Cambogia.
Metà Marzo, 2009.
A notte inoltrata mi suona il telefono: è il pronto soccorso dell’ospedale dove lavoro.
Mi riferiscono che è arrivato un ragazzino di 10 anni con un trauma cranico per un incidente stradale di 2 ore prima.
Qui fa sempre molto caldo; il mezzo di locomozione più comune e più economico è il ciclomotore; sopra un sedile di motorino viaggiano sempre dalle 3 alle 6 persone, bambini e neonati compresi.
Caschi, sconosciuti; velocità, almeno 70 km orari; fanali, spesso inesistenti.
Mi alzo, mi vesto, e prima di uscire guardo Aràl, la ragazza che ho conosciuto in questa missione; stiamo percorrendo un tratto di vita insieme; forse le nostre strade saranno condivise per tanto tempo… ma forse, e poi questa è un’altra storia. Le dò un bacio; lei non se ne accorge, continua a dormire.
Arrivo in reparto.
Il bimbo ha una profonda lacerazione del cuoio capelluto in regione temporo-parietale sinistra, GCS 8, midriasi a sinistra ed emiparesi a destra. I parenti mi riferiscono che è stato cosciente per circa un’ora dopo l’incidente e poi ha perso conoscenza.
Ovviamente qui non c’è la TAC.
Decido di eseguire una craniotomia sinistra… e chiedo a Budda che sia un extradurale.
Gli infermieri cambogiani mi aiutano a spiegare a mamma e papà che le condizioni sono gravi, che probabilmente loro figlio non ce la farà, ma che faremo il possibile.
Ci serve il loro consenso per operare.
Mi guardano. Qualche parola in khmer con gli infermieri.
Impronta d’inchiostro sulla cartella: è il consenso.
Il piccolo viene rasato.
Andiamo in sala; il personale di sala trasporta e sistema il malato sul letto operatorio; anestesista internazionale e cambogiano sono pronti.
Inizio.
Cute, teca cranica… ecco, non ci siamo: nessun ematoma extradurale.
Vedo un coagulo al di sotto della dura.
Un ematoma sottodurale; cioè: apro la dura, aspiro l’ematoma, richiudo dura, teca cranica, scalpo.
Sono sicuro che c’è una fonte di emorragia cerebrale che io non posso vedere, che riprenderà a sanguinare.
Sono sicuro che dopo alcune ore di coscienza il piccolo ripomberà in un coma questa volta senza speranza.
Non posso fare altro.
Impotente.
Fuori dalla sala parlo con i genitori, spiego la situazione.
Mi guardano ancora: “Aukun, aukun ” ( grazie, grazie ), sono le loro parole.
Io non ho parole per dire come mi sento.
Devo respirare un po': esco nel bellissimo giardino del reparto.
Caldo anche di notte; a me piace.
C’e’ odore di fiori; ma anche di fiume e di acqua stagnante.
Guardo in alto: stasera il cielo è terso e senza luna. Nerissimo.
Tutte le stelle mi guardano, interrogative.
Non ho risposte.
Tra qualche ora o tra pochi giorni ci sarà un’altra stella li con voi: un piccolo bimbo cambogiano, accoglietelo con la vostra luce, coccolatelo, tenetelo al caldo, fatelo brillare come voi stanotte.
Afghanistan.
Primi giorni di Aprile, 2009.
Stanotte sono uscito dalla sala operatoria dopo un’urgenza.
Qui fa ancora freddo.
Guardo in alto.
Stesse stelle.
Non posso sapere qual’è, ma sono sicuro che una piccola stella cambogiana brilla anche in questa valle afghana.
E spero che mi protegga.
Giramondo
Da brividi…. Ho le lacrime agli occhi…. Come ogni volta che qln nn ce la fa. Come ogni volta che devo arrendermi e lasciare che il destino faccia il suo corso…