mio

Scritta da Magamagò su Marzo 08, 2010
pensieri

Quand’è che si passa dall’altra parte? Quand’è che si attraversa la sottile linea,invisibile ma rigida,che separa il te medico comprensivo, amante del tuo lavoro, disponibile verso i pazienti,dal te non quello malato, quella è cosa semplice, chiara,facile da gestire, ma il te ” parente di malato” ?
Non te ne accorgi, non lo sai la mattina quando ti svegli, e stai già pensando a cosa ti aspetterà in reparto, fra i tuoi malati di ieri o quelli nuovi di stanotte, non lo puoi sapere; ma forse il Padreterno qualche indizio te l’aveva dato, come quando hai comprato quel libro dal titolo “A parte il cancro tutto bene”. Sì, ok, lo hai comprato perché sei da sempre autoironica, perché ti piacciono i libri “ammalloppati” come dice tuo marito, o forse perché ti sarebbe riuscito utile un giorno?
Allora, spieghiamo subito, facciamo una flow-chart della situazione, cosi diventa tutto chiaro.
Marito chirurgo, abbastanza giovane, avvisaglia banale del Padreterno (sia ringraziato), TAC, tumore al colon (lui è anche endoscopista , ironia della sorte); va bene, guardiamolo in faccia, letteralmente, insieme a tutti quelli che ci vogliono bene, e che sperano di sbagliarsi; ok di nuovo, andiamo avanti, il tempo di smaltire, lui, la sedazione, e io, la moglie anestesista, la mazzata e ho già organizzato tutto il percorso diagnostico futuro, trovando anche il tempo, en passant, di consolare figlia, amici e colleghi. Nelle flow-chart le opzioni sono sempre due, e nella vita anche: fare o non fare. Io faccio, mentre una parte di me, fuori di me, pensa e piange. Poi tutto in salita, o in discesa, insomma verso il meglio. Però da quel momento tutta la tua vita interiore è scandita da quella opzione, e vedi tutto attraverso il vetro della malattia, un po’ smerigliato, per cui le cose, le persone, le situazioni, hanno contorni ondulati, diversi da come li vedono gli altri.
Il paziente con sepsi ricoverato in Rianimazione nel postoperatorio, è in realtà una persona simile al tuo amore a cui è andata peggio, e questo ogni volta ti fa ritornare indietro a ripercorrere tutte le tappe della tua vicenda personale, e questo ti svuota, ti prosciuga e ti arricchisce, come la vasca da bagno dei problemi alle elementari, quella che si doveva riempire d’acqua ma aveva un buco nel fondo… a volte il buco è grosso, e si svuota più in fretta di quanto si riempia, a volte è quasi piena, ma sempre a rischio, e quel problema non si risolverà mai in questa vita. Gli anziani del paese dove ho lavorato all’inizio mi dicevano stupiti: ma come anche i dottori si ammalano? Ed io rispondevo: bastasse una laurea per stare bene… Invece capita, anche a noi, eccome, l’importante è avere un male adatto alla tua mentalità: un chirurgo abituato al taglio netto e risolutivo non puù avere una malattia cronicissima, andrebbe ai matti! Ma qualcuno lassù ci pensa, e non ti lascia mai solo. Il turno di notte in Rianimazione, quando finalmente verso le tre c’è un momento di tregua, e perfino i monitors sono più sommessi, e quando il relativo buio si fa più denso, ti libera anche la mente che così si ricongiunge a tutti gli spiriti che aleggiano nel reparto, spiriti di quelli che ci sono transitati e di quelli che ci arriveranno, con le loro storie che d’ora in poi saranno sempre o più simili alla mia, o più dissimili, e che tutto sommato non vorrei cambiare mai.

Magamagò

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3 commenti

  • Nemo ha detto:

    ..il confine non esiste…io ho conosciuto prima la malattia… e l’essere paziente mi ha fatto scegliere di essere medico. Nonostante la malattia continuasse a ferirmi nella sua cronicità sentivo che quella era la mia strada..anche se non avrei potuto fare tutto, alcune specializzazioni per me sarebbero state troppo dure..ma sono andata avanti. Anche oggi, anche con i pazienti anziani (sono geriatra), l’empatia è fortissima..sento sempre la loro sofferenza, non è diversa dalla mia, ci stiamo dentro a turno, in modo che l’uno possa sostenere l’altro..ed è sempre buffo, ma anche bello, poter rispondere a quelli che dicono che la pipì nella padella no, proprio non vogliono farla..” ce l’ho fatta anch’io, pensi solo a quanto le scappa,solo a quello…non importa dove, come.. e vedrà che viene giù”..come viene giù l’orgoglio, il senso di invincibilità della giovinezza..la dignità no però..perfavore aiutiamoli..aiutateci.

  • monica ha detto:

    …pensi che il confine esista..ogni volta che dici a chi hai davanti che il proprio famigliare,amico, amore non ce l’ha fatta o non ce la farà, ogni volta che dici che non hai terapie da offrire e che farai di tutto per rendere “il distacco” il meno doloroso possibile…pensi che ci sia quel confine tra te stesso, la tua vita e quel che ti può succedere e chi hai davanti, perchè non sei loro, perchè sei giovane e forse inconsciamente ti ritieni un po’ invincibile e credi che lo sia chi ami e ti sta accanto… E ogni volta che devi dare una brutta notizia ti prende quel senso di vuoto allo stomaco, di impotenza e di tristezza nel pensare quello che può provare chi hai davanti…
    Fino a quando un giorno una telefonata ti annuncia che chi ami non ce più…perchè non c’è stato proprio nulla da fare, l’incidente è stato talmente grave che la morte è avvenuta sul colpo… Allora da quel giorno capisci davvero cosa sta provando chi hai davanti e quale sarà il senso di vuoto che proverà, capisci cosa significa realmente “il distacco”…sarà diverso dal tuo, diverso perchè ognuno ha la sua storia e la sua capacità di elaborare, ma sai quanto in ogni caso che sarà difficile più di quanto pensavi fino all’attimo prima di quella telefonata… Ma sai anche che questo non può andare perso e allora ogni storia diventa un po’ la tua e serve a renderti più umana, più vicina, più comprensiva…a non dimenticare che chi hai davanti sei tu o potrai esserlo e vorresti che il medico che hai di fronte fosse con te prima umano e poi clinico…

  • chicca ha detto:

    ti ammiro mamma e ammiro tutti coloro che riescono a continuare a fare il proprio lavoro nonostante tutto..nonostante quel paziente, purtroppo, presenti la stessa malattia del proprio caro..soprattutto quando questo paziente sta peggio..soprattutto quando, cercando di salvare lui o lei, ti rendi conto che ci sarebbe potuto essere LUI o LEI al suo posto..ad affrontare interventi,chemio e false speranze…
    ammiro tutti i chirurghi che tornano al tavolo operatorio e non vedono loro stessi distesi su quel letto..ma vedono una persona che sta male con una famiglia devastata..e probabilmente si è spinti a fare del proprio meglio affinchè una moglie o un marito, un figlio o un genitore, possa nuovamente abbracciare il proprio caro con gioia perchè quel brutto incubo è finito e non perchè sia appena iniziato…ammiro veramente il vostro lavoro e il vostro amore..io, quel giorno, nonostante sia andato tutto bene, nonostante non abbia dovuto vedere una delle due persone per cui darei la vita senza riflettere un secondo intraprendere un iter devastante, sono morta dentro…e a distanza di 3 anni faccio ancora fatica a parlarne..e ogni volta che se ne parla,spero solo che la cena finisca in fretta per andare a letto, coprirmi con le coperte e piangere..

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