Archive for marzo, 2017

Il mandolino non va sottovalutato

Posted by Storyteller on marzo 16, 2017
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foto di GP

foto di GP

Poco tempo fa giunge nella sala operatoria dove lavoro come anestesista un paziente da sottoporre ad un intervento di routine in regime di day hospital per il quale si è giudicata  preferibile l’anestesia spinale, pratica anch’essa routinaria e di cui io stesso avevo informato l’interessato nella fase detta di pre-ricovero. Arrivato nel locale di preparazione il paziente (pienamente cosciente perché noi non somministriamo sedativi in reparto, la vecchia preanestesia) tenta dapprima di imbastire una polemica sul fatto che il giorno precedente (domenica) non aveva avuto risposta al numero telefonico del reparto con le parole “ma allora fate festa…” e gli si risponde c’è chi lavora anche il sabato e la domenica e chi ha il riposo fisso e che il reparto in questione non sarebbe un day hospital se fosse aperto nei festivi.

Mi appresto quindi ad eseguire l’anestesia spinale e il soggetto indugia a mettersi nella posizione seduta che gli viene richiesta, mi guarda fisso e mi dice: “ guardi che non vorrei dovermi ricordare il suo nome, perché, sa, io alle persone ci tengo…”

Sì, avete capito bene: “io alle persone ci tengo”, in un contesto in cui siamo noi, medici e infermieri, che alle persone “ci teniamo”. Allora bisogna dire con chiarezza che non si tratta di una reazione eccessiva di una persona spaventata (è un adulto consapevole che si è fatto di tutto per mettere a proprio agio) ma che ci troviamo di fronte ad un genuino prodotto italiano, meno gustoso del culatello e della mozzarella di bufala, ma ugualmente noto nel mondo: l’avvertimento mafioso.

Poi l’anestesia viene eseguita senza problemi, il paziente non avverte né dolore né fastidio e io vengo gratificato con le parole: “però, bravo. Non credevo…”

E già, bravo (come tanti altri, ovviamente), però facciamo alcune riflessioni:

-le minacce dopo tutte le derubricazioni e depenalizzazioni degli scorsi anni restano un reato previsto e punito dal Codice Penale ma qui si è usata una perifrasi per minacciare senza fare apparire una minaccia diretta (che anche in questo ci sia una “professionalità”?);

-se il soggetto avesse dovuto discutere con funzionari del Catasto o dell’Agenzia delle Entrate (sono tutti incaricati di un pubblico servizio, come noi) avrebbe avuto lo stesso atteggiamento oppure si pensa che con il personale della Sanità in fondo si può?

-se il soggetto avesse ricevuto qualche risposta non garbata sul riposo settimanale degli ospedalieri o non avesse collaborato alla manovra e gli si fosse detto “non sia intollerante”,  forse lo avremmo visto recarsi all’URP, dove avrebbe trovato ascolto e forse gli operatori sanitari sarebbero stati chiamati a giustificarsi;

-e io dove e a chi posso segnalare un fatto del genere? Non certo sulla cartella clinica dove si annotano solo fatti relativi al percorso di diagnosi e cura.

Negli ultimi anni si è parlato “Medicina Narrativa”, cioè di affiancare all’annotazione, diciamo tecnica una sorta di storytelling in cui compaiano aspetti materiali, relazionali, psicologici del ricovero in ospedale, si pensi per esempio ai rapporti con i famigliari nei lunghi ricoveri nelle Medicine. Io non ne so molto ma ho cominciato a riflettere, più che sul mio povero esempio, su tutti gli operatori di Guardie Mediche, Pronto Soccorsi, Psichiatrie ecc. che hanno subito aggressioni e che hanno potuto segnalare e denunciare solo dopo che era accaduto il peggio.

Prima ti accoltellano e poi ti puoi tutelare? Non può andare così.

Sto terminando di fare queste riflessioni non ottimistiche quando in tv passa la pubblicità di Bancoposta con Vivaldi, il concerto per mandolino, archi e cembalo RV425,  una musica strepitosa e di grande leggerezza.

Decido di ascoltare tutto il concerto: il mandolino non è lo strumento folklorico che molti snobbano, ma esiste una letteratura ed esistono ensembles mandolinistici.

Il mandolino non va sottovalutato.

Buona notte

Storyteller

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Mi piace pensare

Posted by folfox4 on marzo 08, 2017
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La notte del 13 agosto del 1980 ero di guardia come anestesista-rianimatore presso l’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli (RM). Allora la guardia notturna era coperta da un unico medico sia per il reparto di Rianimazione che per la sala operatoria, con un reperibile fuori, pronto a raddoppiare per ogni necessità. Tra le 23.00 e le 23.30, dopo la visita serale ai malati di Rianimazione, ero andato a prendere un caffè con i colleghi infermieri della sala operatoria.

Ci affacciammo tutti e tre, la ferrista, l’infermiere di sala e io alla finestra posta alla fine del corridoio della sala operatoria che dava sul piazzale dell’ospedale. L’ausiliario ascoltava musica da una radio transistor poco distante.

Mentre si parlava del più e del meno, in sottofondo, il suono di una sirena di ambulanza incominciò a farsi strada nelle nostre teste.

Meccanicamente, la ferrista si fece indietro e si avviò nella sala di chirurgia d’urgenza. L’infermiere scosse l’ausiliario che andò a chiamare l’ascensore. Io entrai in sala per verificare che il respiratore, la monitorizzazione, i farmaci per l’anestesia e i fluidi fossero tutti disponibili. Saliva per i tornanti che dalla statale Tiburtina vengono verso Tivoli, e il suono era sempre più intenso.

La ferrista , l’infermiere di sala e io ci guardammo.

Capimmo, non so sulla base di che cosa, che era per noi, ma anche che non sarebbe stato semplice. Come da regola, l’ausiliario scese in Pronto per la prima occhiata. Confermò al telefono che era per noi. E nemmeno una roba semplice. Salirono in ascensore i ginecologi, il medico del Pronto la barella con sopra una ragazzina di 15 anni si e no.

Sul lenzuolo davanti alle cosce una pozza di sangue. Lei pallida respirava a fatica. Gli occhi sbarrati. Sudata fradicia.

Quando fummo in grado di iniziare la pressione arteriosa sistolica era di 60 mmHg e la frequenza cardiaca di 160 bpm.

La mettemmo sul tavolo operatorio direttamente col lenzuolo della barella.

Tra le gambe un muccio di anse intestinali.

Aprendo l’addome fu chiaro che l’utero era stato sfondato durante una manovra di raschiamento dell’utero per interrompere una gravidanza e invece del feto quello che era stato tirato via era l’intestino.

Morì dopo una settimana di alterne vicende legate a uno shock settico che andava avanti e indietro senza risolversi mai definitivamente.

Per inciso era una Rom.

Io sono diventato non obiettore così. Io non ho avuto modo di fare equilibrismi intellettuali. Io ho dovuto scegliere se stare dalla parte del Sistema Sanitario Nazionale o della mia coscienza che, detto tra noi, all’epoca nemmeno se l’era posto il problema.

Ho scelto. Sono diventato abortista. Anestesista abortista. Ospedaliero. Dopo non è stato facile. E c’è stato un momento in cui ho dubitato della mia scelta. Come al solito ci si sente un po’ male quando troppo è troppo.

Poi le statistiche dicono oggi che il tasso di abortività nel nostro Paese si è ridotto significativamente.   Sono contento perché se io e tutti quelli che come me hanno continuato in quegli anni non avessero tento duro, quel tasso di abortività sarebbe rimasto confinato ai tavoli da cucina delle mammane. Anche a questo abbiamo posto rimedio. Non abbiamo completamente risolto. No. Ma quella roba che ho visto io la notte del 13 agosto del 1980 oggi mi piace credere che nessun medico la veda più.

Questo è ciò che conta per me.

Io ho scelto di fare il medico.

Folfox4

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