Qualcuno ha avuto la premura di chiamare il 118 per te. Se per dovere, per genuina preoccupazione perché è un amico, un parente, il tuo partner da poco o da una vita…beh, questo non importa. Hanno chiamato e noi siamo arrivati.
Appariamo come facchini della salute con lo zainone, il monitor, la bombola e il porta-aghi. Carichi come muli.
Hanno chiamato per te. Ti abbiamo trovata nel tuo letto matrimoniale. Eri senza tono muscolare, la bocca cadente da un lato, occhi chiusi, colorito grigiastro. Un odore acre e penetrante ci ha segnalato un rilascio degli sfinteri. Il tuo ECG segnava un battito ogni troppi minuti. Siamo arrivati ma tu non ci hai aspettato.
Tuo marito ci ha detto che alle quattro lo hai svegliato perché non ti sentivi bene e che lui ti ha fatto una camomilla e ti ha portata in bagno.
Io e l’infermiera ti abbiamo lisciato la camicia da notte a fiorellini, ti abbiamo messa dritta e ti abbiamo coperta con la trapunta leggera che avevi, con tutta probabilità, appena tirato fuori dall’armadio. I primi freddi avanzano.
Tu invece hai avuto un infarto. Il terzo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non reagivi ai nostri farmaci. Ti abbiamo dovuto legare le braccia per portarti di peso attraverso i tuoi stretti corridoi fino al tuo letto. Tua moglie era inconsolabile. Non ha voluto le goccine.
Tu, eri un poverino. Sei morto solo su una panchina. L’ultima dose ti è stata fatale. Ti avevano dato il Narcan, ma non l’avevi dietro. Eri rannicchiato, con gli occhiali storti. Te li ho tolti e ti ho schiaffeggiato urlandoti: ”Signore? Signore!!! Mi sente?”. È arrivata la polizia, ti abbiamo coperto con una metallina. Eri in un postaccio. Gli unici che hanno avuto pietà di te rannicchiato sulla panchina sono stati due ragazzi gay che hanno chiamato e hanno vegliato su di te fino a che non abbiamo dichiarato il tuo decesso.
Tu invece, primo di tutti, sei stato il più sfortunato. Eri innocente. Niente droga, né alcool. Eri a casa, magari stavi bagnando le piante dopo mangiato. Ti sei sentito soffocare e hai vomitato. Ma non avevi più aria. Eri solo. Ci ha chiamato la tua “fidanzata”. Ti abbiamo rianimato con RCP, 30:2 e tutto l’iter della MSB. Sei stato il mio primo. Ti ho tenuto la mano anche se era palese che non ci fossi più.
Tutti voi, belle o brutte anime non importa, voi siete i pazienti più temuti dal novellino. Ma il “pivello” sbaglia. Voi siete i più tranquilli, i più bravi. Eppure vi temiamo, vi portiamo molto rispetto, vi “coccoliamo” di più.
Fino a che non lascio casa o il luogo del servizio io so che mi hanno chiamata per voi, voi siete una realtà fisica anche se non più psichica. Siete reali, siete i pazienti e io so che il paziente deve essere il mio unico pensiero e deve ricevere la massima cura anche se puzza, anche se non è proprio “pulito”, anche se è da film dell’orrore.
Vi parlerò chiaro, dato che vi ho pensati tutti in una botta: io vi ho curati come se foste ancora vivi. Non ho risparmiato a nessuno una carezza, una sistematina agli abiti, un’occhiata, una ripulita.
Vi ho curati. Siete stati i miei pazienti.
Mi è molto dispiaciuto per voi.
I morti (perché non sono “mancati”, “volati via”, “chiamati”, “scomparsi”) sono i più grandi insegnanti. Ti plasmano in termini di paure antiche dell’essere umano, ti obbligano ad avere tatto ed empatia.
Nessuno può rimanere indifferente davanti alla morte. Puoi metabolizzare meglio, puoi arrovellarti nel pensiero per più tempo, ma prima o poi la tua mente si ricorderà di quel viso, di quel corpo, di quegli odori.
I tuoi morti sono un monito, un moderno “memento mori”.
Trattali come pazienti, perché è quello che sono, e loro ti daranno sempre qualcosa di arricchente in cambio.
Imparerai a conoscere meglio quel tuo compagno di equipaggio con cui non hai parlato mai tanto, esorcizzerai il terrore dei morti che avevi, imparerai come comportarti, raccoglierai frammenti delle loro vite. Tutto ti si sedimenterà nell’animo e nella mente.
E tornerà a galla in momenti inaspettati. E sarà estremamente utile.
Grazie, miei Morti. Vi ricorderò ogni tanto. Ve lo meritate.
Pills
però
“facchini della salute”
non ci avevo mai pensato. Buffo!
Per il resto, un punto di vista diverso.
Bello.
Grazie di condividerlo con noi.
Consiglierei di leggere ai cinici che, raccogliendo l’ultimo rantolo di un suicida, lo raccontano agli amici usando il termine “figo”..
“i tuoi morti sono un monito”..nessuno dovrebbe dimenticarselo
Grazie, un bellissimo racconto.
Quante verità in queste righe… grazie a te…
brano toccante.
trovo più efficace la prima parte in cui quel rivolgerti direttamente ai singoli morti tracciandone una breve storia contagia il lettore per la pietà profusa. Da incorniciare la prima riga, “mi hanno chiamato per te” dà il passo a tutto il racconto.
molto azzeccata la definizione di “facchini della salute”
complimenti, ml