Ohne Wiederkehr

Scritta da Lena su gennaio 01, 2012
emozioni

“…Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.”
R. M. Rilke

Ho sempre scelto di mettermi in gioco e 3 anni fa, fresca di laurea, mi sono traferita all’estero con entusiasmo per fare la specializzazione. Perchè volevo impararlo bene questo mestiere, potendo dire, sì me la sento di prendere in affidamento la vita degi altri senza paura.

Sono stati anni durissimi: a 1500 km da casa, orari massacranti, responsabilità enormi per una specializzanda. Sono stata sbattuta nella Rianimazione di un Trauma Center dopo poche settimane di preparazione. Di sola di notte, di sola nelle sere d’estate, di sola nei week-end. Per di più responasabile dell’ Emergency Team intraospedaliero. E così al senso di novità e avventura si è sostituito quel senso di inadeguatezza e rimprovero. E se avesse avuto un’altra anestesista, più esperta, più preparata, sarebbe andata meglio?

Tutto questo stress da un lato mi logorava a poco a poco, dall’altro l’autonomia di lavoro e i progressi che facevo di giorno in giorno mi rendevano orgogliosa. Poi è bastata una piccolissima goccia per far crollare quel fragile equilibrio. Un superiore un po’ più stronzo del normale, che critica continuamente con tono aggressivo e che si lamenta che i pazienti non fanno progressi con malcelato rimprovero. Dopo aver dato anima e corpo per la Rianimazione, non ce l’ho più fatta…Non facevo che piangere, maledicendo il giorno in cui sono partita dall’Italia.

Ho avuto la forza di licenziarmi e cercarmi un nuovo posto, questa volta non così lontano dal confine, in un ospedale più piccolo, nelle mie adorate montagne. I miei colleghi si sono tutti stupiti delle dimissioni, nessuno se lo aspettava. Solo ad un professore ho detto la verità, che sto male e che sono alle stremo delle forze. Nessuno l’avrebbe mai immaginato, mi ha detto con dolcezza e dispiacere, ero considarata la più brava, quella che ha sempre la situazione sotto controllo, che ha intuito clinico e che anche nelle emergenze se la cava sempre egregiamente. Che avrei potuto chiedere aiuto, una pausa, ma per orgoglio non l’ho fatto. Ho recitato bene la mia parte fino a che ho potuto.

Mi dispiace ammettere che non ce l’ho fatta, è una resa in fondo, ma a volte bisogna scendere negli abissi dell’anima per conoscersi meglio. Perchè tutte quelle catastrofi umane con cui ogni giorno abbiamo a che fare, ci toccano più di quanto non percepiamo. Mettiamo decine di drenaggi toracici, cateteri centrali, transfondiamo litri di sangue e plasma, cardovertiamo, defribilliamo e rianimiamo mille e mille volte. Combattiamo a fianco dei nostri pazienti ogni giorno per strapparli alla morte, diciamo loro bugie per lasciargli qualche speranza, parliamo onestamente con le famiglie, le nostre parole distruggono loro la vita e spesso siamo solo tristi messaggeri. A volte li salviamo dalla morte, tuttavia non siamo in grado di regalargli la vita che avevano prima. Interrompiamo le terapie quando non ci sono più speranze, concediamo una dolce morte, decretiamo la morte cerebrale, ci sostituiamo a Dio.

Quegli sguardi persi nel vuoto, quei boccheggi, quella vita parallela che si svolge nelle Rianimazioni ci forgia e ci ferisce al contempo. E una volta che si è entrati così addentro nella vita e nei suoi risvolti, si è a un punto di non ritorno, la leggerezza se ne è andata per sempre anche per noi.

Lena

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3 commenti

  • Morris scrive:

    Il titolo si riferisce per caso a “Fluß ohne Wiederkehr”, cioè “Il fiume del non ritorno”? Beh, lì c’era Marylin, ti sei presa una pietra di paragone mica da ridere. E ad occhio, sulla carta geografica i 1500 Km di cui parli corrispondono a Bolzano-Stoccolma. Comunque, divagazioni cinefilo-geografiche a parte, penso che anche la cosa che può aiutarti a stare meglio è capire, come prima o poi ci capita quasi a tutti, è capire che quello che facciamo è solo un mestiere. Ti può capitare in certi momenti che ti dia più o meno soddisfazione, che la gente capisca il tuo sforzo e ti sia grata oppure no, ma non è nè deve essere la tua vita. La vita è anche e soprattutto fuori dall’ ospedale, e il tuo mestiere, se lo fai bene, lo puoi fare con soddisfazione a Stoccolma, a New York o a Bressanone (ops, Brixen)senza che faccia una gran differenza.
    Un saluto e un augurio da un modesto internista di (quasi) campagna.

  • Woland scrive:

    “quella vita parallela che si svolge nelle Rianimazioni ci forgia e ci ferisce al contempo. E una volta che si è entrati così addentro nella vita e nei suoi risvolti, si è a un punto di non ritorno, la leggerezza se ne è andata per sempre anche per noi”.
    Pur concordando con Morris che la perdita di leggerezza di cui tu parli non deve riguardare la totalità della nostra vita (che deve essere anche e soprattutto fuori dalla rianimazione), trovo che le tue parole conclusive siano tra le più belle che siano state scritte su questo blog per descrivere il nostro lavoro.

  • elisabetta scrive:

    è vero, le parole conclusive sono molto belle, e vere. Mi ci riconosco in pieno anche se non sono un medico ma una paziente.
    Una ragazza in procinto di affrontare il suo terzo intervento, e che nel frattemposi sta sottoponendo ad un nuovo trattamento chemio.
    A volte sento anch’io di aver perduto definitivamente la leggerezza che avevo un tempo, e certamente ho varcato un punto di non ritorno; penso alla me stessa di un paio di anni fa come se semplicemente fosse un’altra persona.
    Però voglio vedere il lato positivo delle cose, e penso che il fatto di aver guardato dritto in faccia certe ‘cose’ mi abbia reso più forte e più consapevole, regalandomi una marcia in più e una capacità di vedere ‘oltre’ che la maggior parte delle persone non ha.

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