Biopsia

Scritta da rens su Agosto 02, 2015
cronache
Foto di EP

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Entrato poche decine di minuti prima in ospedale, ero già belle che nudo in sala operatoria, con soltanto una pellicola addosso, quella verde degli operandi.

Rosa mi aveva salutato accompagnando la barella da corsa su cui due atletiche infermiere mi avevano spinto verso l’ascensore. Dentro. La porta s’era chiusa e con lei il sorriso di Rosa.

Soffriva più di me.

Rosa carissima.

Tu invece non puoi soffrire, perché in quegli istanti non ci sei, non sei tu, galleggi, sei senza peso e non hai tempo in corpo, sei in un vortice che ti annulla e ti arma di incoscienza. A farti fortissimo.

Poco prima, in camera, era venuta a trovarmi Mira. Ci conosciamo da una vita, da quando eravamo ragazzi con tanti sogni in cuore. È medico. Mi avrebbe addormentato lei. Mi aveva portato un po’ di valium per calmarmi. Forse lo fanno d’abitudine.

Ecco, la mia giornata di biopsia, o autopsia, che non è poi tanto diverso, era cominciata così.

Circondato da donne. Un inizio bellissimo.

In sala operatoria, attesa. Chissà perché ti fanno sempre attendere prima di segarti. Nudo al freddo. Per congelarti, credo; così, se sei duro, ti tagliano meglio. Anche se scricchioli un po’.

Ma ancora una donna era intervenuta, vestita di verde questa e con mascherina, però abbassata; s’era fatta avanti senza chiederglielo, a coprirmi con un telo d’argento. Che non sentissi freddo.

E lì attorno ce n’erano un mucchio di donne. Una che mi conosce, simpatica, un’altra del soccorso alpino, e quindi un po’ capra – delle rocce – come me; e poi la moglie d’un mio amico, affabile e gentile e stupita nel vedermi lì afflosciato. E infine Mira, che col tatto semplice di chi ha tanto cuore, mi aveva lasciato gli occhiali, che potessi vedere con chi stavo parlando.

Non mi sembrava d’essere in attesa dell’autopsia; ero lì ad intrattenermi in affabile compagnia parlando del più e del meno, come si conviene tra persone che la sorte, chissà perché, ha messo insieme in quel luogo e in quell’istante affinché si parlino, si conoscano, si guardino negli occhi e, forse, si aiutino.

Così il tempo vola e non pensi a nulla. Sconfiggi l’ansia e non soffri.

Infine, mi portano di là, pochi metri, oltre la tenda alla mia sinistra: un mucchio di gente attorno, tutti con le mascherine alzate. Seri, serissimi, questi!

Possibile che siano tutti qui per me? Perbacco, sarà mai tanto complicato…

Così è sfumato, con un guizzo in vena di chissà quale brodo, in quell’istante, il mio pensiero; quel giorno, in quell’ora presta del mattino in quell’ospedale.

Attorniato da donne.

Rens

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