Tatiana

Scritta da Herbert Asch su settembre 20, 2008
ritratti

Tatiana ha uno sguardo dolce ed un poco assente di occhi verdi, chiarissimi, liquidi, i capelli sono morbidi riccioli lunghi, ancora neri, appena spruzzati di bianco. Ha un grosso orecchino da gitana ed una collanina di perline di plastica annodata al collo. L’aspetto è sporco e un po’ trasandato come di gente che arriva da chissàdove.Di lei dicono sia rumena, avrà sui quarant’anni e nonostante l’obesita il suo corpo lascia trasparire delle fattezze piacevoli in gioventù. È enorme, nel letto d’ospedale, dove è stata ricoverata dopo il suo ictus che le ha tolto la parola e paralizzato metà del corpo. Per la verità è già arrivata così dal suo paese: sulla strada dell’emigrazione le è preso il coccolone, e l’hanno brevemente ricoverata in un paese vicino alla frontiera, lo testimonia un burocratico foglietto scritto in una indecifrabile lingua dell’est, dove si comprende solo il nome di un farmaco, ma poi è stata caricata in auto o chissà con quali altri mezzi e per quali strade è stata portata in Italia.

Del ricovero conservava ancora il catetere vescicale, nascosto sotto le gonne Poi i parenti hanno chiamato l’ambulanza, un po’ perchè imbrogliava, dava fastidio, la vita è dura per chi viene da fuori così, forse non c’è tempo, nessuno può accudirla e poi sanno che qui qualcosa le faremo, cercheremo di curarla, in fondo è un attestato di stima anche questo.

Mia madre sta male, avranno detto in una stentato italiano, e così eccola qui.

Adesso è qui davanti a me, con lo sguardo imbambolato un po’ perso nel vuoto, guarda fuori della finestra, non sono sicuro che sia per la sua lesione o solo che cerchi di capire fuori dove si trova. So solo che è afasica, non riesce a parlare, non si capisce se comprende quanto le viene detto (puo’ esserci una afasia anche in questo senso); sicuramente non capisce una parola di italiano. Ed io dovrei incannulare a lei una vena centrale, cioè pungerla al di sotto della clavicola con un ago sufficientemente lungo da raggiungere la vena succlavia, ma anche (e malauguratamente, provocando qualche danno) la pleura, se lei non starà ferma. Dovrei cercare di spiegarglielo.

Gli infermieri mi hanno detto che non è venuto nessuno a trovarla in questi giorni, che ormai è quasi due settimane che è qui; e non hanno né un indirizzo né un numero di telefono di parenti. Anche se dall’aspetto non era una zingara.

Ho già cercato in ospedale se ci fosse qualche rumeno, tra i parenti dei ricoverati, in Pronto mi hanno detto che c’è un’allieva infermiera rumena, ma oggi non è di turno, forse in chirurgia c’è un’infermiera extracomunitaria: la cerco, peccato è polacca e non parla il rumeno. Pazienza Cerchero’ di spiegarmi a gesti, le faccio vedere una flebo, le parlo e le spiego in italiano, sommariamente, lo sguardo si ravviva una attimo: percepisco che intende che le sto dicendo qualcosa, anche se non ne capirà il senso.

L’infermiera la posiziona, io agisco, lei rimane ferma durante tutta la procedura, forse le ho fatto un po’ male. Quando ho finito rimane con la testa voltata verso la finestra le passo davanti per andare via, le faccio segno che abbiamo finito, le sorrido, per farle capire che tutto è andato bene, batte le ciglia, forse ha capito.

Lascio lì Tatiana a guardare fuori.

Herbert Asch

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