La cura dell’agonia – seconda parte

Scritta da Herbert Asch su gennaio 15, 2014
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Foto di HA

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Ma intanto la dispnea cresceva e le sistoli si affannavano a mantenere un polso pieno. Il cuore sporgva sempre più a destra dello sterno, mentre il secondo tono polmonare squillava davanti allo sbarramento polmonare. Non era il caso di diminuire il lavoro del cuore? Non era il caso di diminuire la massa del sangue nero, che precipitava d’ogni parte a sfiancare quel povero cuore destro, impotente -perché avvelenato- davanti alla chiusura di tanti capillari polmonari?

Evidentemente questo stato era, qui, transitorio.

Non si trattava di un cuore profondamente degenerato, di una cachessia, in cui anche un aiuto momentaneo non avrebbe giovato a nulla. Qua, dopo qualche ora, chissà che non fosse passato il pericolo. D’altra parte, anche altrove, nei vizi di cuore gravi, nei periodi d’asistolia, quando il cuore lotta impotente contro gli sbarramenti opposti dalle congestioni passive multiple -congestioni polmonari, encefaliche, epatiche e di tutto il distretto della porta – un’ampia deplezione del sistema venoso ha prodotto alle volte vere risurrezioni nel giro di poche ore.

Una sottrazione sanguigna sarebbe stata dannosa?

In un diabetico, anemico e attossicato, in un marasmatico da infezione cronica da tumori maligni, una sottrazione sanguigna quando il cuore cede e col rantolo tracheale si dimostra la stasi del piccolo circolo, puó essere causa pronta della morte, sottraendo ancora all’organismo l’ultimo eccitamento dell’ossigeno ematico. Ma in un cardiopatico pletorico nel fiore degli anni, con una ripienezza vasale notevole, con una turgidezza venosa, che pericolo poteva esservi a sottrarre poche centinaia di centimetri cubici di sangue?

Data l’indicazione della sottrazione sanguigna avrei potuto rivolgermi alle mignatte.

Le rigettai senz’altro: non le avevo pronte, occorreva per la loro azione un tempo relativamente lungo, inoltre la deplezione del sistema vasale avrebbe richiesto un numero notevole di mignatte. Forse queste avranno un’azione diversa dalla semplice sottrazione di sangue. Quando si dimostrassero capaci di un’azione generale diversa da quella meccanica, il fatto non sorprenderebbe più, oggidì che si sa che il succo delle loro teste gode di uno spiccato potere di impedire la coagulazione del sangue, forse utile in questo caso.

Non restava quindi, per sottrarre sangue alla massa circolante, che il salasso..

Ma prima di accingermi all’atto operativo, cedendo alla logica ed all’invito che leggevo negli occhi ansiosi del malato e dei parenti, che aspettavano da me un sollievo immediato qualsiasi, mi rivolgeva ancora qualche domanda , palpando quel polso largo ed ascoltando il sibilo inspiratorio sempre più forte ed anelante.

Potevo io essere sicuro di non eccedere? Di non abbassare troppo la pressione sanguigna sottraendo al circolo aortico una quantità di sangue troppo grande, che io non potevo misurare in alcuna maniera?

D’altra parte avrebbe il sistema nervoso sopportato il disagio di alcune scariche alvine provocate in modo così energico, o non ne sarebbe risultata piuttosto una paralisi vasomotoria e cardiaca fatale?

La dispnea cresceva di minuto in minuto. Il respiro aveva un qualcosa d’un rantolo lontano, l’ascultazione della parte anteriore del petto lasciava udire a sprazzi, ad aree mal conterminate, assieme al rumore respiratorio aspro, puerile, sibilante, degli scrosci di rantoli fini, numerosi, poco risonanti. L’aia cardiaca relativa oltrepassava quattro dita trasverse la sternale destra, le giugulari esterne erano sollevate e pulsanti d’un polso doppio, il bulbo della giugulare si sollevava turgido ad ogni sistole fra le inserzioni dello sternocleido, il polso era pieno, grosso dicroto, molle: minacciava un edema polmonare. Ad onta che il cuore mandasse larghe ondate di sangue ad ogni contrazione la tensione aortica andava diminuendo.

Mi decisi pel salasso. Incisa la mediana cefalica, estrassi trecento cc di sangue. Per qualche tempo il sollievo fu evidente, il respiro apparve più libero, più profondo, il sistema venoso meno ripieno, il polso più piccolo e più duro.

(2 – continua)

“La cura dell’agonia” di Scipione Riva Rocci è integralmente riportato nel libro “Buona Sanità – Storia di un Ospedale” di Francesco Scaroina. Pintore Ed. Torino, 2005.

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