il cellulare

Scritta da Giro Batol su giugno 18, 2009
racconti

Radiologia, 20.15: il turno è iniziato da poco e abbiamo appena terminato la diagnostica per immagini di un giovane signore caduto dal balcone di un secondo piano. La sua vicina uscendo aveva dimenticato le chiavi dentro casa e lui aveva cercato di entrare dal balcone per aprirle la porta, ma la ringhiera aveva ceduto. Era caduto in piedi, non aveva battuto la testa, si era rotto i calcagni, un femore ed una vertebra lombare, ma senza lesioni midollari:
“Tutto sommato gli è ancora andata bene pensavo tra me e me”
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
non è il mio cellulare sarà quello di Laura, l’infermiera del Pronto Soccorso che mi accompagna, ma anche lei mi guarda con aria interrogativa.
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Il suono proviene dal fagotto posto sotto la barella dove raccogliamo generalmente quel che resta degli indumenti personali dei pazienti spesso sbrindellati nelle convulse fasi iniziali di assistenza. Mi chino, vedo il bagliore di un display con una scritta: CASA
Ho quasi una scossa al braccio proteso verso il cellulare e lo sguardo si fa vuoto…

“Tango zero da Tango 85, Tango zero da tango 85″
“Avanti per Tango zero”
“Tango 85 ha scaricato il paziente in Pronto Soccorso a Chivasso ed è di nuovo operativa”
“Mi confermi Tango 85 che siete operativi?”
“Confermo Tango Zero”
“Bene perché abbiamo un nuovo servizio per voi, si tratta di un codice Rosso Uno Sierra, ripeto Rosso Uno Sierra, sull’autostrada Torino-Milano, uscita Chivasso Ovest, direzione Torino. I testimoni parlano di due ragazzi incastrati apparentemente incoscienti, ma vivi. Orario di apertura del servizio ore 03.15″.
“Ricevuto Tango Zero, abbiamo uno stimato di arrivo sul posto di 4 primi, chiudo. Cazzo, Doc, ma quando ci sei tu non si dorme mai!”
Chi aveva tenuto la conversazione con la Centrale Operativa era Luca, 16 anni, volontario della Rossa da due; un armadio di 185 centimetri con due spalle belle larghe; era un ragazzo difficile, senza padre e con amicizie pericolose, aveva appena abbandonato la scuola e iniziato a lavorare come muratore. Preso nel modo giusto era buono come il pane, ma se gli saltava la mosca al naso, come mi raccontava orgoglioso nei pomeriggi in cui cercava disperatamente di insegnarmi a giocare a ping-pong in attesa di un servizio, era capace di scatenare risse furibonde con i malcapitati di turno.
“Dai Luca, capita con tutti…”
“Di andare alle 03.00 di notte, sotto una pioggia della Madonna, in autostrada, su un Rosso Uno Sierra, con due ragazzi incastrati? No, può capitare a tutti, ma poi capita a te porco dinci porco, e io lo so, è per quello che mi faccio mettere in turno con te”.

“Ma smettila, va; occhio che ci siamo quasi”
“Là c’è uno che segnala”, dice Grop, il nostro autista di tante missioni; 50 anni, ben piazzato, uno dei pochi in grado di tenere Luca sotto la propria ala protettrice.
La macchina, una Fiesta nera, è ferma contro il guard rail, ma si deve essere ribaltata un po’ di volte, è tutta accartocciata.
“Tango zero da Tango 85, Tango 85 sul posto” e poi ancora:
“Siamo i primi, metto l’ambulanza a protezione dell’auto, con questa pioggia non si vede niente”.
Grop sapeva il fatto suo: quando arrivi sull’incidente, recitano i manuali, valuta subito la scena, comprendi la dinamica e metti tutti in sicurezza.
Il servizio 118 era partito solo da sei mesi a Chivasso e non avevamo ancora l’infermiere a bordo per cui l’equipaggio era completato da una terza volontaria della Croce Rossa, Ingrid, studentessa in Medicina di origini francesi, brava e pacata, dai modi cortesi, ma risoluti.
“Grop, tu bada alle segnalazioni, io penso ai ragazzi con Luca ed Ingrid”.
La scena era raccapricciante scriverebbe un bravo giornalista, un miscuglio di sangue e lamiere, dolore e morte senza senso o come hanno cercato a lungo di insegnarmi “con un senso imperscrutabile”.
Veloce come un lampo, Luca, che con la freddezza di un veterano ha già esplorato le possibilità di accesso ai ragazzi feriti, estrae le Robin dallo zaino e con qualche colpo ben assestato sfonda il lunotto posteriore unica via praticabile per arrivare ai due ragazzi. Mi incuneo nell’abitacolo con due collari infilati nel braccio e l’immancabile marsupio in vita. Arrivo al quadro ancora acceso e lo spengo. Lui è con il capo riverso sul volante, immobile con lo sguardo vitreo di chi è già andato da un po’. Gli palpo il polso carotideo: assente. Lei ha il capo reclinato all’indietro sullo schienale ed un respiro russante: è viva. Le piazzo il collare, mi faccio passare da Ingrid il saturimetro portatile, la bombola di ossigeno e il kit per l’intubazione.
Nel frattempo è già arrivata la Polstrada ed arrivano anche i Vigili del Fuoco. “Doc, per tirarvi fuori dobbiamo segare il tetto, vi verranno addosso i vetri del parabrezza, usate questo lenzuolo per proteggervi”.
Ingrid si è fatta strada anche lei nell’auto per aiutarmi nel posizionare l’accesso venoso e nel tentativo di praticare l’intubazione orotracheale, che fallisce miseramente. Una decina di intubazioni in sala operatoria non bastano per preparare ad una situazione simile. Possibile che chi mi ha preparato ad affrontare queste situazioni solo con un corso di 300 ore, 150 teoriche e 150 pratiche, non se ne sia reso conto?
“Doc, stenda il lenzuolo sulla ragazza e si metta sotto, stiamo per asportare il tetto del veicolo, i vetri voleranno dappertutto”.
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti
mi guardo attorno e da sotto un sedile lampeggia il display di un cellulare,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti
la scritta è chiara: CASA, mi si stringe il cuore, ma rimango immobile.
Ingrid mi guarda e poi con i suoi soliti modi decisi:
“Che fai, non rispondi?”
“Rispondo? E poi cosa dico, scusi lei è il padre di un ragazzo di circa vent’anni, alto, magro, bruno di capelli che giace qui accanto a me morto o è invece il genitore di una ragazza esile, bionda forse di 18 anni, forse meno, in coma, che ora stiamo cercando di estricare da una Fiesta nera accartocciata?”
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti
“No, Ingrid, non guardarmi così, non saprei davvero cosa dire; al corso di 300 ore non mi hanno parlato dei cellulari, non mi hanno detto che squillano e ti cercano insistenti e impietosi anche quando uno è morto o è in coma…”

Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti,
Ti-ta-ti-ta-ti, ti-ta-ti-ta-ti
Il frastuono del gruppo elettrogeno dei pompieri ha infine il sopravvento sul cellulare e sulla mia coscienza…
“Che fai, non rispondi?”
“Sì, Laura, mi ero solo incantato un attimo, ora rispondo…” ora rispondo anche se ormai è troppo tardi!

“Ehi, voi del corso di 300 ore! non mi avevate detto che anche dopo molti anni quando leggi CASA sul display di un cellulare ti potranno tornare in mente lo sguardo vitreo di un ragazzo morto ed il respiro russante di una ragazza in coma…!”

Giro Batol

Tags:

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>