L’omino magro e segaligno era accudito dalla figlia, una donna di piccola statura non carina, ma dall’aria sveglia, che gli faceva aria nel corridoio. Ricordo che l’avevo fatto accompagnare in antisala per incannulare una centrale, poi una serie di eventi l’aveva fatto passare in cavalleria e ormai attendeva da un po’. Si lamentava che gli mancava il fiato e la povera figliola sventolava la rivista che si era portata per tener compagnia al papà, non sapendo cos’altro fare di fronte a questa sofferenza triste e lamentosa. Alla fine lo feci entrare scusandomi e presi la cartella per controllare la richiesta e qualche notizia precedente. Poi, richiudendola, mi era saltata all’occhio nell’intestazione una parola strana, atipica per le solite banalità che si ritrovano nei documenti burocratici. Professione: ACROBATA.
Lo guardai, gli chiesi. – Oh sì, mi conoscevano tutti in valle: “Giuanin d’la crava”; perché, sa, avevo una capra ammaestrata e poi facevo il fantasista! – Improvvisamente il documento, freddo e burocratico, si era colorato di tanti colori, un po’ sbiaditi dal ricordo, ma ancora vivi comunque, pensa un po’: “acrobata”.
Ci sono andato ancora qualche volta in questi circhi piccoli e scalcagnati , dove in una famiglia o due, sempre tanti sono, fanno tutto, dai numeri di pista alla maschera sulle tribune, tutti interpretando più ruoli, perché la roba da fare è tanta e la gente è poca, o meglio, più si è e più bisogna dividere il magro gruzzolo. Doveva essere stata dura da queste parti per l’epoca. Avrei voluto parlarne ancora, ma non mi son sentito, l’uomo era stanco, di quella stanchezza finale, esaurita, che ritrovo talvolta non nei moribondi, ancora, ma come dire, nei segnati, in quelli che è destino finisca da lì a poco. Feci quanto richiesto, non aveva più voglia di stare lì, poi l’ho rimandato nel suo letto, frasi di circostanza. Ho pensato che magari passavo più tardi in reparto con la scusa di vedere se tutto andava bene, ma poi la cosa è passata, altri eventi hanno coperto lo spiraglio, e via andare! Quante storie ci sono attorno, ognuna portata dentro da ciascuno, con il suo fardello di vita, i suoi ricordi: è stata la maestra di quel paesino per tanti anni… E’ stato in campo di concentramento…, trent’anni di Fiat, ma dagli anni venti!… quante testimonianze di realtà ormai distanti molto più nei fatti che nel tempo. Povero Giuanin, col suo fiato corto che lo aspetta forse pure una morte dura, brutta, soffocato dal suo cancro al polmone. Eppure ce n’è mica tanti che sulla cartella hanno scritto, come fosse una pennellata d’acquarello: “Professione, ACROBATA”.
Herbert Asch
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