A Nawaf, il guerriero coraggioso.

Scritta da Gio su febbraio 07, 2014
cronache
foto di NC

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Chiamata dalle infermiere, apro la porta della stanza 117 e mi trovo catapultata in un altro mondo.
A tutto volume, da qualche iPhone, un muezzin chiama alla preghiera.
Una donna, di cui conosco solo gli occhi, dorme per terra, per lasciar posto a suo marito sul letto.
Il loro figlio sedicenne sta morendo nel letto accanto.
Nessuno può capirmi quando parlo, nessuno parla nè intende una lingua europea.
Il colloquio ufficiale con l´interprete è fissato per domattina, ma il loro figlio ha iniziato ora ad avere emottisi, dispnea e panico, e io devo sedarlo ora e non posso aspettare il traduttore alle 9:00.
Nawaf non ha più forze, pesa si e no trenta chili, è venuto in Europa perchè il suo osteosarcoma alla gamba era così grosso che i medici in Iran volevano amputagliela.
La famiglia non poteva vivere col pensiero del figlio maschio mutilato.
L´ottenimento del permesso per venire in Europa ha tardato così tanto che il tumore nel frattempo si è preso anche i polmoni di Nawaf, e persino un pezzetto del suo cuore.
Quando è arrivato qui, per giunta, quella gamba abbiamo dovuto levargliela lo stesso, chiaro esempio di senso di onnipotenza occidentale…
Cosi, lui è rimasto due mesi nella 117, senza una gamba e senza comprendere la lingua nè i costumi di chi gli stava attorno. Costretto a porre domande attraverso un traduttore che veniva quando e come aveva tempo.
Ieri abbiamo detto ai genitori di Nawaf che per il loro figlio non possiamo fare più nulla, e che non c’è tempo per farli tornare a casa.
Chissà con che parole un traduttore traduce la morte.
Quando comunichi a una famiglia che il figlio sta per morire, non riesci a farlo neanche nella tua medesima lingua. Il flusso di emozioni, e il senso di inadeguatezza prendono spesso il sopravvento. E io come faccio a fidarmi di un interprete, come so cosa esattamente sta dicendo? Userà parole chiare ma empatiche?
Metterà qualche aggettivo per smorzare la violenza che sto comunicando?
tradurrà ogni dettaglio (perchè sono i dettagli che fanno la differenza) delle domande dei genitori?
In questo caso il tutto è ancora più difficile, perchè non posso neanche vedere il volto di questa madre, il suo dolore, e non ho idea di cosa mi voglia dire, perchè lei non può parlare direttamente con il traduttore, ma solo tramite il marito.
Possibile che anche nelle ultime ore di vita del figlio certe cose non possano essere diverse?
A Nawaf ieri il traduttore ha chiesto se aveva domande, se voleva dirci qualcosa, qualsiasi cosa per uscire dal quel suo silenzio forzato.
Lui ci ha chiesto se potevamo fare qualcosa per farlo smettere di tossire…
Ora è dispnoico, satura 84% con 6 litri di ossigeno, rantola ovunque, non ho tempo di provare a spiegare ai genitori: il cocktail è già pronto: Morfina, Levopromazina e Midazolam. Cerco gli occhi della madre sotto il burqa, trovo quelli di Nawaf che hanno solo paura.
Pochi, lunghissimi minuti, e vedo gli effetti della sedazione.
Il viso si distende, il respiro resta irregolare ma la paura è andata, l´infermiere lo sistema sui cuscini, gli pulisce il volto segnato dall´emottisi.
La madre guarda il monitor con i parametri vitali per capire se il figlio è ancora li, tra qualche ora probabilmente inizierà ad ascoltare con paura se a un respiro ne seguirà uno nuovo.
Chissà se domattina alle 9:00 la madre chiederà al padre, di chiedere al traduttore, di chiedere al medico perchè non le ho chiesto se voleva dire ancora qualcosa a suo figlio prima di sedarlo definitivamente?

Gio

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