soccorritori

“….Signor Michele “

Posted by Il Barelliere on luglio 09, 2015
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foto di EP

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Eccoci.

Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe giunto. E sebbene sarà una costante nel mio prossimo futuro, vista la facoltà che ho intrapreso, la prima volta non è mai facile da affrontare.
Le mie mani, una sopra l’altra, come da manuale, comprimono il torace del signor Michele. 27…28…29…30…aspetto che il capo equipaggio, alla testa, esegua le due insufflazioni con l’ambu e poi di nuovo a massaggiare 1…2…3…4… Maledetti capelli lunghi! Continuano a cadermi davanti agli occhi ad ogni compressione toracica. Dove cazzo ho lasciato la fascia per raccoglierli!? Ma soprattutto perché sto torace non scende come sul manichino!? Aumento l’intensità del massaggio.
“Lascia stare; ormai lo sterno è completamente sfondato, è per quello che ti sembra di non massaggiare abbastanza. Continua pure con il ritmo di prima che andava benissimo” mi dice Marta, con tranquillità .
In effetti sappiamo benissimo entrambi che, se anche ora interrompessimo le manovre di rianimazione, non cambierebbe nulla lo stesso. Il signor Michele è morto.
Quasi sicuramente lo era anche all’arrivo della prima ambulanza, composta da due soccorritori: sono loro ad aver iniziato i tentavi di rianimazione, ma essendo solo in due, hanno dovuto aspettare il nostro arrivo per trasportarlo in ospedale. Sono andati avanti almeno per mezz’ora, il defibrillatore semiautomatico ha effettuato 11 analisi, nessuna delle quali seguita da alcuna scarica.
Non sono un medico ( non ancora almeno) , ma non è difficile ipotizzare che il signor Michele è in asistolia : il suo cuore ha smesso di battere da parecchio tempo e nulla potrà farlo ripartire.

Così mi ritrovo qui. Un sabato sera di Gennaio, su un ambulanza che corre a sirene spiegate tra i palazzoni popolari del sud-Milano, a massaggiare un cuore che non riprenderà più a battere. Lo sappiamo tutti : Io, il capo equipaggio e l’autista e forse lo sa anche il signor Michele. Ma non per questo io smetto di comprimere quel torace, Marta di insufflare aria nei polmoni o Matteo di fare lo slalom tra le auto nel traffico. Non tanto perché non possiamo legalmente constatarne il decesso, ma perché in fondo, compiendo quei gesti, codificati, protocollati ripetuti fino all’automatismo, non abbiamo il tempo di pensare…pensare alla morte.
Già…la morte…ma che cos’è in fondo la morte ? Ne siamo quotidianamente circondati, ne sentiamo parlare ovunque: giornali, televisioni, libri…fateci caso ! Non passerà un giorno in cui voi non sentiate, almeno una volta, parlare di morte. Ma finché questa rimane confinata sulle pagine di un quotidiano o dietro uno schermo, non ci scalfisce; certo possiamo rimanerne sconcertati, rattristati o addirittura indignati, ma non siamo in grado di percepirne la profonda tragicità. Davanti alla morte tutto si sgretola : sogni, certezze, speranze…non tanto in chi ormai è già morto, ma in coloro che vi stanno assistendo.
Oggi mi sono reso, forse per la prima volta conto di quanto, nonostante tutti i nostri sforzi per camuffarlo, siamo esseri infinitamente fragili e soprattutto mortali.

Non so che senso abbia la vita, in che modo vada vissuta, e francamente queste domande mi angosciano terribilmente. Non so neanche se sia normale porsele a 20 anni, mentre si finisce di ripulire una barella sulla quale è appena morto un uomo.

Per ora so soltanto una cosa, forse cinica voi direte. Ma allo stato attuale, non posso far altro che ringraziare il Signor Michele: è stato il primo infatti a mettermi faccia a faccia con la morte ed ad insegnarmi come affrontarla.

Il Barelliere

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Il silenzio, nuova dimora

Posted by lunasioux on settembre 22, 2013
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foto di MV

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Ricordo ancora come quella parola rimbomba, simile a un’ombra scura nella mente, quando non ti aspetti di sentirla. Il mondo si ferma in un istante. Ancora un altro. Ricordo come sia impossibile dare una forma a quella parola. Allora la ripeto. Ma non cambia nulla. Non ha alcun senso. Ricordo il dolore associato ad essa di tanti piccoli spilli che penetrano ogni parte del corpo e lì si fermano, andando sempre più a fondo ad ogni respiro, e ad ogni pensiero nostalgico.

Ricordo quella parola madida di ferite, vuoti assordanti, logiche incomprensibili, urli soffocati, deliri di dolore, lacrime pungenti, brandelli di cuore. La ripeto, perché fino a un momento fa stavo lavorando, stavo portando a spasso il cane, stavo in viaggio, stavo studiando, leggendo, cantando … e poi tutto si è fermato.

La voragine, il buio, il silenzio eterno.

Dovrò imparare a chiamarla con il suo nome. La ripeto ancora quella parola, eppure non riesco mai a darle una forma. La morte.

Ricordo come sia inevitabile ricordare.

Ripensare ai momenti straordinari passati insieme, scintille di un passato che ora bruciano sulla pelle, perché ogni minuto, ogni giorno, ogni anno la ferita di quella perdita continua ad aprirsi, e la voragine si allarga.

Ricordo le parole di circostanza in quel momento di dolore. Le parole di odio contro u

n dio così ingiusto. Le parole d’amore verso un dio buono che si prenderà cura del nostro angelo. Le parole di chi non sa che dire. E i silenzi di chi perde la voce ed entra in una dimensione di sofferenza lancinante.

Ricordo lo strazio della madre che non si dà pace. Per la seconda volta subisce il taglio del cordone ombelicale che la lega al figlio. Una chiara manifestazione di come la natura cambia il suo corso, inverte i ruoli, fa crollare ogni certezza. Ricordo il silenzio del padre, di un uomo che piange, l’ossimoro struggente della sua fragilità in un corpo forte e muscoloso.

Ricordo come il tempo non aiuta, come ognuno cerca disperatamente una strada per poter andare avanti, come certi giorni siano più difficili di altri, come un semplice profumo possa a volte far risplendere la presenza di un’assenza.

Ricordo la gioia di chi cerca di guarire quella ferita con una cosa sola: l’amore. Di chi accoglie quel dolore e lo trasforma in un vortice di energia, creando, danzando con la vita, cantando, suonando, scrivendo. Un inno d’amore che squarcia le pareti della solitudine, dl vuoto, del rancore, dell’odio.

Ricordo che è come perdere una parte di se stessi. Non muore solo un volto, un sorriso, un corpo. Muoiono anche l’abbraccio, il giro in moto, la passeggiata al mare, i baci, le litigate, i pomeriggi di studio, le sciate in montagna, i consigli, le ramanzine, le serate al pub, i viaggi.

Muore un mondo che piano implode nel ricordo.

Rimane tutto lì, in un pensiero, quando si guarda una vecchia foto e si ride nel pianto.

Lunasioux

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