foto di EP
Eccoci.
Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe giunto. E sebbene sarà una costante nel mio prossimo futuro, vista la facoltà che ho intrapreso, la prima volta non è mai facile da affrontare.
Le mie mani, una sopra l’altra, come da manuale, comprimono il torace del signor Michele. 27…28…29…30…aspetto che il capo equipaggio, alla testa, esegua le due insufflazioni con l’ambu e poi di nuovo a massaggiare 1…2…3…4… Maledetti capelli lunghi! Continuano a cadermi davanti agli occhi ad ogni compressione toracica. Dove cazzo ho lasciato la fascia per raccoglierli!? Ma soprattutto perché sto torace non scende come sul manichino!? Aumento l’intensità del massaggio.
“Lascia stare; ormai lo sterno è completamente sfondato, è per quello che ti sembra di non massaggiare abbastanza. Continua pure con il ritmo di prima che andava benissimo” mi dice Marta, con tranquillità .
In effetti sappiamo benissimo entrambi che, se anche ora interrompessimo le manovre di rianimazione, non cambierebbe nulla lo stesso. Il signor Michele è morto.
Quasi sicuramente lo era anche all’arrivo della prima ambulanza, composta da due soccorritori: sono loro ad aver iniziato i tentavi di rianimazione, ma essendo solo in due, hanno dovuto aspettare il nostro arrivo per trasportarlo in ospedale. Sono andati avanti almeno per mezz’ora, il defibrillatore semiautomatico ha effettuato 11 analisi, nessuna delle quali seguita da alcuna scarica.
Non sono un medico ( non ancora almeno) , ma non è difficile ipotizzare che il signor Michele è in asistolia : il suo cuore ha smesso di battere da parecchio tempo e nulla potrà farlo ripartire.
Così mi ritrovo qui. Un sabato sera di Gennaio, su un ambulanza che corre a sirene spiegate tra i palazzoni popolari del sud-Milano, a massaggiare un cuore che non riprenderà più a battere. Lo sappiamo tutti : Io, il capo equipaggio e l’autista e forse lo sa anche il signor Michele. Ma non per questo io smetto di comprimere quel torace, Marta di insufflare aria nei polmoni o Matteo di fare lo slalom tra le auto nel traffico. Non tanto perché non possiamo legalmente constatarne il decesso, ma perché in fondo, compiendo quei gesti, codificati, protocollati ripetuti fino all’automatismo, non abbiamo il tempo di pensare…pensare alla morte.
Già…la morte…ma che cos’è in fondo la morte ? Ne siamo quotidianamente circondati, ne sentiamo parlare ovunque: giornali, televisioni, libri…fateci caso ! Non passerà un giorno in cui voi non sentiate, almeno una volta, parlare di morte. Ma finché questa rimane confinata sulle pagine di un quotidiano o dietro uno schermo, non ci scalfisce; certo possiamo rimanerne sconcertati, rattristati o addirittura indignati, ma non siamo in grado di percepirne la profonda tragicità. Davanti alla morte tutto si sgretola : sogni, certezze, speranze…non tanto in chi ormai è già morto, ma in coloro che vi stanno assistendo.
Oggi mi sono reso, forse per la prima volta conto di quanto, nonostante tutti i nostri sforzi per camuffarlo, siamo esseri infinitamente fragili e soprattutto mortali.
Non so che senso abbia la vita, in che modo vada vissuta, e francamente queste domande mi angosciano terribilmente. Non so neanche se sia normale porsele a 20 anni, mentre si finisce di ripulire una barella sulla quale è appena morto un uomo.
Per ora so soltanto una cosa, forse cinica voi direte. Ma allo stato attuale, non posso far altro che ringraziare il Signor Michele: è stato il primo infatti a mettermi faccia a faccia con la morte ed ad insegnarmi come affrontarla.
Il Barelliere