i mostri

Posted by alti on giugno 01, 2011
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Sono le 3,33 della mia terza notte di guardia…
sarà un segno del destino? Il tempo sembra essersi arenato ormai da giorni, ore, mesi, gli occhi faticano a restare aperti, l’encefalo bisticcia con quel poco di lucidità che mi rimane, insomma, non è che quando faccio il turno di giorno la situazione sia poi tanto migliore, l’encefalo è poi pur sempre quello; comunque è proprio alle 3 e 33 di questa notte di guardia, attaccato a questo computer, che mi chiedo che cosa abbia da guardare quell’individuo dallo sguardo torvo che sembra quasi prendere nota di ogni mio più impercettibile movimento.
Il tempo sembra non passare mai ma questa notte di tempo per distrarsi ne rimane poco, in circa 10 minuti netti, allo scopo di battere ogni record nella digitazione di vocaboli composti, ho registrato:
2 coliche renali (evidentemente le 3,33 è l’ora della colica), 1 otorrea, 1 peritonite, 1 BAV di 3°, che in 10 minuti non è proprio male. Il tempo stimato di attesa attualmente è di circa 4 h e 30 e spero che chiunque abbia mai avuto a che fare con un pronto soccorso riesca ad immaginare quale possa essere il buon umore che accompagna ogni persona in attesa e che sembra aver in questo momento adottato l’infermiere di triage quale punch ball…
Sarà che è la vigilia di natale, sarà che sono le 3,33, sarà che c’è l’influenza circolante e che non sarà suina ma porca maiala quanta ce n’è, sarà che la gente arriva per ogni cazzata ma soprattutto sarà che quello li non la smette di fissarmi un momento, ma io mi infilerei volentieri sotto il mio piumone abbracciato al mio cane e soprattutto sarà pur vero che di notti di guardia su ‘ste divise ne passano tante, ma se ci ricordassimo di lavarle, forse, puzzerebbero anche un po’ di meno… ehi non è che quello mi guarda per la puzza che emana la mia divisa? Eppure l’ho cambiata questa sera.
Ma… lo sapete… l’avevo già detto… forse pure un po’ troppe volte… ma le macchie sulle divise compaiono a iosa, a macchia di leopardo, una ogni centimetro o anche meno ed ogni volta raccontano pur sempre qualcosa. Quella che vi racconto questa sera è la macchia che parla di uno studente infermiere durante un tirocinio presso il SERT.. me lo ricordo ancora, era obbligatorio farne almeno uno o nel meraviglioso ambiente delle tossicodipendenze, o nell’area materno-infantile, a me non piacevano né i bambini malati, ne i tossici sani, però, essendo obbligatorio… Intanto sia chiaro, qui lo scrivo, qui lo denuncio e lo metto nero su bianco, se quello li continua a guardarmi tra qualche minuto mi metto a fissarlo… comunque la macchia questa volta non comparve proprio sulla divisa, piuttosto sulla pelle, nell’anima, nel profondo. Era il primo giorno e sto SERT lo dovevo ancora trovare e voi avete mai provato a cercare un SERT? Passa quasi del tutto inosservato, viene reso il più anonimo possibile, se si potesse lo vestirebbero da albero nel mezzo di un viale alberato o da foglia nel bel cuore dell’autunno; comunque arrivo al luogo indicato con largo anticipo, giro un po’, rigiro un po’, ri-ri giro un po’ e poi sarà che non ho proprio l’aria del bravo ragazzo (in genere se c’è una macchina dei carabinieri mi punta il faro addosso da Km di distanza) sarà che avevo l’occhio un po’ pesto per l’emozione che comunque, ogni nuova esperienza comporta, ma sto SERT non lo trovavo… Così, mi decido ad entrare dentro i locali dell’ASL nell’intento di trovare la mia meta…. (Ma ditemi voi se intanto devo essere continuamente spiato da quell’individuo… sarà un ritrattista..) mi aggiro con indifferenza verso la bollatrice ed affianco una bella ragazza bionda, truccata a sufficienza, occhio azzurro, scarpa con tacco, gonnellina della giusta misura e mi permetto di pronunciare le prime due parole della giornata (purtroppo sono un po’ come le macchine diesel, devo scaldare le candelette e le prime parole riescono sempre come l’emissione di un suono gutturale): “Scusi, il SERT?” 3 decimi di secondo e viene immediatamente compiuto il passo indietro, vengo scannerizzato dalle scarpe ai capelli, ed immediatamente vengo invitato ad accomodarmi verso l’uscita, mi permetto di dire due mah e tre boh ma il tempo di pronunciarli e mi ritrovo fuori, ed invitato o più che altro spinto di forza, verso un corridoio esterno della larghezza massima di 1 metro per percorrere il quale è necessario fare lo slalom tra le cacche di piccione che volano dai cornicioni e camminando con passo laterale (ripensandoci sembra di assistere ad una lezione di aerobica, un po’ come quella cui farò assistere al signore che continua a spiarmi di sottecchi se non la finisce) insomma, dopo le peripezie necessarie arrivo all’ingresso e vengo accolto dentro ai locali del SERT e ovviamente qualificandomi immediatamente come studente infermiere prima di ritrovarmi già con un flacone di metadone in mano…
Beh pensavo di trovarmi chissà quale popolazione di mostri inorriditi dalla dipendenza, il cui sport preferito consisteva nel grattare la guancia dalla incolta barba o rubare il portafoglio del primo venuto ma l’esperienza insegna e anche quella volta ho imparato qualcosa (spero che anche il signore dallo sguardo vitreo impari qualcosa fissandomi), dicevo, anche quella volta qualcosa l’ho imparato, i mostri non erano li dentro, erano tutti li attorno, sono quelli che quel SERT l’hanno ubicato al posto delle camere mortuarie, sono quelle del tipo “la bionda alla bollatrice” sono quelli come il signore che continua a spiarmi perché io da quella esperienza di cose ne ho portate a casa tante, lo spirito che anima gli operatori, la fiducia nelle persone, la voglia di lottare di alcuni e la delusione di non farcela di altri, ma soprattutto mi sono portato a casa la macchia indelebile del preconcetto, non che non ne abbia credo e non che non mi sbagli mai eh, ma brucia accorgersene… e così il signore dallo sguardo apallico si avvicina, il volto serio e lo sguardo deciso non fanno presagire niente di buono, lo sapevo, me la sentivo, respira e conta fino a mille prima di partire e soprattutto niente parolacce, mordersi la lingua, tirare il freno e se proprio non ce la si può fare fanculo all’URP… :”Signore” mi dice “sa… questa notte l’ho osservata… volevo farle i complimenti, vorrei che fossero molti i professionisti come lei”.
Ingoio l’amaro rospo, il boccone velenoso e poi… dicevo… I MOSTRI… eh…

ALTI

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la macchia

Posted by alti on ottobre 21, 2010
cronache / 2 Commenti

Di notti di guardia ne scivolano diverse su queste divise, ti passano sopra, qualche macchia alla fine ce la trovi sempre e per ognuna, per piccola e insignificante che possa sembrare c’è una storia da raccontare.
Ricordo la storia di quella macchia per cui non feci assolutamente niente di importante, quella per cui feci soltanto il mio lavoro e neppure particolarmente bene o male, lo feci e basta.
Certo è che il modo in cui ti poni… beh… qualcosa fa… certo è che l’abito non fa il monaco… però… certo è che di cose che ti fanno incazzare ne vedi tante però puoi mica essere sempre incazzato? Io mi pongo sempre rispettosamente però insomma con un po’ di elasticità due battute anche con le persone che arrivano le faccio con piacere, il mio abito è quasi sempre sgualcito, non so se perché tengo le divise rannicchiate nell’armadietto, i miei piercing e tatuaggi fanno capolino dalla mia divisa e sono quasi sempre incazzato… però…. proprio adesso… mi trovo davanti un pirla di collega che si diverte a correre spingendo la barella e facendo lunghe scivolate con le zoccole e mi chiedo: “ma sono io che non sopporto proprio più niente o ci siamo completamente persi? Vorrei proprio che provasse ad immedesimarsi un secondo nel mondo reale, quello in cui anche la crisi d’ansia in questo momento si crede di avere, come minimo, un infarto e un pirla le passa davanti divertendosi a fare le scivolate… mah… torniamo alla macchia… cosa dicevo? Mac… chia. Ah…. si, quella macchia è comparsa sulla mia divisa una notte in cui, dentro questo bellissimo, magnifico, spettacolare pronto soccorso ci saranno state 35, 40 barelle, un buon numero per renderle difficilmente gestibili, età media 80 anni, tutti completamente schierati o in degenza o lungo i muri del corridoio, categoricamente spondine alzate, cercate di non fare rumore mentre vi soffiate il naso, vietato parlare con il vicino, vietato l’accesso ai non addetti, vietato fumare, vietato pensare, vietato interrompere il personale mentre lavora, vietato chiedere qualcosa al primo che passa, di divieti ne mettiamo tanti è che poi li dimentichiamo… dovremmo mettere il divieto di fare le scivolate con le zoccole perché il pirla di prima non ha mica ancora smesso… cosa dicevo? Divieti… mac… chia. Ah… si… età media 80 anni e si sa, gli uomini di 80 anni, anche se sulla barella, anche se è vietato, la pipì la devono fare lo stesso e la prostata grande come un’arancia di certo non aiuta. A me i divieti non piacciono proprio per niente, anzi sono uno di quelli che se ne vedono uno vengono immediatamente risucchiati verso l’imponente ed inarrestabile desiderio di infrangerli… domani se mettono il divieto mi metto a fare lunghe scivolate spingendo barelle… lui non ha ancora smesso ma di sicuro smetterebbe… quella macchia, dicevo, comparve perché facendo scendere l’ottantenne incartapecorito che deambulava con il bastone ed aveva un’anamnesi patologica remota comprendente tutte le patologie citate nell’Harrison, quello che nessuno dei miei colleghi si era degnato di fare scendere per tutto il pomeriggio quello che è stato spogliato, munito di pannolone e che se non riesce a pisciare nel pannolone o nel pappagallo si becca pure il catetere, quello che non smette di chiamare un attimo perché sta pipì proprio non la vuole fare… insomma quello che più di tutti spacca i maroni… e beh, io quello l’ho fatto scendere… da solo… non ho dovuto chiamare i pompieri, l’elisoccorso, allertare la direzione sanitaria, l’emodinamica, la stroke unit… niente di che, al massimo avrò infranto un’ottantina di divieti ma così andiamo in pari con i suoi anni, l’ ho fatto scendere, gli ho tolto il pannolone, il camice a fiori azzurri che tiene scoperte tutte le natiche, l’ho accompagnato in bagno a fare una gran pisciata, gli ho messo il suo pigiama, ho dedicato forse tre minuti del mio prezioso e stipendiato tempo, l’ho riaccompagnato sulla barella e nel fare tutto questo una piccola macchia di sangue proveniente dal suo accesso venoso ha sporcato la mia divisa… è piccola, infinitesimale… insignificante ma, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo ringraziati con un bel sorriso, lui perché l’ho trattato da uomo e non da cretino… come sto trattando il deficiente che nonostante tutto continua a fare le scivolate… io perché ho fatto qualcosa che non si aspettava, qualcosa di premiante, qualcosa che a suo parere andava oltre quello che mi era richiesto… oltre cosa? Oltre quel cretino che a forza di fare scivolate é finalmente caduto?

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