Piove.
Il telefono di questa piccola associazione ha finalmente smesso di suonare e la testa ciondola pesante sul tomo di Patologia, senza una reale intenzione di scovarne i segreti, almeno per stanotte.
Ripenso a questa prima settimana di tirocinio: pochi giorni, tantissimi volti, troppi morti. Non pensavo davvero che l’impatto sarebbe stato così emotivamente duro. In fondo, come soccorritore, ho già avuto a che fare con la morte.
In Clinica Medica è diverso, però. E’ tutto più lento, pacato, preciso e ponderato. Le diagnosi più pesanti diventano parole scritte a tratto leggero, che noi studenti scrutiamo, ansiosi. La terapia si progetta sul lungo termine, i miglioramenti sono lenti. I peggioramenti, invece, non si fanno attendere e spesso colgono tutti impreparati: penso al signor Angelo, ricoverato pochi giorni fa per la sepsi dovuta al suo drenaggio toracico: mi ha raccontato tutto, in un pomeriggio…i figli, la guerra, la malattia.
Angelo non sta male solo per la sepsi. Angelo sta morendo, e con lui, tutte le sue metastasi.
Nessuno gliel’ha ancora detto. Forse nessuno avrà il tempo e il cuore di dirglielo.
“No, non venire Lunedì. Vedrai che mi dimettono Domenica! Passa prima, che ti voglio salutare bene.”
Non ho saputo trattenere una lacrima.
Non starò a chiedermi il perché.
Non lo chiederò neanche a loro, medici esperti e navigati, che contro la morte combattono ogni giorno e ogni notte. Perché ho paura della risposta che mi potrebbero dare. Ho paura del vuoto che scorgo dentro agli occhi di molti, mentre prescrivono qualche cura palliativa.
Per fortuna, una notte a settimana, almeno fino alla laurea, mi sarà ancora concesso di vestire d’arancione, insieme ad alcuni compagni di studio, tutti ansiosi d’imparare l’impossibile sul paziente critico, chi per un motivo, chi per un altro.
Il telefono torna a disturbare questo apatico pensare: un codice rosso.
Ora.
Sarà la sirena.
Sarà confusione.
Sarà veloce, frenetico e preciso.
Mentre accendo la radio, scrutando gli occhi assonnati del mio autista, capisco quanto incredibile sia la strada che ho davanti, la strada che ho scelto e, scendendo dall’ambulanza, mi accorgo di essere già completo, un giovane stereotipo di un futuro me stesso che si tuffa nel suo presente: la vita di una persona nelle mie mani, i compagni di viaggio al mio fianco e, nei miei pensieri, lei.
Snoopy
Mi ritrovo in ogni parola che hai scritto.
Penso che il “vuoto” che scorgiamo ogni tanto (spesso) negli occhi dei naviganti più esperti sia dato dal tentativo di difendersi dal cumulo di mille pensieri accatastati in testa…e in cuor mio spero che non sia solo indifferenza e insensibilità.
In bocca al lupo col tuo viaggio in questo mare che è anche il mio (Bianco di camice e arancione di divisa)