“Ehhh, certo che ai miei tempi era tutto diverso!”
Ricordo chiaramente i miei pensieri di bambina e poi adolescente nel sentire questa frase.
Non potevo credere che gli anni e il tempo potessero plasmare le persone, o meglio generazioni intere in modo così radicale.
Non mi pareva possibile che i bambini non avrebbero più avuto voglia di vedere Spiderman, I Biker Mice, gli orsetti Gummi, la Pimpa e l’Albero Azzurro.
Non mi pareva possibile che la boy band “Blue” si potesse separare un giorno e che le borchie sulla cintura passassero di moda.
Non mi sarei mai immaginata di lasciar andare i miei compagni delle elementari e di non aver più voglia di vederli tutti i giorni, così per quelli delle medie e anche per quelli del liceo.
A quattordici anni non mi sarei mai immaginata a ventun anni, a perseverare nei miei errori sentimentali, dopo una storia prematuramente seria.
Mai mi sarei immaginata sulle ambulanze, con la divisa arancione ad alta visibilità. Mi ricordo perfettamente da piccola in compagnia del nostro pasticcere di fiducia. Alla sera a volte andava nel laboratorio ma non nell’angolo con la planetaria, le fruste, gli stampi e le farine. Andava in un angolino diverso e prendeva un vestito arancione, si metteva questa grossa giacca con strisce catarifrangenti ed usciva. Una volta siamo andati a trovarlo, io e il mio papà. Mi ha detto con fare curioso:”Vuoi vedere un’ambulanza?”. Ricordo di aver annuito un po’ timida e di essere salita su questo Ducato bianco che mi sembrava gigantesco. Era giallo dentro e sapeva di disinfettante.
C’erano un sacco di oggetti strani, delle cinture, la barella col materasso e le sue cinture di sicurezza e una coperta. C’era una tavola di plastica che serviva a portare le persone e un’altra barella metallica. C’erano mascherine e scatole di guanti e cose appese alle pareti e i cassetti straripanti di oggetti.
Sono scesa aiutata dal mio papà, perché c’era un gradino troppo alto per me.
Quattordici anni dopo sfrecciavo nelle notti invernali con la zip della giacca palesemente troppo grande per me tirata su fino al naso, accompagnata da altri due figuri ugualmente abbigliati, dalla luce azzurra dei “funghi” e l’ambulanza sapeva dell’odore acre dei malati.
Ero un’aggregata, “arrivata ieri e con decorrenza domani” come ama dire il mio capo. Non sapevo nulla. Non sapevo usare un ambu, non sapevo del pehaft, non sapevo delle forbici di Robin. Una cosa la sapevo: era il 14 novembre 2009 e ero agitata perché c’erano più di trenta persone che non conoscevo ed ero appena diventata parte di quel casino.
Mi hanno fatta uscire subito. Ho girato tantissimo. Due psichiatrici, un neurologico piuttosto grave, un tossico piuttosto violento.
Nelle guardie a seguire ho imparato i nomi di tutti e di tutti gli oggetti della borsa e dell’ambulanza. Pizzetto mi ha insegnato a sbarellare con lui sopra la barella. Skywalker mi ha insegnato come si massaggia durante un servizio particolarmente intenso.
Ho lavato miliardi di volte quel pentolone gigante, quella padella per il sugo incrostata.
Mi sono sentita poco considerata mille volte. Mi sono chiesta altrettante volte il perché dell’atteggiamento dei miei superiori. Perché l’arroganza, il tirarsela, l’essere scontrosi e borbottoni.
Non ho mai fiatato. Ho sempre sopportato e ho ricoperto il mio ruolo: l’apprendista.
Ho fatto il corso faticando per il tempo da passare sui manichini, alle lezioni, a fare pratica. Ho passato gli esami in un tripudio di gloria. Era il febbraio 2011.
Nel frattempo sono entrati altri aggregati, molti dei quali estremamente curiosi, umili ed operativi. Questi sono miei cari amici, di quelli ai quali puoi insegnare e raccontare, con i quali ridi davanti a vignette e video in internet, con i quali ti senti fuori dal servizio, con i quali puoi confidarti e anche piangere.
Da marzo dico sempre più spesso “Ai miei tempi…”
Sono entrati una serie di personaggi poco umili e poco capaci. Pretendono di sapere già tutto dopo una volta. Si offrono di fare delle attività quali cucinare o lavare i piatti e poi si lamentano delle stesse attività pretendendo di non stare in sede in servizio ma di andare in postazione nonostante le loro scarse capacità (molte volte non dovute a loro stessi).
Ai miei tempi ho aspettato con ansia e agitazione l’opportunità di andare in Medicalizzata e ora che finalmente ci vado spesso, godo della fiducia che mi danno (se mi mandano in Tango vuol dire che mi reputano una persona in grado di cavarsela).
Ai miei tempi ci rimanevo male se finivo al centralino per tante volte di fila o se finivo in una postazione loffia.
Ai miei tempi stavo zitta per tutto e me la cavavo da sola e mi lamentavo tornata a casa
Adesso pretendono si scavalcare chi ha più esperienza, di andare dove vogliono loro, di non lavare mai, di non cucinare e di fare cose che non spettano ai non Militi.
Vogliono il sangue. Ma senza umanità, umiltà, pazienza e capacità di ascolto , il sangue ferisce e basta. Oppure ti passa addosso come acqua su un k-way. E perdi il senso di quello che fai e della persona che sta soffrendo dietro al sangue. Perdi il senso della parola Volontario. Diventi Sanguinario e basta.
Ed è da persone vuote.
Ho ventun anni. E in squadra c’è chi dice che io sia più umile, matura ed esperta di persone di trenta-quaranta-cinquanta che sono capricciose ed impazienti.
Ai miei tempi questo non era la norma.
Pills
Vero. io di anni ne ho 49 ma mi ci vedo a pennello nelle tue parole.
non c’è più l’umiltà di imparare e l’umanità che serve per fare questo servizio bene.
oggi tanti pensano di essere dentro un telefilm.
oggi si riprende con il cellulare l’incidente per vantarsi con gli amici.
è triste, molto triste.
sono diventato monitore per cercare di fare da filtro a queste persone ma è dura comunque…..
Ho ritrovato nelle tue parole riflessioni che ho fatto anche io svariate volte.
In particolare:”Mai mi sarei immaginata sulle ambulanze, con la divisa arancione ad alta visibilità.”.
E’ sempre un piacere passare e leggere questo blog.
Quest’anno ho “festeggiato” le mie nozze d’argento con il mondo dei soccorritori e quando mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza la prima sera del nuovo corso x la certificazione 118….. ho letto ai futuri “colleghi” la tua testimoninaza: mi ritrovo al 100%, impressioni, pensieri, emozioni uguali a ciò che, nonostante tutto,
mi fa indossare la tuta arancione con la stessa voglia di quando ho iniziato.