Archive for luglio, 2014

Pensieri cardiocircolatori

Posted by Ultiva on luglio 25, 2014
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Come sempre il pomeriggio libero è foriero di casini: mentre mi rigiro nel letto cercando un pò di riposto pomeridiano, il cellulare squilla. Il padre di M., prima mio allievo e poi mio fratello, è appena morto. E io mi rigiro nel letto perchè non so come stargli vicino senza urtare la sua dignità infinita, senza contravvenire alle scelte che con discrezione e riserbo ha applicato nei mesi di questa lunga malattia.  Sul display il mio Primario. Imprecazione silenziata, impostazione voce da sveglio: “Pronto?” “C’è una trentenne a P. con una endocardite da mettere in ECMO”. Due telefonate, polverizzo cena e dopocena. Chiamo la prefettura, chiedo il volo di stato per raggiungere quanto prima la povera disgraziata. Sono stanco, non ho voglia. Sono le 21:00. Dalla Prefettura ci dicono che l’aereo non arriverà prima delle 23:00. Striscio in Ospedale.
All’aeroporto militare sono tutti pronti: carichiamo i nostri bagagli da gruppo vacanze Piemonte e decolliamo. In 45 minuti raggiungiamo la terapia intensiva dell’ospedale di P.. La Paziente presenta un quadro di shock cardiogeno con edema polmonare nonostante il supporto aminico massimale: l’ecocardio magnifica un cuore più acinetico che ipocinetico. La cannulazione è difficile, richiede circa un ora: dopo l’ECMO il circolo – ovviamente – tiene. Scaliamo le amine, ottimizziamo ulteriormente la ventilazione, voliamo a casa. Caricare la Paziente sull’aereo è drammatico: aereo piccolo, troppo peso, equipe stanca. Certo, se ci fosse stato lui….
Ma M., ora non lavora più con me.
Mi chiedo che cazzo ci faccio in mezzo all’aeroporto di Inculandia, con 80 kg sulla schiena, quando il mio posto dovrebbe essere al suo fianco. Capire è un attimo: se M. fosse lì, vorrebbe che io portassi a termine il trasferimento. E così, finalmente certo di fare una cosa a lui gradita, infilo la Paziente a bordo e ci avviamo verso casa. Sono le 3 del mattino.
Quando tornerò racconterò a M. di questo viaggio, di quanto – ancora una volta – ci siamo sentiti vicino. E di quanto, nel salvare la vita di questa Paziente, lui fosse con me.
Perchè, infatti, proprio il giorno del funerale, la Paziente viene estubata e svezzata dall’ECMO. Mi avvicino al letto e mi presento: lei piange, io tutto contento prendo mentalmente nota dei parametri emodinamici finalmente soddisfacenti con minimo supporto farmacologico.
Oggi, in un lungo abbraccio fuori dalla chiesa, ho detto senza parlare ad M. che ero e sono lì, di fianco a lui. All’allievo che sta superando il maestro.

Ultiva

 

 

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Magia bianca / Magia nera

Posted by zarianto on luglio 20, 2014
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Sono le ore 20.00.  Nemmeno prendo servizio e già vengo chiamato per l’urgenza clinica in uno dei reparti di degenza.  Indosso rapidamente la divisa e gli zoccoli blu, gentilmente forniti dall’azienda sanitaria ai medici di guardia e tatticamente disegnati per fronteggiare l’emergenza – in ottemperanza della spending rewiev, si è omesso l’acquisto delle pettorine con la lettera S italica e la mantellina rossa – e, districandomi tra le moltitudini di parenti che, a quell’ora di visita vanno e vengono, affollando scale e corridoi del nosocomio, mi dirigo rapidamente verso la stanza del paziente in difficoltà.

Dinanzi alla porta chiusa, un capannello eterogeneo per età e corporatura di uomini di colore mi segue con lo sguardo interrogativo e insieme fiducioso che, cedendo infine alla speranza, si scioglie in un sorriso marmoreo, incastonato nell’ebano scultoreo di quei volti d’Africa, come risposta al mio cenno di saluto.

Apro la porta e un giovane nero subcomatoso, di nome Henry, giace inerme e composto sul giaciglio di lenzuola pallide, circondato dal medico di reparto, da un altro collega e dallo specializzando – tutti in abiti borghesi e camice bianco, …ma senza divisa da supereroe! – e da un ecografo, immobili, in attesa del sottoscritto.

Il problema clinico è rappresentato dal peggioramento acuto del paziente in questione, affetto da AIDS conclamato, blocco intestinale e insufficienza renale acuta, richiedenti il posizionamento rapido di un sondino nello stomaco, atto a svuotarne il contenuto, allo scopo di decomprimere l’addome e consentire l’espansione respiratoria del torace, nonché l’inserimento di un grosso catetere vascolare, la cui punta deve raggiungere le prossimità del cuore e attraverso il quale potrà avere luogo la dialisi salvifica.  Gli altri astanti hanno fallito la prima manovra, a causa della resistenza, per lo più involontaria, opposta dal paziente, né hanno dimestichezza con la seconda.  Quindi… è un lavoro per me!

Chiamo Henry che apre gli occhi e risponde.  Nel solito inglese made in Italy, incerto e improvvisato, gli spiego le manovre cui sta per essere sottoposto e ne ottengo la promessa di collaborazione, cui, nonostante l’obnubilamento mentale – non il mio, almeno nel caso in questione! – viene britannicamente mantenuta fede.  In breve tempo e con il prezioso aiuto degli infermieri, dopo l’abbandono del locale da parte degli altri medici, finalmente liberi di interloquire coi parenti degli innumerevoli pazienti del reparto, entrambe le procedure hanno luogo con successo.

Abbandono per ultimo la stanza e supero il capannello a dir poco festante, largamente prodigo di sorrisi, saluti e inchini ed emanante un oceanico profluvio di educato e gradito calore umano, una volta informato del risultato dell’intervento.

Lungo il corridoio che conduce all’uscita dal reparto, rifletto sull’ottimistico entusiasmo raccolto, sicuramente gratificante, ma apparentemente esagerato per la soluzione temporanea di un problema contingente, ben lungi e differente dalla guarigione impossibile: sperimento una sensazione di stranezza, la percezione indefinita di un dettaglio sfuggente, di un impalpabile particolare fuori posto, di un’atmosfera irreale.

Poco dopo, mentre sorseggio un delizioso caffè industriale, preparatorio della notte lavorativa, di fronte al generoso e lussuoso distributore automatico, sito nell’androne nosocomiale, incontro la persona che si prende cura di Henry nel nostro Paese.  Me ne racconta la vicenda umana, quella di un esule, di padre sciamano, in fuga da credenze magiche che obbligherebbero i prescelti, su base dinastica, a sottoporsi a riti pagani che prevedono anche la condivisione di sangue…umano!  Almeno, così mi pare di intendere. Inoltre, i parenti giungono direttamente dall’Africa, per celebrare, in loco, i riti tribali di guarigione – già svolti – per Henry.

Improvvisamente si diradano le nebbie del corridoio di reparto e l’espressione clamorosa di soddisfazione per ciò che interpreto come una presunzione di guarigione, conseguenza dell’apparente palesamento di una disperata speranza, si colmano di significato. Il rituale propiziatorio ha raggiunto lo scopo, con l’evocazione dello spirito guaritore e salvatore di vite, che si manifesta con sembianze umane, recante, come unico segno distintivo, un singolare, quanto pittoresco abito di colore…blu!

«La fede è sostanza di cose sperate e convinzione di cose che non si vedono» (San Paolo, Lettera agli Ebrei).  

Zarianto

La corsa

Posted by Gio on luglio 09, 2014
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Foto di DB

Foto di DB

 

Esco di casa in fretta, direzione ospedale.

La città è una festa colorata di gente che prende parte a una gara podistica.

Chi non corre, guarda dal bordo della strada.

Gruppetti di gente con un cono gelato in mano, a godersi l´inizio dell´estate.

Qui esplode la vita.

E vorrei prendervi parte, ma sto andando a dare una mano perché Michele sta giocandosi ora la sua partita contro il tempo.

8 anni, recidiva di una leucemia, ora ricoverato con una sepsi fulminante, che in poche ore lo ha constretto al tubo, alla dialisi, e ora all´ECMO.

Sorpasso la vita che corre, e in poco tempo sono in terapia intensiva.

Fa caldo in questa stanza e io, gli intensivisti, i chirurghi e le infermiere che lavorano intorno a Michele, siamo tutti imperlati di sudore sotto le mascherine.

Massaggiamo mentre i chirurghi isolano l’arteria per l’ECMO, ogni tanto loro ci chiedono 5 secondi di pausa dalla RCP per poter lavorare senza strattoni continui.

I miei occhi al monitor, a cercare qualche cenno di attività cardiaca.

È in DIC, sanguina da ogni possibile punto, mentre ventilo vedo il tubo sporcarsi di gocce rosse.

Plasma, trombociti, rossi; senza sosta.

Bicarbonati, adrenalina, calcio gluconato; senza soluzione di continuo.

L´ECMO inizia a lavorare: niente polso, ma flusso.

La dialisi ripulisce l’iperkaliemia, il cuore ricomincia a muoversi.

Flussi cerebrali presenti.

Ipotermia controllata.

La camera si svuota, prima se ne vanno i chirurghi, poi alcuni degli intensivisti, rimane il perfusionista e il medico di guardia.

Quando torno le strade sono vuote.

L´aria dolce dell´estate mi fa bene.

Michele questa è la tua corsa, non mollare!

 

Gio

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Bella… zio!

Posted by zarianto on luglio 03, 2014
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Foto di HA

Foto di HA

 

“Allora, signor Giuseppe, come andiamo ?”.

Con un po’ di ritardo: “…mah ?”.

Uno dei tre vicini di letto si affretta ad informarmi che occorre rivolgersi alla nipote, che “…sicuramente, sta per arrivare, lo segue ed è quella che sa tutto!”.

Insospettito, formulo due domande strategiche e chiarificatrici: “signor Giuseppe, sa dirmi dove e in che anno siamo ?”.

-“…a casa, nel milleottocentooo….”.

Perfetto! Compreso!

L’anziano (neanche tanto!) ospite lungo-nosocomiale, diabetico, martoriato da problemi circolatori degli arti inferiori, complicati da gravi infezioni sovrapposte – patologie piuttosto comuni, in pazienti di questo tipo – si trova in uno stato confusionale, precipitato dalle tossine batteriche.  E’ necessario ricondurlo in sala operatoria per tentare una bonifica chirurgica in urgenza, previa visita medica.

Mentre noi clinici ci confrontiamo, riappare la giovane nipote, di rientro da un effimero caffè, consumato, in tutta fretta, dinanzi al distributore automatico, nell’ansia di non abbandonare lo zio, nemmeno per un attimo!  Mi viene prontamente indicata dal collega e la chiamo di lontano, avvisandola della necessità di un colloquio, mentre ancora mi consulto.  Ella trasale, sgranando gli occhi e portandosi una mano al petto, come a contenere un moto di terrore!  Comprendo la tensione del parente laico, investito della responsabilità di gestire la complessità di un malato assai complicato e le sorrido, spiegandole che ho unicamente bisogno di delucidazioni storiche, che il sig. Giuseppe, al momento, non è in grado di fornire.  Ampio sospiro di sollievo!

Conclusa la relazione clinica, ho la fortuna di ascoltare la storia commovente, rivelatrice di un universo femminile sempre più sorprendente – nel bene e nel male, in genere! – di una giovane donna, che, al prezzo di grandi rinunce – anche lavorative, in un periodo come questo – e contrasti familiari, senza tornaconto alcuno, eccettuata, forse, la consapevolezza del pastoso ritorno spirituale dell’umana pietà, decide di dedicarsi completamente a uno zio, solo, che, tempo fa, le funse da padre, in assenza di quello biologico.

L’intervento verrà effettuato con successo e, dopo mesi di ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici e complicanze di ogni genere, finalmente, il signor Giuseppe e la sua amata nipote riusciranno ad abbandonare gli ospedali e a fare ritorno a casa, dove la giovane donna continuerà a curarsi del beneamato zio.

“Qualunque cosa facciate al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me!”.

 

Zarianto