Le notti di guardia spesso sono davanti a dei libri. Sono davanti ad uno schermo di un computer. Davanti ad articoli in inglese da tradurre. Sono davanti ad una tesi a cui mancano solo i ringraziamenti.
Non so quando ho scoperto di preciso questo blog. Ne il come. Ma l’ho trovato subito vero. In tre anni di università cercano di formarti a fare le cose più disparate ma non ti educano a vivere la malattia, la sofferenza, la gioia di lavori come questi. Qui ognuno è il protagonista di una storia. Qui non ci sono gli eroi ma nemmeno gli arrendevoli. Qui ho incontrato uomini che aprono il cuore e la mente e la spalmano con una capacità professionale su quel foglio bianco di Word. Qui non esistono le frasi fatte del tipo “l’assistenza è un arte” o “il sorriso è la miglior cura”. No.
Qua si scrivono storie vissute in ospedali di tutta Italia (e non solo) e ritrascritte la mattina, di pugno, con ancora addosso l’odore di plastica mischiato a quello del caffè che piano piano sale. Ed è questo quello che queste storie mi hanno trasmesso.
Le ho lette tutte (più o meno) tra le notti passate in tirocinio e i momenti liberi e da ognuna ho imparato a coltivare le situazioni che vivevo. A non lasciarle scivolare via dalla mente come se non fossero mai esisite. Ma nemmeno a farle diventare un peso per la mia vita.
Qui ho imparato che le storie possono servire a crescere professionalmente e umanamente. Che dietro ad un camice o ad una divisa ci sono grandi poeti e scrittori. Che le emozioni è meglio imprimerle sulla carta.
Quindi tra i ringraziamenti che devo ancora terminare in questa notte di guardia e studio, ci siete tutti voi. Voi coi vostri pseudonimi più assurdi. Voi che vi calate dagli elicotteri o siete da sempre in geriatria. Voi che uscite stravolti dalla sala o che cercate di capire la cura migliore. Voi che magari incontrerò lungo il mio percorso senza sapere chi siete.
Grazie. Per ogni singola storia.
ungiovanequasiinfermiere
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