Che domanda è, da fare a un paziente da operare d’urgenza?
Semplicemente si cerca di capire se il malato abbia difficoltà respiratorie, derivanti da problemi polmonari e/o cardiaci, nel caso in cui abbia la necessità di riposare il meno possibile sdraiato. Ciò condiziona l’intera gestione clinica, perioperatoria.
Ma il paziente, seduto sul letto, con le gambe a penzoloni e di spalle, rispetto all’intervistatore, e rivolto verso la finestra, inondata dalla luce di un Sole nascente di una limpida e calda mattina di mezza estate, priva di nuvole e piena di cielo tinto di turchese, non risponde!
La domanda viene ripetuta in modo perentorio e stizzito, da chi, dopo l’ennesima notte di guardia, trascorsa a combattere contro il più agguerrito degli avversari, il sonno, nonché il destino dei malcapitati pazienti, che li vorrebbe tutti morti e che pertanto ha in odio coloro che gli si oppongono con ogni mezzo (ed è per questo che spesso nulla funziona al momento del bisogno: è il fato che si vendica!), chi, dicevo, non vede l’ora di immergersi dentro quel mare di luce naturale, stanco del molesto chiarore artificiale che illumina le ore piccole di noi, operose formiche notturne, ancorchè per poco, visto che dopo qualche ora, quando, cioè, inizierà la giornata degli altri, quelli normali, quelli diurni, crollerà privo di forze sul divano, senza neppure spogliarsi, per risvegliarsi al tramonto, essendosi privato di un altro giorno.
Ed è proprio l’ebbrezza, nel rivedere il cielo azzurro, che proviene dal profondo della stanchezza, di chi proprio non ne può più, quasi a scacciarla, che a poco a poco si trasforma in qualcosa di molto simile alla rabbia, troppo debole per esserlo realmente, perché almeno si preferirebbe non vedere ciò che ancora non si può vivere e non si godrà quel giorno!
Già ma che ne può il malato? Sicuramente preferirebbe ammirare il paesaggio da casa sua, altro che da un letto d’ospedale e, per di più, con l’allettante prospettiva di subire un intervento chirurgico d’urgenza!
Quindi, con pacatezza, moderazione e tutta l’empatia per chi ha ben altro da perdere che una giornata di sole, gentilmente, di nuovo: “Scusi: lei con quanti cuscini dorme?”.
Ma il malato non risponde.
Nel frattempo si avvicina una ragazza, con la borsa a tracolla e stretta a sé, come se temesse il furto –peraltro possibile, in quel cavolo di posto, soprattutto di notte- col giubbino scuro, estivo, perché a volte anche le mattine estive sono fredde, che rivelano la prudenza di chi è quasi avvezzo ad aspettarsi di tutto e che concede unicamente qualcosa ai calzoni bianchi corti, che arrivano sotto il ginocchio (i “pinocchietti”?), ai sandali infradito e allo smalto nero di mani e piedi.
Contrariato a pensare che si tratti della parente del vicino di letto, il quale, peraltro, dorme profondamente, incurante dei rumori del reparto, procurati appositamente per risvegliare di soprassalto i malati, colpevoli di riposare, mentre il personale, in piedi all’alba, deve già smazzarsi tutto il lavoro mattutino, solitamente il più pesante, parente, immagino questuante richieste assolutamente irreali a quest’ora, mi sovviene un’unica idea: “Che vuole questa, adesso?”.
“Questa”, piuttosto seccata, mi dice “Mio padre è sordo” –come dire: “Non sei nemmeno in grado di accorgertene, sciocco?”. Dopo una notte di lavoro intenso, la risposta, sorprendentemente, è no!
Allora chiedo a lei: “Con quanti cuscini dorme suo padre?”. “E che ne so. Ci ha abbandonati quando eravamo piccoli. Non lo vedo da decenni”.
Ma allora che ci fa qui “Questa”? Mi chiedo.
I miei toni si smorzano subito, per l’intuizione di trovarsi al cospetto di qualcuno “più grande”. Quella ragazza d’aspetto poco più che adolescenziale è una donna sulla quarantina, sposata con prole, che in gioventù provvide al mantenimento di parecchi fratelli più piccoli, nonchè della madre: vissero tutti del suo reddito, prodotto, in parte, addirittura come emigrante, all’estero, da teen-ager, con la rinuncia finanche agli studi di medicina, di cui è fortemente appassionata!
Ma ciò non le ha impedito attualmente di occuparsi dell’ istruzione dei figli altrui. Chapeau!
Il padre, ad un certo punto, non li volle e li lasciò. Ma ora, malato, li ha cercati e loro se lo riprendono, perché, come dice lei “Il sangue non è acqua!”.
Finalmente torno a casa, incapace di pensare al sole, al cielo azzurro, al prato verde e via discorrendo.
Quella notte insonne, di dura lotta per la sopravvivenza mia e dei poveracci che mi capitano tra le mani, tra le imprecazioni per l’ennesima urgenza o perché mancano i guanti monouso e i rantoli di chi è giunto a fine corsa mi ha comunque arricchito, poiché qualcuno disse, a ragion veduta, che una bella storia non ha prezzo!
E ripensando ad essa storia, quella che ti sorprende, quella che non ti aspetti di certo all’alba, guadagno sereno il meritato riposo.
E con quanti cuscini dorme il paziente? Boh! Non l’ho mai saputo! Nonostante ciò, però, mi risulta in salute.
“Nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore” (F. De Andre’).
Zarianto