Quasi finita.
Esco.
Sigaretta.
Fa caldo oggi, quel caldo afoso che contrasta con il fisiologico bisogno di assumere al più presto il clinostatismo e lasciare calare l’adrenalina.
Non cala, sono le otto del mattino in questa caotica città: i bambini vanno a scuola, il bar dell’ospedale serve i pochi cornetti avanzati dall’orda dei “ragazzi del pronto” che, puntualmente alle sei mezza cercano coccole in un cappuccino forse troppo tiepido, mai così buono eppure necessario.
Occhi gonfi… ok sta scendendo, il parasimpatico riprende con prepotenza il suo ruolo evolutivo e spinge l’uomo al letto e la donna -toste le donne del pronto- a casa,dai bambini o dai mariti, che forse a volte non capiscono perché cazzo la loro compagna di vita abbia scelto quel lavoro.
Jeans, Converse rosse e maglia di qualche festival reggae di chissà dove, sigaretta in bocca e come uno zombie vengo travolto dalla miriade di impegni quotidiani altrui…
-ecchecazzo scansati,non vedi che sei in mezzo alla strada? ma sei fatto?-
-magari-
-vaffanculo-
Vai in edicola
E chiedi il tuo Corriere, non altro.
Sembri solo uno mediamente sfatto che compra un giornale, abbastanza invisibile per i più, riconoscibile appena per il fonendo che tracima dalla borsa col suo plumcake spiaccicato in fondo.
Forse solo per quello in edicola non controllano se i soldi sono buoni.
Stai pensando a cosa avresti sbagliato al posto dei tuoi strutturati e dei tuoi specializzandi, chè rappresenti il fondo della catena alimentare dell’AZIENDA-oddio-ospedaliera e sparare a te non è come sparare alla Croce Rossa, non buchi nemmeno la gomma, al limite, nell’ “area calda” rantoli nel tuo emotorace, questione di dieci minuti, del tutto fisiologica.
Quando esco conto trentadue passi.
Il parcheggio bici delle aule.
Questa sigaretta non è per me, è per festeggiare chi vedo uscire sulle proprie gambe e persino io lo immaginavo sin da subito, ma a volte non ci speravo, quelli che invece riempiranno con gioia le consegne delle cliniche d’accoglimento e quelli che vengono presi mezz’ora prima, sul retro da quell’anonimo furgone bianco senza scritte, interni in nichel, ragazzi 9,30 autopsia….
Pensavo all’inizio che ognuno di quei camioncini rappresentasse un nostro errore, il classico momento in cui ti penti di non aver scelto l’avvocatura, in cui ti chiedi se forse non era quello l’unico caso in cui andava applicato ciò che stai studiando su tomi da duemila e passa pagine, e per gli altri hai avuto solo culo.
Invece ho capito che rappresenta la vita come le auto in coda, il caffè schifoso delle macchinette alle tre del mattino, i maghrebini ammanettati alle barelle da sbirri che portano una bandiera in cui credo e che a volte -poche- meriterebbero che qualcuno gliela facesse mangiare in corsia, la gente che litiga in fila alle poste, quell’ EPA che EPA magari boh…, mah… forse proprio EPA non è fino a che il valore del D-Dimero non sembrava un jackpot dell’enalotto.
O per quel sogno, quel cucciolo con i capelli d’oro che fissi come un ebete, e raccogliere l’anamnesi, da grande onore diventa una seccatura, perché devi scrivere al computer e non puoi perderti nei suoi occhi, e tutto ciò che vorresti dirle è solo: “andrà tutto bene perché io sono qui”, anche se tutto sommato non conti un cazzo.
È particolare.
È dura, ti serve un maestro.
Io l’ho trovata…
Ho ormai fumato la mia quarta sigaretta.
Questa è per voi che entrate distesi in area rossa, col fiato che si spezza nella gola con valori tennistici al saturimetro, forse la squallida lampada al neon sopra il vostro letto sarà l’ultima immagine impressa nelle vostre rètine .
Combatteranno con il cuore di chi non può permettersi di sbagliare ed insieme a volte sbaglia di proposito, perché ricorda che non si cura un cuore malato, ma una persona malata di cuore.
La quinta mi porta a casa e mi insegna che di strada ne manca e tanta…
Darò tutto per i miei pazienti, amore fraterno a tutti coloro che mi lavoreranno a fianco, il mio rispetto e l’obbedienza al mio maestro.
Grazie Pronto,
Sto diventando grande
Bellerophontes
notevole.