Inizio il turno del pomeriggio… sembra tranquillo oggi. Poche consegne, solite cose: il fibroscopio da ritirare, un trasferimento, una tac e due probabili ricoveri, ma ancora non si sa nulla, devono chiamare dalla sala. Bene, allora subito caffè e poi si aprono le danze.
Ma come, abbiamo aperto 13° letto? Non l’avevo visto… Mi avvicino: noooooo, ma non l’evamo dimessa ieri? E’ di nuovo qui? Ma se era uscita dal reparto leggendo il giornale? Boh…
Oggi il caffè è particolarmente buono… ma si porta dietro il solito richiamo: “C’è un oss? Corri!”. Mollo tutto, caffè e compagnia, esco dalla tisaneria e cerco di capire da dove arriva la voce… letto 13 (l’ospite in più), prona e 5 infermieri intorno.
Che c’è? Chiama un medico, è in arresto.
COSAAAAAA?
Tutti intorno, dobbiamo supinarla e iniziare il massaggio…
Porta il defibrillatore… carica… via tutti… scarica! Ancora e ancora… Dammi un filtro nuovo, questo è pieno di sangue… aspira… adrenalina… presto…
Sono passate quasi due ore e siamo ancora lì: il primario, la caposala, due rianimatori, tre infermieri ed io…
Sembrava un film. Proprio E.R, non quelle stupide fiction italiane sugli ospedali, no no. Ma purtroppo era tutto vero.
Quella signora che ieri mi ha salutato col sorriso ci stava lasciando. Ogni sforzo sembrava inutile… Eravamo tutti impotenti di fronte a tutto ciò che succedeva.
Fuori, nel corridoio, le figlie in lacrime. Sentivamo le urla della disperazione.
La caposala corre fuori, prova a consolarle, ma tutto è difficile, il momento e la lingua. Già, la lingua… le ragazze parlavano un italiano stentato e la caposala non parla il rumeno. In questi momenti le parole non sono tutto, ma aiutano…
Intanto dentro il delirio. Consumati dalla fatica ci arrendiamo all’evidenza. Ora del decesso 17.45.
Ci guardiamo demoralizzati, delusi, tristi e sfiancati…
Dov’è l’oss?
Sono qui capa. Dimmi…
Non c’è tempo da perdere, bisogna sistemare la signora subito, le figlie vogliono entrare…
Ti prego capa, un attimo di respiro, non ce la facciamo più!
Nessun respiro, muovetevi, subito… E poi manca una cosa fondamentale.
Cosa?
Come, cosa? Lo sai che loro vengono dalla Romania?
Certo che lo so, quindi?
Quindi sono ortodossi…
E allora?
Basta con le domande! Corri a prendere una candela, accendila e mettila ai piedi del letto.
Come scusa? Cosa devo prendere? Una candela? E dove la trovo?
Non mi interessa dove. Vai a rubarla in Chiesa!
Non ci posso credere. Dopo tutto quello che è successo anche questa! Per un attimo ho avuto la visione: io, incappucciata, al settimo piano che mi infilo con passo furtivo nella cappella dell’ospedale, rubo una candela e scappo. Poi torno in me, chiamo il sacerdote al telefono e gli chiedo gentilmente di portarne giù una.
Gli ortodossi, decisamente, hanno ragione. La candela è un simbolo che descrive esattamente quella che è la nostra vita: accesa dalla fiamma della passione, dona luce e calore, ma è sufficiente un alito di vento…
OSS