Domani non vado.

Posted by Bellerophontes on novembre 12, 2012
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foto di MV

Domani non vado.

Domani non vado perché posso ancora permettermelo.

Domani non vado perché questa sera mi ha ricordato chi ero, e chi sarò lo vedremo più avanti.

Domani non vado perché voglio accarezzare il mio cane sotto il glicine.

Domani non vado perché ieri volevo, dopodomani vorrò.

Domani non vado.

E sentirò gridare le sirene delle ambulanze dal mio giardino.

Coraggio ragazzi. lasciatemi un giorno, poi torno con voi.

Bellerophontes

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Tra Me e T(h)e

Posted by Bellerophontes on giugno 26, 2012
cronache / 2 Commenti

Ci sono momenti, camminando per il girone infernale che è il “logistico” del pronto soccorso di un grande ospedale in cui, uscendo per la tua meritata e nociva sigaretta delle tre del mattino, un attimo prima dell’alba, ma ancora troppo vicino alla notte, la scienza si arrende all’umanità, alla paura di chi soffre, segretamente intersecata alla tua di fallire.

C’era V.

Siriano, lineamenti nobili, antichi, gentile nel parlare, seguito dai servizi psichiatrici.

C’erano i rossi, la battaglia da vincere in cinque minuti (se va bene), ma c’erano anche verdi, come V.

La sua bottiglietta di the era caduta nel canale e lui a ruota per recuperarla, fa caldo hai sete e l’acqua serve due volte quando cammini in un paese che non conosci, di cui non conosci la lingua, e dove molte persone avranno approfittato della tua situazione per toglierti quella già poca fiducia, incarcerati dai buoni, sfruttati dagli stronzi.

V. voleva solo la sua bottiglietta di the; quando i pompieri lo hanno estratto dal canale la brandiva come un trofeo.

ANAMNESI/EO: pz pallido, ipotermico, rispescato dopo mezz’ora dalle gloriose acque del B. Temperatura rettale 35, iperteso (ok non morirà qui) e…

ma questo non lo trovi sui libri di semeiotica, uno sguardo di chi nel dolore e nella malattia, lascia trasparire solo il bisogno di aiuto.

Si alza, barcolla e non è il Diazepam, è la vergogna. La vergogna di chi è caduto in un fiume che francamente puzza di merda. Pare un quadro, un erede di una tradizione millenaria di fughe e persecuzioni, di violenze inaudite a tre ore di comoda business class da questo ospedale.

Torno.

V. non è più sul suo lettino, è stato spostato, sapete c’è chi ha la Porsche fuori ed è piuttosto seccato perché i suoi bizzarri compagni di sala d’attesa non sono proprio il tipo di personaggi con cui si accompagna. (anche se forse alcuni li incontra ogni sera per essere più bravo, più attivo e produttivo la mattina, mah…)

Mi avvicino e vedo che ordinatamente, con garbo appoggia i suoi luridi vestiti sul termosifone -spento- nella speranza che si asciughino.

“V, ma perché li metti ad asciugare li!?”

“Non ne ho altri dottore, domani lavoro e non posso permettermi di perdere il lavoro”

“E perché perdi il lavoro V.?”

“Perché fa freddo e mi ammalo, non possiedo altri vestiti né una casa”

Io e te, V. condividiamo più del 99,5 % dei nostri geni, delle nostre vie biochimiche, della nostra fisiopatologia.

Lo condividiamo anche con il povero vecchio dall’ospizio col suo bel tappeto di batteri nelle urine, con il professore con la colica renale, con il tossico che ha bisogno di un po’ di metadone, morfina, contramal, tachidol, che comunque non gli daremo.

Ma tu non hai bisogno di questo: una coperta di lana, i vestiti in sala lavaggio e, meglio del diazepam, qualcuno che si siede al tuo letto ed è disposto ad ascoltarti, instaurare un rapporto umano semplicemente dandoti di che coprirti ed un the caldo, come solo le infermiere dolci e bellissime di certi ps sanno fare. Dormi V., io sto smontando dalla notte, un tuo ultimo sguardo, lungo, silenzioso, il tuo sorriso ha il sapore della gratitudine, il mio…beh il mio non lo so, dimmelo tu.

Bellerophontes

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Pronto…?

Posted by Bellerophontes on dicembre 05, 2011
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Quasi finita.
Esco.
Sigaretta.
Fa caldo oggi, quel caldo afoso che contrasta con il fisiologico bisogno di assumere al più presto il clinostatismo e lasciare calare l’adrenalina.
Non cala, sono le otto del mattino in questa caotica città: i bambini vanno a scuola, il bar dell’ospedale serve i pochi cornetti avanzati dall’orda dei “ragazzi del pronto” che, puntualmente alle sei mezza cercano coccole in un cappuccino forse troppo tiepido, mai così buono eppure necessario.
Occhi gonfi… ok sta scendendo, il parasimpatico riprende con prepotenza il suo ruolo evolutivo e spinge l’uomo al letto e la donna -toste le donne del pronto- a casa,dai bambini o dai mariti, che forse a volte non capiscono perché cazzo la loro compagna di vita abbia scelto quel lavoro.
Jeans, Converse rosse e maglia di qualche festival reggae di chissà dove, sigaretta in bocca e come uno zombie vengo travolto dalla miriade di impegni quotidiani altrui…
-ecchecazzo scansati,non vedi che sei in mezzo alla strada? ma sei fatto?-
-magari-
-vaffanculo-

Vai in edicola
E chiedi il tuo Corriere, non altro.
Sembri solo uno mediamente sfatto che compra un giornale, abbastanza invisibile per i più, riconoscibile appena per il fonendo che tracima dalla borsa col suo plumcake spiaccicato in fondo.
Forse solo per quello in edicola non controllano se i soldi sono buoni.
Stai pensando a cosa avresti sbagliato al posto dei tuoi strutturati e dei tuoi specializzandi, chè rappresenti il fondo della catena alimentare dell’AZIENDA-oddio-ospedaliera e sparare a te non è come sparare alla Croce Rossa, non buchi nemmeno la gomma, al limite, nell’ “area calda” rantoli nel tuo emotorace, questione di dieci minuti, del tutto fisiologica.
Quando esco conto trentadue passi.
Il parcheggio bici delle aule.
Questa sigaretta non è per me, è per festeggiare chi vedo uscire sulle proprie gambe e persino io lo immaginavo sin da subito, ma a volte non ci speravo, quelli che invece riempiranno con gioia le consegne delle cliniche d’accoglimento e quelli che vengono presi mezz’ora prima, sul retro da quell’anonimo furgone bianco senza scritte, interni in nichel, ragazzi 9,30 autopsia….
Pensavo all’inizio che ognuno di quei camioncini rappresentasse un nostro errore, il classico momento in cui ti penti di non aver scelto l’avvocatura, in cui ti chiedi se forse non era quello l’unico caso in cui andava applicato ciò che stai studiando su tomi da duemila e passa pagine, e per gli altri hai avuto solo culo.
Invece ho capito che rappresenta la vita come le auto in coda, il caffè schifoso delle macchinette alle tre del mattino, i maghrebini ammanettati alle barelle da sbirri che portano una bandiera in cui credo e che a volte -poche- meriterebbero che qualcuno gliela facesse mangiare in corsia, la gente che litiga in fila alle poste, quell’ EPA che EPA magari boh…, mah… forse proprio EPA non è fino a che il valore del D-Dimero non sembrava un jackpot dell’enalotto.
O per quel sogno, quel cucciolo con i capelli d’oro che fissi come un ebete, e raccogliere l’anamnesi, da grande onore diventa una seccatura, perché devi scrivere al computer e non puoi perderti nei suoi occhi, e tutto ciò che vorresti dirle è solo: “andrà tutto bene perché io sono qui”, anche se tutto sommato non conti un cazzo.

È particolare.
È dura, ti serve un maestro.
Io l’ho trovata…

Ho ormai fumato la mia quarta sigaretta.
Questa è per voi che entrate distesi in area rossa, col fiato che si spezza nella gola con valori tennistici al saturimetro, forse la squallida lampada al neon sopra il vostro letto sarà l’ultima immagine impressa nelle vostre rètine .
Combatteranno con il cuore di chi non può permettersi di sbagliare ed insieme a volte sbaglia di proposito, perché ricorda che non si cura un cuore malato, ma una persona malata di cuore.

La quinta mi porta a casa e mi insegna che di strada ne manca e tanta…
Darò tutto per i miei pazienti, amore fraterno a tutti coloro che mi lavoreranno a fianco, il mio rispetto e l’obbedienza al mio maestro.

Grazie Pronto,
Sto diventando grande

Bellerophontes

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