Sicuramente la signora del letto 9 non aveva scelto di finire in rianimazione. Ci si ritrovò suo malgrado, senza neppure sapere perché. La prima impressione che ebbe quando si percepì cosciente, fu di grande smarrimento. Cercò di capire che cosa fosse successo tra gli ultimi momenti dei quali aveva ancora memoria e quello che gli stava intorno. Per prima cosa capì di essere in un altro ospedale rispetto a quello di partenza. Decisamente diverso da tutti quelli che potevano essere gli ospedali che aveva visto fino ad allora. Pensò di trovarsi all’estero. Ma tutti parlavano italiano. Pensò allora di essere in un ospedale italiano all’estero. Uno di quelli all’avanguardia gestito da équipe internazionali. Da una porta sul fondo che era rimasta aperta, vide uno scorcio di cortile o balcone in cui vi erano vasi di gerani; ad un certo punto arrivò un ragazzo allegro, che portò del cibo, e lo lasciò proprio nella zona dei gerani. Proprio di fronte a lei erano appese due meravigliose, grandi fotografie di paesaggi. Pensò a tutti i quadri che aveva visto in passato, appesi ai muri degli ospedali, e si chiese chi mai potesse aver scelto tante immagini brutte, e insignificanti, e perché mai nessuno era mai andato a toglierle. Ma quelle foto erano un’altra cosa. Quelle foto indicavano che qualcuno ci teneva molto a quel posto.
Quando smise di guardarsi intorno, la signora del letto 9 si accorse di essere in una situazione di grande svantaggio. Non riusciva a muoversi, provava dolore, aveva molto freddo, e soprattutto non poteva parlare, senza sapere perché, non poteva parlare. Nessuna delle cose che aveva visto fino ad allora riuscì a dare conforto al suo smarrimento. Si accorse che quante più risposte trovava tanto maggiori sarebbero state le domande senza risposta. E questo la stancò enormemente. Decise di rinunciare a qualsiasi indagine. Si scelse una posizione comoda – doveva riconoscere che quei letti erano favolosi – sprofondò quanto più possibile nel materasso, inclinò la testa da un lato e, chiusa nella sua tana privata, si mise a piangere. Pianse perché si faceva pena, pianse di sé, per sé. Era lei l’unica referente del suo pianto.
il guardiano