È quasi mattino, una luce indefinita si fa spazio nella notte avanzando coi cinguettii tipici del un risveglio estivo. Una infinita moltitudine di uccelli nascosti in ogni possibile anfratto partecipa al baccano, che a ben ascoltarlo celebra il risveglio, come una elaborata orchestra che celebra la vita.
Noi, insonni ospedalieri, siamo quasi alla fine del turno, il migliore o il peggiore, quello notturno che di piacevole ha , appunto, questa ora che ci avvicina alla fine aspettando il cambio.
Appassionante come può essere una liberazione, onirica nel bisogno di riposo, urgente e bella come la luce che invade le colline.
I primi di raggi di sole ancora freschi e dorati come lo sono in questo mese di Luglio in un anno così indefinito da sembrare eterno.
Giunge mentre osserviamo lo splendore dalla finestre e di spalle non ci accorgiamo del suo arrivo.
Passettini silenziosi senza fretta l’hanno portata qui con il desiderio di essere ascoltata, il peso portato nel petto nella notte appena trascorsa che l’ha spinta a venire.
“ Solo un consiglio … poi torno a casa, alle mie cose”.
A vederla così all’improvviso alta e magra, esile figura di altri tempi, semplice e chiara come una forma apparsa dal nulla, vestita di cotonina fiorita, mani forti e annerite, torte nel grembo piatto mai partorito.
Contadina scesa da uno dei paesi del monte in cui fa giorno prima, specie d’estate che l’attesa fa presto a divenire fretta, sempre, quando qualcuno ha bisogno di noi.
“ Il cuore strabatte che lo sento nelle orecchie e nel petto un volo d’anatre indaffarate che mi stringono il collo”.
Ci parla con antiche e sorpassate parole che nessuno, oggi, più è disposto ad usare e tantomeno ad ascoltare.
Descrive così bene il suo disturbo che ha già fatto diagnosi ben prima dei consueti esami.
È come se scendendo dal monte potesse venire a bere un bicchierino d’acqua fresca e tornarsene semplicemente così alle sue cose, al suo orto e alle sue galline.
“Alle cose che anneriscono le mie mani, ma schiariscono bene la mente” ci tiene a dire mentre pratichiamo qualche farmaco.
Prende così l’avvio una conversazione surreale che si mischia ben presto ai suoni degli uccelli di fuori , mentre lei racconta della sua voglia contadina di vivere, semplice e con poche cose, la sua passione di scrivere “a poeta” quello che gli canta da sempre in testa.
Frasi semplici e minute, recitate a bassa voce per non disturbare chi ha sonno,
“Ne ho giusto due qui in tasca e te le voglio lasciare ….
Qualche volta mi capita ancora di trovarli quei due fogli, avuti in dono in una mattina di un improbabile Luglio di molti anni fa.
“A brief, but patient illness / An hour to prepare
And one below, this morning / Is where the angels are ”
(Una breve, ma paziente malattia / Un’ora per prepararsi
E una quaggiù, stamane / È dove sono gli angeli)
Emily Dickinson 1858
Labile