno di trovare lungo il suo percorso, oltre l’informazione anche la comunicazione e l’ascolto, a tal punto da permettere di individuare problemi e soluzioni, tendenze e desideri, rotture e legami, predisponendo i meccanismi interiori per far fronte al bisogno.
Lo studente ha bisogno di esporre la paura, la timidezza e l’incertezza con l’obiettivo di trovare la parte accogliente in momenti protetti di riflessione. Momenti in cui la fragilità può prendere un senso. Momenti in cui poter discutere la morte, misurare l’emozione, sospendere il giudizio, far diventare la riflessione uno strumento di interpretazione della fragilità.
La libertà di espressione lungo il percorso tortuoso che hai scelto con paura è parte integrante di te; e così anche il potere di lottare contro quella paura.
La libertà di espressione è un supporto nelle scelte che non rendono giustizia ai tuoi valori e principi: punti di vista diversi, decisioni immorali, conflitti religiosi sul perché della vita e culture che non sai ascoltare.
Pensieri torbidi tra la scienza e la realtà, tanto da cadere in un vortice accecante e non capire più, alla fine, il motivo della tua scelta.
Momento di silenzio… guardi dentro di te. Rifletti sull’accaduto. Altre storie simili alla tua ti accolgono e, d’un tratto, non sei più solo.
Hai combattuto con le tue ossessioni all’infinito e ti rendi conto che sono loro la tua fonte di forza: ostinato schieramento, con in testa la morte, che ti spinge sul fronte dell’impotenza, dove la guerra è stata persa in partenza, per accorgersi che basta stare vicino e saper ascoltare, non con l’udito, ma con calore e con la tua risorsa più preziosa: il tempo. Con la consapevolezza che non c’è farmaco che possa rendere felici… se non tu.
fragilità
fra·gi·li·tà/
sostantivo femminile
1-Facilità di rompersi al minimo urto, o ( fig. ) di cedere alla minima occasione.
“la f. del vetro”
2-In medicina, la tendenza di alcuni organi o tessuti a lesionarsi facilmente. “f. ossea”
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Mi sono spezzata la seconda settimana di giugno, era mercoledi.
Sapevo di aver immagazzinato esperienza, attenzione.
Ho curato alcune ferite ma ne ho anche accumulate di nuove, ho ascoltato, osservato tantissimo, sono riuscita a fare dei passi indietro anche quando avrei voluto andare avanti perchè dentro di me sapevo che non ero pronta, che non era ancora il momento giusto.
Ho annusato, pulito, digrignato i denti sotto la mascherina, sono riuscita a non piangere e a essere recettiva nella piccola emergenza che abbiamo gestito e nelle piccole emergenze “soggettive e quotidiane” dei nostri utenti.
Ho riso e sorriso spesso, molto più di quello che avrei pensato, mi sono arrabbiata tornando a casa e chiedendomi se stavo facendo davvero tutto il possibile, chiedendomi che tipo di professionista sarei voluta diventare.
E poi, alla fine, sono tornata a casa, ho messo a lavare la divisa per l’ultima volta. E’ lì, stesa ad asciugare che aspetta.
Quel mercoledì di ormai quasi cinque mesi fa avevo addosso la mia divisa bianca e verde, il visor che ormai era diventato parte integrante della mia faccia e indossavo i guanti blu: ho fatto un prelievo il primo della giornata ed è stato anche l’ultimo. La signora a cui ho fatto il prelievo era incinta di quasi quattro mesi ed era andata in preeclampsia.
Sono state due ore intense, di pressioni prese, di palpazioni all’utero, di parole soffocate e di parole vomitate, di sguardi e di tessuti lesionati.
Sono state due ore in cui a entrambe si è rotto qualcosa dentro, sono state due ore in cui abbiamo alzato e abbassato il lettino, abbiamo cercato di trovare una posizione che non la facesse stare troppo male, abbiamo tenuto strette le mani quando è arrivata l’ambulanza, abbiamo provato a parlare dei suoi figli e del marito, le uniche cose che la potevano far sorridere in quel momento.
Sono state due ore in cui abbiamo monitorato, chiamato, parlato e aspettato : non abbiamo mai pianto, mai mostrato agitazione, solo molta attenzione ai dettagli.
Sapevamo che qualcosa stava cambiando, qualcosa si stava modificando dentro di lei e di riflesso anche dentro di me: il suo utero e il mio. Uno che accoglieva e l’altro che da sempre si rifiutava di accogliere. Una mamma e una non mamma. Ed eravamo lì insieme, a prendere questi pezzi e a cercare di trovare un modo per uscire da quella situazione. Insieme.
La fragilità è rottura, è lo spezzarsi dei legami, ma è anche un modo di sentire e di vivere, di lasciarsi pervadere dalle sensazioni e dalle emozioni. La fragilità è un modo di saper sentire sottopelle le parole che vengono raccontate dalla persona assistita, è un modo per cercare di capire e decidere come comportarsi.
La fragilità, ho scoperto, è anche il sapersi mettere in discussione senza dare per scontato di sapere tutto, è il chiedersi se veramente abbiamo fatto tutto il possibile, ma se lo abbiamo fatto al meglio per la persona, non per noi stessi.
La fragilità è anche avere un po’di umiltà nell’ammettere a se stessi a agli altri, colleghi e persone assistite, di non essere in grado di gestire al meglio una determinata situazione: fermarsi e chiedere aiuto, avere voglia di confrontarsi e aver voglia di crescere. Di crescere tutti. Non solo gli studenti.
E’ un modo per decidere che tipo di professionista voglio essere domani iniziando da oggi.
A questo punto mi chiedo se la fragilità fa parte di noi sin dalla nascita o si palesa con l’educazione e la cultura, come la vergogna. Spesso ci si vergogna di essere fragili. Reprimiamo emozioni, nascondiamo difetti, evitiamo situazioni scomode, che la nostra fragilità ci impedisce di affrontare. E se smettessimo di vergognarci della nostra fragilità e trovassimo un senso?
Ho iniziato il mio percorso in punta di piedi, sono entrata e tornata indietro con passi sospesi.
E adesso ho iniziato a correre.
Dahara