Passi perduti

Scritta da Giramondo su settembre 01, 2012
pensieri
foto di DB

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L’arredamento e’ piuttosto spartano: uno o due tavolini, alcune sedie, il computer o il registro per scrivere gli interventi.

In ogni blocco operatorio c’e’ sempre un corridoio; in genere unisce i lavandini, dove strumentisti e chirurghi si lavano le mani prima degli interventi, con la camera operatoria vera e propria.

E poi piastrelle sul pavimento e le immancabili lampade al neon con la loro luce pallida e gelida.

Rumori di monitor e di strumenti chirurgici.

Anche in questo ospedale c’e’ un corridoio che unisce le sale operatorie.

L’ospedale dove lavoro in questi mesi si trova piantato in un paese nel mezzo dell’Asia, in una Nazione dove e’ stata esportata “la democrazia” senza che nessuno lo richiedesse e con un risultato penoso ( letteralmente, penoso…).

In questo corridoio si mischiano i passi di anestesisti e chirurghi provenienti da diverse parti del mondo con i passi degli infermieri locali.

Non sempre questi passi hanno una meta.

I passi dei chirurghi, per esempio ( ed io sono uno di quelli ).

Li vedi che camminano avanti e indietro, tra un intervento e l’altro, mani dietro la schiena.

Sguardo a volte assente, a volte attento a cogliere eventuali segnali anomali provenienti dalle sale operatorie.

Avanti e indietro, per sciogliere un po’ le gambe e la tensione dalle ore spese fermi in piedi al tavolo operatorio.

Passi senza meta, passi perduti.

Passi per pensare.

Pensare al Paziente che ho appena operato per una ferita da arma da fuoco toraco-addominale: ho fatto tutto secondo i sacri testi di chirurgia; adesso pero’ serve soprattutto un aiuto di Dio, che qui viene chiamato con un altro nome.

E in questo ospedale, a diecimila chilometri da dove sono nato e cresciuto, questi passi servono anche per pensare a casa.

Pensare ai miei Genitori che invece di avere il conforto di un figlio vicino hanno lo sconforto di avere una persona lontana che lavora in una zona non certo tranquilla.

Pensare a mio fratello ed alla sua stupenda famiglia con due bambini.

Pensare ai miei amici, da quanti anni li conosco ( alcuni da tutta la vita ), e a come mi piacerebbe prendere con loro una birra stasera, seduti ad uno dei tavolini all’aperto di uno dei locali della nostra citta’.

Pensare a lei, che vedo al monitor del computer alla sera ( se c’e’ elettricita’, e fuso orario permettendo ). Lei che vorrei avere vicino per parlare e condividere le gioie e gli sconforti di questo lavoro. Lei che ha capelli ed occhi nerissimi, pelle liscia e mulatta.

Lei che e’ piccola di statura ma e’ una grande donna.

Lei che mi capisce perche’ lavora in un reparto di terapia intensiva.

Ma il suo reparto, e la sua vita, sono in Italia…

” Doctor come please, next Patient is ready in room 2 “

” I’m coming…”

Mi dirigo verso i lavandini per il “rito” del lavaggio delle mani.

I miei gesti ed i miei pensieri adesso sono solo per lo sfortunato disteso sul lettino operatorio.

I miei passi si dirigono verso la sala operatoria numero 2.

Giramondo

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