“centodue o centoquattro…” mi dice, così di colpo, appena mi avvicino per sistemare le barelle dell’attesa.
“centodue o centoquattro …” mi ripete indicandomi con un dito puntato.
Non capisco e li per li penso “ Ecco, la solita …”. Invece afferro il suo sguardo interessato, guarda proprio alla mia persona, a qualcosa di fisico che l’ha colpita da quando lei è qui e si può dire ormai già da qualche ora, mentre se ne sta sdraiata su una delle barelle dell’attesa.
All’improvviso capisco e rispondo “centonove, sono centonove grani”.
Per lei il rosario tibetano che porto al collo, più per vezzo che per altro, la deve aver colpita fin da subito e questo le ha dato modo di rivolgermi la parola e di catturare, lei, la mia attenzione.
Ora che la guardo meglio mi accorgo di non averla nemmeno notata nel trambusto generale che regna sempre in questo pronto soccorso e stranamente non ha colpito neanche l’altro collega che ha lavorato con lei.
Se ne sta sdraiata su una barella come una paolina borghese di periferia, in jeans e maglietta ordinari, una bella faccia in decadimento, resto di una bellezza giovanile nemmeno poi tanto lontana.
Da subito mi dice che la sua crisi d’ansia ormai sta scemando e che qui in pronto soccorso trova sempre un posto dove venire. Ci vuole solo restare qualche ora e passarci un po’ più di tempo anche se dimessa , la fa rimanere calma e così affrontare meglio le prossime giornate.
Intanto ha riconosciuto il rosario e mi dice che anche lei è molto interessata alla religione buddista perché le sembra l’unica che la lascia respirare.
Si dice proprio così “respirare quello che ad oggi le manca di più: il respiro”.
Mi racconta con parole precise di essere da un decennio fuggita da una brutta periferia romana e di essersi innamorata di una casetta con un pezzetto di terra qui in campagna.
Le è sembrato immediatamente il suo piccolo e grande paradiso e solo l’idea di essere tornata alla terra l’ha fatta prestissimo sentire di star bene.
Mi racconta che era da tempo che non riusciva a prendere una decisione, andar via dalla città, dalla vita convulsa e disordinata,dagli orari stretti, ma più di ogni altra cosa dal senso di solitudine che nonostante l’affollamento di persone non riusciva adattraversare.
Invece la “campagna”, così come lei da definisce, la ha restituita in qualche modo a se stessa e ha di nuovo poggiato i piedi per terra.
Così con entusiasmo si è caricata del solito mutuo e della fatica di lavorare duro per poterlo pagare e così starci dentro fino alla fine del mese, magari con difficoltà ma felice del suo piccolo e grande paradiso.
Tutto è filato liscio per più di dieci anni sentendosi quasi a metà del guado, finalmente felice della propria vita e della sua casetta finché, mi racconta, la perdita del lavoro.
A raffica mi dice di aver perso il lavoro e di non riuscire più a pagare il mutuo, si la cassa integrazione, si il blocco annuale del pagamento, si la ricontrattazione del debito, una infinità di problemi che la hanno condotta qui su questa scomoda ma rassicurante barella, dove qualche goccia e le nostre chiacchiere la svuotano di quel senso di perdita infinita che non riesce più a contenere.
Allora smette di respirare, magari così la invade completamente la vertigine che la divora ogni giorno, quella che la conduce a vestirsi di abiti comprati sui banchi dell’usato o a mangiare i cibi scadenti del discount.
Tutto così, tanto per stare ancora dentro la propria persona e non perdersi, mi dice, in un orizzonte che non ha più luce.
È per questo che è qui, col suo senso di panico che anche in questo tardo pomeriggio trova apertura e voglia di parole, un po’ di più dei miei centonove grani di rosario.
Labile
ha delineato bene la crisi di panico come salvezza dall’angoscia reale. ml
…”senso di perdita infinita che non riesce più a contenere”. La abbraccerei quella bella signora, la abbraccerei.