Amalia

Scritta da Before.C. su Gennaio 20, 2013
testimonianze

Foto di MV

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Come al solito, dò il cambio in anticipo per la guardia di notte in Chirurgia, la quarta in otto giorni. Se non che sono uscito dalla Sala Operatoria tre ore fa: giusto il tempo di andare a casa per un panino, controllare la mail, starsene un po’a guardare le foglie secche che cadono dall’imponente albero di noci vicino casa, e tornare in Ospedale.

Negli ultimi tre anni abbiamo avuto tre pensionamenti e un trasferimento e ormai siamo rimasti in sei: nonostante tutto reggiamo il peso di tre sedute operatorie settimanali e guardia H24 più la reperibilità per le urgenze. In Regione Campania, ai tagli della spending review si sommano il piano di rientro e la cronica disorganizzazione.

 

Il collega smontante, nel passarmi le consegne, mi dice: “Sai chi abbiamo in appoggio in Ortopedia con una subocclusione intestinale? Amalia S., te la ricordi?”. Il nome mi suona familiare, ma non riesco inizialmente a focalizzarla. Poi mi ricordo la storia.

Trent’anni fa, da poco entrato in Ospedale, una delle ospiti ricorrenti era lei, Amalia, con una patologia stranissima che non ho mai visto descritta nei testi di Chirurgia: i due glutei erano piatti e solcati da profondi incisioni cerebriformi; periodicamente, dal fondo di una di esse, si sviluppava una fistola con secrezione purulenta. Oggi sarebbe stata trattata a domicilio e ambulatorialmente, ma all’epoca, con sessanta posti letto a disposizione e senza l’incubo dei DRG e dell’appropriatezza del ricovero, non avevamo problemi a tenerla periodicamente con noi. Anche perché Amalia era una paziente “speciale”.

Epilettica fin dall’infanzia, con crisi non sempre controllate dalla terapia, veniva da una famiglia estremamente povera; il padre la costrinse, all’età di ventun anni, a sottoporsi ad isterectomia “profilattica”, perché “se rimaneva incinta e faceva un figlio, con le crisi che aveva il bambino le sarebbe caduto dalle braccia”.

Si era sposata con tale Francesco (“Ciccillo” per tutti), invalido e disoccupato, e vivevano in un casa di proprietà del Comune, che eravamo riusciti a far loro avere grazie a continue segnalazioni. Periodicamente, quando Amalia si ricoverava, riuscivamo anche, a nostre spese, a mandare qualcuno che si occupasse di una pulizia straordinaria dell’abitazione, e che rifiutava di tornarci successivamente. Ciccillo, nei periodi di degenza di Amalia, si stabiliva praticamente in Ospedale, un po’ per l’affetto verso la moglie un po’ perché il vitto dell’Ospedale che gli passavamo era sicuramente una prelibatezza rispetto al solito menù casalingo.

Non ho più visto Amalia per decenni. Per questo, quando il collega me ne segnala la presenza, vado subito da lei. Non è cambiata molto: un volto forse un po’ amimico e sicuramente triste. Non mi riconosce subito: quando le dico il mio nome mi stringe le mani e quasi piange. Poi mi racconta che Ciccillo è morto da quattro anni; il giorno dopo il funerale, un fratello è andata a prenderla a casa e le ha detto di preparare i miseri bagagli perché sarebbe andata a vivere con la sua famiglia. Una volta in macchina, l’ha portata in un ospizio (abbastanza conosciuto per non essere esattamente un Albergo a cinque stelle), dove tuttora vive. Il cambio della biancheria ha cadenza bimestrale e il trattamento non è propriamente “amichevole”.

Poi la figura del medico rispunta e vado avanti con la storia clinica recente e con la visita. Amalia ha il sondino naso-gastrico, ma si sente “graffiare in gola”. Le cerco un po’ d’acqua e la imbocco con un cucchiaio; la convinco a tenersi quel tubicino nel naso. Devo andare a vedere gli altri pazienti ricoverati in Chirurgia, la devo lasciare…ma Amalia non mi lascia le mani, se non dopo ripetute promesse di tornare subito.

Cosa che faccio appena mi sono liberato. Non dorme ancora, mi aspetta, mi prende le mani e così dopo un po’, si assopisce.

Rimango a guardarla: mi sono sempre chiesto se è solo compassione quello che ci muove verso Amalia e le tante altre persone con storie simili in cui ci imbattiamo nella nostra vita professionale. No, c’è anche affetto, che nessuna delle riforme cui periodicamente la Sanità viene sottoposta ha mai citato, e che assieme a senso del dovere, di responsabilità, a coscienza fa sì che ogni giorno tutte le Amalia d’Italia possano avere una mano da stringere.

 

Before.C.

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6 commenti

  • Icy24 ha detto:

    Il mio pensiero, quello che mi fa andare avanti nonostante tutto, è che in ognuno di noi ci sia un posto speciale per le Amalia di questo mondo… perchè se davvero questa professione, così dura a volte da cercare sempre e comunque di strapparti l’anima in cambio di una tazza di cinismo, è così speciale e degna è per questo… silenziosa umanità…

  • daniela ha detto:

    ” L’assistenza è un arte; e se deve essere realizzata come arte,
    richiede una devozione totale e una preparazione, come
    qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non
    si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo
    umano, il tempio dello Spirito di Dio. E’ una delle belle arti, anzi
    la più bella delle arti “ (Florence Nightingale).

    ieri un congresso di chirurgia robotica si è concluso così.
    credo che, più di un robot, lasci senza parole lo stupore sempre nuovo che accomuna ogni nostro tentativo di entrare in un’ anima che ha bisogno, quando spesso questo è ricambiato e superato dalla trasparenza sincera del dolore e nonostante tutto della fiducia in noi.

  • massimolegnani ha detto:

    brano limpido e condiviso. forse siamo anche noi ad aver bisogno di Amalia. ml

  • Valeria ha detto:

    Le pazienti come Amalia sono persone che vivono una vita difficile in questa società(famiglia compresa)e trovare una mano(ovunque)da stringere è parte di una terapia efficace.

  • TNT69 ha detto:

    Bello! Non ho altro da aggiungere. Grazie di cuore.

  • labile ha detto:

    le persone sono storie che raccontano di noi stessi più di quanto immaginiamo…

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