[…] Partendo dal postulato che causa diretta dell’arresto temporaneo o permanete della vita fosse la coagulazione di taluni elementi e composti del protoplasma, aveva isolato le varie sostanze sottoponendole a numerosi esperimenti. Siccome l’arresto temporaneo dell’energia vitale in un organismo porta al coma, e un arresto permanente alla morte, lui riteneva che con mezzi artificiali tale coagulazione del protoplasma si potesse ritardare, prevenire e addirittura vincere nei casi finali della solidificazione. Insomma, accantonando la terminologia tecnica, sosteneva che la morte, qualora non violenta e laddove nessun organo vitale risulti leso, è soltanto energia vitale interrotta; in un caso del genere, adottando i metodi appropriati, si poteva indurre la vita a riprendere le sue funzioni. Questa dunque la sua idea: scoprire il metodo – e verificarne sperimentalmente la possibilità – di restituire l’energia vitale a un organismo che la vita sembrava aver abbandonato.
[…] Una volta che fu tutto pronto, venni ucciso da una massiccia dose di stricnina e lasciato morto per una ventina di ore. Per tutto quel lasso di tempo il mio corpo rimase morto, assolutamente morto. Respirazione e circolazione cessarono del tutto; ma la cosa spaventosa fu che, mentre era in atto la coagulazione protoplasmatica, io ero cosciente, e in grado di studiarla in tutti i suoi raccapriccianti particolari.
L’apparecchio usato per riportarmi in vita era una camera a tenuta d’aria, fatta in modo da contenere il mio corpo. Il meccanismo era semplice: qualche valvola, un albero rotante, una manovella e un motore elettrico. Quando era in funzione, l’atmosfera all’interno era condensata e rarefatta a fasi alterne, consentendo così una respirazione artificiale ai polmoni senza dover ricorrere ai tubi usati in precedenza. Pur con il corpo inerte e, per quel che ne sapevo, ai primi stadi della decomposizione, non mi sfuggiva niente di quanto succedeva. Mi resi conto di quando mi misero nella camera e, pur con i sensi sopiti mi accorsi delle iniezioni ipodermiche a base di un composto fatto per reagire al processo di coagulazione. Poi chiusero la camera e il meccanismo si mise in funzione. Ero in preda all’angoscia: ma la circolazione tornò pian piano normale, i vari organi ripresero a svolgere le rispettive funzioni, e nel giro di un’ora consumavo un lauto pasto. (da “Le mille e una morte” di Jack London).
il guardiano
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