Stasera proprio non mi va, eppure devo, ma non mi va, ma devo. E’ sabato, e il sabato notte in ospedale è corredato di una nota di tristezza in più rispetto alle notti infrasettimanali.
Stasera non mi va di lasciare la mia famiglia, mio figlio, non mi va di fare la persona seria quando tutti gli altri, proprio perché è il weekend, si possono permettere di non esserlo.
Non mi va di impegnarmi con la mente, con l’anima e con il corpo quando gli altri stanno rilassati: non dico che vorrei andare in giro per discoteche che non è più tempo né luogo, (se questi siano mai esistiti!), ma che mi piacerebbe essere stasera anche come chi può abbandonarsi lascivamente ad un programma televisivo o ad una pizza casalinga o ad una nuova ricetta.
Ebbene sì, stasera non mi va di pensare alle vite degli altri, stasera mi va di pensare alla vita mia.
Ma queste sono parole che non posso confidare a nessuno, perché nessuno capirebbe, mi si risponderebbe con un’altra domanda: ma come? Tu sei un medico, e allora perché hai scelto di fare questo mestiere? Come se non fossi un essere umano anche io,come se non avessi una famiglia anche io, come se una volta tanto, ma una volta solamente, non potessi avere voglia di tirarmi indietro… Come se non potessi sentirmi male anche io, non di un male fisico, ma di un male dentro. Eppure la mia notte comincia ore 20.
Il benvenuto non è male… Al marcatempo è tutto un brulicare di “beep” di entrate e di “beep” di uscite. Quelli che entrano hanno il viso uguale al mio, un po’ stanchi per la giornata trascorsa, e il sabato si sa è il giorno della spesa e dei servizi in casa e con i figli, un po’ spaventati per quello che succederà ma con l’aria sicura di chi pensa “non è mica la mia prima notte in PS!!!”; quelli che escono sono visibilmente stanchi ma contenti, la loro giornata è finita.
Incrocio vari colleghi, “ciao, tutto a posto?”, “si tutto ok, grazie e a te?”, “senti ma poi quella signora?..” fra questi una serie di “buonasera dottorè” che sono poi sono i saluti che personalmente gradisco di più, perchè mi capita spesso che con il personale paramedico riesco ad instaurare un rapporto di maggiore autenticità.
E’ tempo per me di salire in reparto, I piano, servizio di Radiologia. Neanche il tempo di andarmi a cambiare che subito arrivano 2 eco addome del PS, chiama la chirurgia “una diretta addome urgente sospetto di perforazione”, scendono 4 bambini della pediatria “non abbiamo posti e prima di mandarli a casa vogliamo stare sicuri con un’rx del torace” … e io sempre in borghese.
Nonostante i miei 35 anni ed un abbigliamento non proprio da teenager i miei momentanei pazienti si ostinano a darmi del tu (ma questo è per ignoranza credo) a chiamarmi “bella” e a non farmi domande sul loro status perché forse non gli sembro credibile… sarà, ma io non affiderei i miei organi addominali ad una sonda ecografica manovrata da una che non abbia laurea né specializzazione. Uno dei tecnici di radiologia più anziano è quello che i pazienti individuano come “il dottore” e a lui pongono tutte le domande, pure sulle ecografie che IO ho appena fatto… Bene! Ho trovato la strategia per spersonalizzarmi da me stessa stasera, per non essere io, per non essere quello che stasera non ho voglia di essere… e invece no, il referto lo firmo io, solo e soltanto io.
Finalmente mi riesco a cambiare, adesso sono vestita da medico, adesso porto pure un cartellino appeso al camice vicino al dosimetro. Adesso potete pure farvi male, che il radiologo sta qua. Qualcuno ascolta la mia voce dell’inconscio e arriva un codice rosso, forse viola. E un codice così rosso a metà serata non è mai un buon indice di predittività positiva della notte. Parlo con i colleghi, loro richiedono eco addome, rx torace, tc cranio etc etc… Ma che perdiamo il tempo? Via direttamente TAC e pure con il contrasto non c’è tempo da perdere: inizio le scansioni e ingurgito a mano a mano che vedo le immagini. Il chirurgo col fiato sul collo – che in quel momento odio, però poi penso, poveretto questo qui lo deve operare lui! – incalza “allora? Che tiene? E il torace? E l’addome?” e io “Calma, ancora 20 secondi e ti dico tutto…”. Rivedo tutte le immagini e comincio “PNX a sinistra con emotorace, aree contusive parenchimali polmonari multiple bilateralmente, frattura di milza, frattura di rene sinistro, frattura dell’ala iliaca sinistra, abbondante liquido libero in addome, fegato e rene destro apparentemente nella norma.”… Che guaio… E via dritti in sala operatoria. Via. Sono andati tutti. Da che il corridoio trasbordava di gente fra chirurghi anestesisti infermieri e barellieri, ora il vuoto assoluto. E io ancora con l’adrenalina in corpo.
Riesco a mangiare un boccone in compagnia dei tecnici di radiologia mentre continuano ad arrivare altri pazienti con banali contusioni, qualcuno con la colica renale, qualcuno ha mangiato un po’ troppo, qualcun altro si è fratturato un dito, e io continuo a pensare a quel povero disgraziato in sala operatoria che pare avesse perso il controllo del motorino e fosse andato a sbattere violentemente contro un albero. Sono le 3 e mezza. Vengo chiamata urgentemente in sala operatoria per un’eco. Corro pensando di aver fatto un guaio, che magari non ho visto una lesione al fegato, che magari non ho visto qualcosa di lampante e invece no, si tratta di tutt’altro: un uomo con un’arteria del braccio recisa dopo un trauma e zampillante… non potevano portarlo in radiologia in queste condizioni, ma bisogna fare una valutazione di eventuali traumi agli organi interni. Mi avvicino con la sonda ma… sono troppo bassa per il tavolo operatorio, col mio braccio destro non arrivo fino al lato sinistro del paziente per cui, tra le risate di tutti, mi viene gentilmente concesso uno “scannetiello per la dottoressa” ovvero uno sgabellino. Così vi salgo e comincio l’eco, ma stavolta, grazie a Dio, non c’è nulla. Stando all’in piedi sullo sgabellino porgo il mio di dietro ad un collega, maschietto, che in maniera simpatica non manca di fare un commento… in altri tempi gli avrei reciso una carotide col suo stesso bisturi, ma stanotte no, quella specie di complimento me lo prendo per buono, e anzi rispondo come solo una donna medico ospedaliero sa rispondere e nessuna altra donna sa.
Torno in reparto, si sono fatte quasi le 5 e vengo graziata da una pioggia scrosciante… Nessuno esce di casa, diluvia e fa troppo freddo… Mi appoggio sul lettino…
Toc toc… “Dottorè!” – “No, ancora?” – “Dottorè sono le 7,30… c’è il caffé!”
drKrishna