Entra in reparto un barella, accompagnata da mascherine di protezione, è la prima cosa che noto, si accende il dubbio… Sulla barella spiccano oltre la mascherina un paio di occhi, di quelli che noi occidentali non possiamo permetterci. Un insieme di ossa raggruppate da un velo di pelle, una voce flebile imbarazzata, e lo sguardo sperso, impaurito. Non parla italiano, ne’ inglese, ne’ francese, ma una lingua che viene da lontano, talmente radicata nelle sue origini che prende il nome dal proprio popolo. Il traduttore c’è e mi aiuta a capire chi mi trovo davanti, almeno in senso clinico.
È quello che viene dopo che fa la differenza.
Costretto in isolamento dentro una stanza, solo, sento per lui l’ulteriore discriminazione che si aggiunge a quella che c’è già in giro, come se non bastasse. Porta sulla pelle i segni della guerra, le cicatrici dell’imposizione di presunti valori e regole che non appartengono a nessuna morale se non quella che segue la follia umana. Nella banale intimità del corridoio mi racconta a gesti e improvvisate parole come la baionetta gli abbia trafitto il torace, il calcio del fucile ferito la fronte, le percosse e le cinghiate abbiano segnato in realtà soltanto quel velo di pelle..
La verità è che hanno compromesso definitivamente orgoglio, anima, cuore, sentimento, dignità, diritti.
La verità sono gli otto mesi di cammino a piedi dall’Afghanistan all’Italia, e i suoi compagni morti di stento, con dentro agli occhi soltanto più la speranza di quel cammino.
La verità sono i suoi fratelli minori uccisi a colpi di kalashnikov, i suoi figli e sua moglie rinchiusi in casa per non cadere sotto i cecchini.
La verità sono i valori di una religione antica, manipolati per seminare terrore tra la gente, una guerra tra i poveri.
La verità traspare da quegli occhi.
Che alla fine su quel letto d’ospedale siamo poi tutti uguali senza distinzione alcuna.
Che fermarsi ad un pregiudizio, non ne vale mai la pena. Mai.
Midiego