Con questi miei occhi azzurri filtro le immagini come dall’acqua del mare, ogni leggera increspatura, ogni piccola onda. Il lampo e il tuono, le foglie strappate dal vento.
Le urla dei bambini in un giardino, le api pascolare sui fiori. L’abbaiare di un cane lontano.
Il sordo borbottio e il soffio osceno del metrò in arrivo.
I mille aggettivi miserabili di una vita per tutti normale.
Allargo gli occhi perché è la cosa che so fare, che ancora posso fare.
Entrano come schiere di uccelli le immagini e con esse il movimento evocato, il sufficiente respiro che ancora posso ottenere dal mio petto.
Leggero, sì, come l’assillo del poeta al risveglio del mattino.
Io che dal giornale leggo e non giro nemmeno una pagina.
A malapena me lo sistema il primo che passa, strategicamente piego il collo se si sposta, fino al prossimo aiuto.
Spalanca la finestra, amico che passi, fuori è già primavera.
Non sento il freddo, vedo solo la luce inondare il prato verde smeraldo, ci annuncia una felicità non più sappiamo.
Moltiplica gli occhi e non temerne la follia che essi sanno contenere e distingui quello che fai, quello che dici, quello che pensi, quello che mangi, quello che respiri, quello che cammini, quello che ami, dall’abitudine del farlo.
Il corpo malato, il mio corpo malato agisce per sottrazione. Senza forza allontana se stesso in isole lontane.
Resto così nei posti dove il mio occhio mi conduce.
L’isola trovata, profumata delle mille e mille mie primavere, il mio Paradiso Perduto.
“Uno spirito è con lui che non si cangia
Per loco o per età, giacché lo spirito
A se stesso è dimora, e può del cielo
Farsi un inferno, e dell’inferno un cielo.”
John Milton (1608-1674) Paradiso Perduto
Labile