Sull’orlo dello sfratto

Posted by Ania on febbraio 21, 2010
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” [….] Se io fossi malato mi piacerebbe non dover soffrire per le mie miserie fisiche, non dovermi vergognare per i segni del tempo sul mio corpo.
Vorrei potermi muovere ed esistere in un mondo che ancora mi appartiene e non sentirmi costantemente sull’orlo dello sfratto.
Se io fossi malato vorrei sentirmi dire in Ospedale “può tornare a casa perchè sta meglio” e non perchè “non ci sono posti”.
Vorrei potermi svegliare da un breve sonno e ritrovarmi accanto un volto noto che mi riporti un pizzico di mondo, non di nostalgia, ma di continuità, un attimo di speranza da leggere in un sorriso che crede e non finge.
Se io fossi malato vorrei conservare tutta la mia dignità, il mio nome, il mio “dottore”, non vorrei mai più essere un numero.
Anche se tutti mi dicessero che non serve a niente in quelle condizioni, io vorrei pensare che la malattia è solo una condizione dell’uomo, non è la distruzione dell’uomo.
Se io fossi malato vorrei essere trattato con rispetto vero e non con falsa affettuosità, vorrei che le mie paure non mi facessero deridere, vorrei che su di me si praticassero solo le cure necessarie.
Non vorrei diventare inconsapevole terreno di battaglia fra la morte e qualche medico assetato della gloria dei numeri; non vorrei essere un percento statistico in coma irreversibile.
Se io fossi malato vorrei attendere la guarigione e continuare a vivere fino a quando la morte non venga a concludere la mia vita. [….] ”

 (da “Il cavallino di pietra” di E. Carchietti).

Ania

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primanotte

Posted by Ania on aprile 12, 2009
cronache / 3 Commenti

Sono le ventuno, avevo avvisato che sarei arrivata un po’ più tardi, tutina blu elettrico , zoccoletti azzurri e camice bianco , tutto stirato alla perfezione e tutto col profumo che solo le mamme sanno dare al bucato, eppure anche io uso gli stessi detersivi, ah si… ma questa è un’altra storia.
Metto sul taschino tre penne, tutte griffate con il nome dei farmaci, con i colleghi facciamo a gara a chi riesce ad averne di più, metto in tasca una calcolatrice, un prontuario un blocchetto per gli appunti e il fonendoscopio al collo, Littman naturamente, però in effetti messo così attorno al collo sa tanto di E.R. o di Grey’s Anatomy, magari poi sembro ridicola e un po’ convinta, ma si dai, mettiamolo in tasca, anche se poi mi si impiglierà ovunque, ora attacco il cartellino che dice “Dottoressa… medico tirocinante”.
Io medico?? Stamattina mi hanno chiamato e mi hanno confermato l’iscrizione all’ordine, mamma mia, ma se fino a qualche mese fa mi disperavo per l’esame di neurologia!
Mah che dire, ecco, sta pure arrivando un’ambulanza, va bene, la vestizione è finita, leghiamo i capelli e andiamo: ora non ho più scuse e poi ho sempre sognato di essere qui.
Arrivo al piano superiore di fronte alla saletta delle emergenze, ecco la mia tutor, non si è accorta che sono arrivata, tutti si affannano attorno al paziente, il medico del 118 che parla di infarto e tutti che si adoperano, aghi, aghetti, monitor, ossigeno, provette, mi infilo nella stanza e mi metto in un angolino da cui posso vedere tutto senza essere d’intralcio, ognuno fa qualcosa, l’uno perfettamente coordinato all’altro, come una danza provata mille volte, quasi a ritmo di musica, io mi stringo nel camice che sa di ammorbidente impaurita, quasi a trovare coraggio nel profumo che solo i panni lavati dalla mamma hanno. Sollevo lo sguardo sono passati già 15 minuti, che strano, ma siamo sicuri? Magari l’orologio corre troppo in fretta. Ora il paziente è stabile, l’infermiera avvisa i cardiologi, adesso bisogna portarlo al quarto piano. Ecco la tutor si è accorta di me, mi sorride e mi chiede se sto bene ” Sì sì – dico io – sono sempre cosi pallida”.
Non le dico che il cuore sta per saltarmi via dal petto, mi sorride ancora e mi dice: “Vieni lo portiamo su in cardiologia, prendi lo zainetto di emergenza e chiama l’ascensore. Sei pronta per la tua prima notte dottoressa ? ”

aspirante anestesista