Ringrazio il Dio degli uomini notturni, la sua pietà per la stanchezza di gesti troppo a lungo trafelati, ringrazio il Dio dei fragili belati, la compassione per i bimbi, che non morisse la pecora di Abramo per mano di un salvatore scellerato.
Avrei potuto uccidere stanotte mentre credevo di affannarmi in una difficile salvezza, tirare a riva un corpicino che affogava nello zucchero, ore a lottare con quel respiro irregolare che ci ghiacciava il sangue e quello sguardo vitreo che squarciava il buio della notte.
Avrei potuto, in questa notte senza fine, la matematica lo esige. Un calcolo da folle la correzione del potassio, dopo l’esattezza al microgrammo nel ripristino dei liquidi, nell’aggiunta di bicarbonato, nelle dosi d’insulina in vena, sodio, magnesio, calcio, glicemia, per ore giocare all’equilibrio tra il troppo e il poco, che non puoi correggere tutto in un colpo. E poi sbagliare di dieci volte tanto. Hai lì le fiale sotto gli occhi che basterebbe contarle per capire di quanto stai sbagliando, queste sono troppe per un cavallo sano, figurati per questi venti chili in coma. Le hai lì pronte sul bancone e non le vedi, non vedi l’enormità del danno, non lo vede l’infermiera che si trascina più stremata di te, siete come ciechi, burn out lo chiamano, uno stordimento lucido, dico io ora. E poi stare al letto di Ramona a spiare un miglioramento che stenta ad apparire. Come un ebete guardi quel viso contratto, ascolti il rantolo, palpi il pallore, aspettandoti una svolta e non ti rendi conto che l’hai rimessa tu sul filo della morte. Ma Qualcuno a cui non credo svapora clemente le conseguenze del mio errore, annulla per pietà gli effetti devastanti del potassio esagerato.
È l’alba quando Ramona piano piano si riprende, la mamma che mi guarda come fossi il salvatore e pure io ci credo. Solo più tardi, mentre in euforia mi faccio un tè a fine turno, rivedo in un lampo i gesti errati della notte.
Cade la tazza, io quasi un assassino!