Poco tempo fa giunge nella sala operatoria dove lavoro come anestesista un paziente da sottoporre ad un intervento di routine in regime di day hospital per il quale si è giudicata preferibile l’anestesia spinale, pratica anch’essa routinaria e di cui io stesso avevo informato l’interessato nella fase detta di pre-ricovero. Arrivato nel locale di preparazione il paziente (pienamente cosciente perché noi non somministriamo sedativi in reparto, la vecchia preanestesia) tenta dapprima di imbastire una polemica sul fatto che il giorno precedente (domenica) non aveva avuto risposta al numero telefonico del reparto con le parole “ma allora fate festa…” e gli si risponde c’è chi lavora anche il sabato e la domenica e chi ha il riposo fisso e che il reparto in questione non sarebbe un day hospital se fosse aperto nei festivi.
Mi appresto quindi ad eseguire l’anestesia spinale e il soggetto indugia a mettersi nella posizione seduta che gli viene richiesta, mi guarda fisso e mi dice: “ guardi che non vorrei dovermi ricordare il suo nome, perché, sa, io alle persone ci tengo…”
Sì, avete capito bene: “io alle persone ci tengo”, in un contesto in cui siamo noi, medici e infermieri, che alle persone “ci teniamo”. Allora bisogna dire con chiarezza che non si tratta di una reazione eccessiva di una persona spaventata (è un adulto consapevole che si è fatto di tutto per mettere a proprio agio) ma che ci troviamo di fronte ad un genuino prodotto italiano, meno gustoso del culatello e della mozzarella di bufala, ma ugualmente noto nel mondo: l’avvertimento mafioso.
Poi l’anestesia viene eseguita senza problemi, il paziente non avverte né dolore né fastidio e io vengo gratificato con le parole: “però, bravo. Non credevo…”
E già, bravo (come tanti altri, ovviamente), però facciamo alcune riflessioni:
-le minacce dopo tutte le derubricazioni e depenalizzazioni degli scorsi anni restano un reato previsto e punito dal Codice Penale ma qui si è usata una perifrasi per minacciare senza fare apparire una minaccia diretta (che anche in questo ci sia una “professionalità”?);
-se il soggetto avesse dovuto discutere con funzionari del Catasto o dell’Agenzia delle Entrate (sono tutti incaricati di un pubblico servizio, come noi) avrebbe avuto lo stesso atteggiamento oppure si pensa che con il personale della Sanità in fondo si può?
-se il soggetto avesse ricevuto qualche risposta non garbata sul riposo settimanale degli ospedalieri o non avesse collaborato alla manovra e gli si fosse detto “non sia intollerante”, forse lo avremmo visto recarsi all’URP, dove avrebbe trovato ascolto e forse gli operatori sanitari sarebbero stati chiamati a giustificarsi;
-e io dove e a chi posso segnalare un fatto del genere? Non certo sulla cartella clinica dove si annotano solo fatti relativi al percorso di diagnosi e cura.
Negli ultimi anni si è parlato “Medicina Narrativa”, cioè di affiancare all’annotazione, diciamo tecnica una sorta di storytelling in cui compaiano aspetti materiali, relazionali, psicologici del ricovero in ospedale, si pensi per esempio ai rapporti con i famigliari nei lunghi ricoveri nelle Medicine. Io non ne so molto ma ho cominciato a riflettere, più che sul mio povero esempio, su tutti gli operatori di Guardie Mediche, Pronto Soccorsi, Psichiatrie ecc. che hanno subito aggressioni e che hanno potuto segnalare e denunciare solo dopo che era accaduto il peggio.
Prima ti accoltellano e poi ti puoi tutelare? Non può andare così.
Sto terminando di fare queste riflessioni non ottimistiche quando in tv passa la pubblicità di Bancoposta con Vivaldi, il concerto per mandolino, archi e cembalo RV425, una musica strepitosa e di grande leggerezza.
Decido di ascoltare tutto il concerto: il mandolino non è lo strumento folklorico che molti snobbano, ma esiste una letteratura ed esistono ensembles mandolinistici.
Il mandolino non va sottovalutato.
Buona notte
Storyteller