” [….] Se io fossi malato mi piacerebbe non dover soffrire per le mie miserie fisiche, non dovermi vergognare per i segni del tempo sul mio corpo.
Vorrei potermi muovere ed esistere in un mondo che ancora mi appartiene e non sentirmi costantemente sull’orlo dello sfratto.
Se io fossi malato vorrei sentirmi dire in Ospedale “può tornare a casa perchè sta meglio” e non perchè “non ci sono posti”.
Vorrei potermi svegliare da un breve sonno e ritrovarmi accanto un volto noto che mi riporti un pizzico di mondo, non di nostalgia, ma di continuità, un attimo di speranza da leggere in un sorriso che crede e non finge.
Se io fossi malato vorrei conservare tutta la mia dignità, il mio nome, il mio “dottore”, non vorrei mai più essere un numero.
Anche se tutti mi dicessero che non serve a niente in quelle condizioni, io vorrei pensare che la malattia è solo una condizione dell’uomo, non è la distruzione dell’uomo.
Se io fossi malato vorrei essere trattato con rispetto vero e non con falsa affettuosità, vorrei che le mie paure non mi facessero deridere, vorrei che su di me si praticassero solo le cure necessarie.
Non vorrei diventare inconsapevole terreno di battaglia fra la morte e qualche medico assetato della gloria dei numeri; non vorrei essere un percento statistico in coma irreversibile.
Se io fossi malato vorrei attendere la guarigione e continuare a vivere fino a quando la morte non venga a concludere la mia vita. [….] ”
(da “Il cavallino di pietra” di E. Carchietti).
Ania