Adriano

Scritta da Labile su marzo 01, 2013
cronache
Foto di SC

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“Ho sempre preferito il fuori al dentro.”

Spesso mi torna in mente questa frase, per niente innocua e di grande interesse, ogni volta che da una finestra guardo in basso fra gli alberi.

Guardare da dentro a fuori è sempre stato quello che preferiva fare, quasi come per gioco, un passatempo, una scoperta continua , una raccolta di dettagli e particolari che si fissano per sempre negli occhi.

È raro trovare un reparto così, dove la luce potrebbe non essere necessaria, inv

ece in questo palazzo romano del ‘500 è del tutto normale avere a disposizione grandi finestre, quasi delle vetrate, da cui piove una luce scenografica e crepuscolare.

Più in là, lo stesso palazzo, si trasforma in atelier di pittori e scultori e più oltre ancora nella scuola di nudo dell’accademia.

Se getti lo sguardo, oltre la finestra, mentre traffichi con la consueta e necessaria attenzione attorno a uomini e donne, spesso intubati, è come volare sopra il grande platano e vedere come da prospettiva da quadro impressionista francese, foglie e rami che intrecciandosi salgono dal secondo cortile interno di quest’ospedale.

Adriano è in un letto di fianco alla finestra, non riceve mai il sole direttamente, una luce limpidissima lo inonda appena fa mattino. Non vede altro che rami e foglie nell’intreccio vitale che rende il platano secolare un vero ed inarrivabile esempio di attaccamento alla vita.

“Proprio come la sua”, penso mentre gli allungo la colazione.

D’altronde Adriano è uno dei pochi pazienti che, svezzato dalla ventilazione assistita, riprende lentamente a parlare.

Pian piano prende confidenza con noi che, ormai abituati a trattare col suo corpo, ci sembra di conoscerlo da tanto tempo, anche nell’animo.

Il suo sguardo come fatto d’acqua, giorno dopo giorno riacquista forza, quella stessa forza che lui sa di aver praticato per vivere.

Adriano sa di dover morire, non come noi ignoranti e sani.

“Tutti prenotati, siamo tutti prenotati …” rispondo quando mi dice di sapere già come andrà a finire.

Di netto come una banalità buttata li a perturbare la bellezza delle foglie e dei rami.

Essere consapevoli deve essere il più cattivo dei tormenti, eppure la faccia e il corpo di Adriano dicono di una immensa calma, una serenità che di rado ho visto nelle persone.

Adriano, mani splendide di sarto romano d’alta moda, corpo asciutto e capelli appena imbiancati, sessant’anni appena e ben portati.

Adriano legge epigrafi funerarie latine raccolte in una vecchia edizione Einaudi e ogni mattina come uno scolaro diligente si fa trovare con il libricino fra le mani.

“Ascolta questa …” mi dice mentre legge ad alta voce una che gli è sembrata bellissima.

Poche parole, aggettivi delicati eppur potenti a rappresentare in appena due o tre righe il carattere e la vita, il sentimento di defunti millenari, spessissimo bambini, mogli amatissime e mariti valorosi.

L’imbarazzo che provo nei suoi confronti mi ammutolisce, quasi sempre non riesco più a parlare di fronte alla sua leggera e consapevole necessità.

Quasi mi spaventa.

Adriano è morto.

Appena finì di leggere il suo libro, me lo allungò con delicatezza dicendomi: “È tuo”.

Compì il suo modo di acconsentire l’arrivo della sua fine leggendo quella di altri e mi piace pensare alla sua forza quando sfoglio le pagine di quel volumetto sapendo che Adriano riposa da qualche parte in compagnia della sua bellissima e immortale epigrafe.

Labile

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5 commenti

  • Icy24 scrive:

    …quando avverti chiaramente le emozioni di un paziente travasare dalla sua alla tua anima poi dire, senza paura di sbagliare, di esser riuscito a stabilire un contatto capace di far la differenza… siamo tutti a termine, come dice Adriano, “siamo tutti prenotati” per lo stesso viaggio… ma il viaggio non finisce mai se continuiamo a scambiarci emozioni ed esperienze… Adriano ti ha passato il testimone… tu lo hai passato a noi… e Adriano ora è a zonzo per il web alla ricerca degli epigrafi più belli… nessuno muore davvero finchè è vivo nei ricordi di qualcuno…

  • Valeria scrive:

    Nella malattia la consapevolezza della morte e la serenità del proprio destino.

  • daniela scrive:

    nessuno muore davvero finchè è vivo nei ricordi di qualcuno… verissimo.
    io ho deciso che sarei diventata un medico nel freddo irreale di una camera mortuaria, cercando di trasformare il dolore e la rabbia enormi della perdita di una persona davvero speciale nel tentativo del tutto personale di far rivivere anche in me la capacità di ascoltare, condividere e reagire alla malattia che questa persona aveva dimostrato con classe e dignità.

  • Massimolegnani scrive:

    Puo’sembrare un lascito macabro, ma adriano con il libro delle epigrafi ti ha voluto regalare uno strumento, il suo strumento, per avvicinarsi serenamente alla morte. ml

  • gelsobianco scrive:

    Adriano ti ha passato tutta la sua esperienza, la sua dignità, la sua accettazione serena della vita e della morte. Grande regalo! gb

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