Pezhman, suonatore di Tar

Scritta da Labile su agosto 06, 2014
ritratti

tar azerbaijan“ Se mi avessero calpestato come attraversando un campo di rose avrei parlato  con le parole profumate della poesia.

Se avessero accarezzato il mio corpo con una piuma avrei raccontato delle carezze dell’amore in una notte d’estate.

Se  avessero chiesto il conto del mio sguardo lo avrei risolto semplicemente con l’attesa, quella parola con cui gli altri mi chiamano libero e che io chiamo unicamente vivere.

Vivere,vivere, vivere senza l’infelicità di un  domani che significa morire .”

….. Appena apre gli occhi, mi vede nella penombra di una sala rossa illuminata dalla sola luce  del monitor.

Il verde smeraldo della traccia cardiaca, il tenue azzurro della traccia capnografica, il giallo siena della frequenza respiratoria.

Il bianco, il bianco, un bianco onirico che gli restituisce la mia faccia sovrapponendola a quella di un suo passato aguzzino.

“Hanno torturato il mio corpo come quello di un santo, trafitto, bastonato, saccheggiato di umori e di lamenti alla ricerca di una parola delatoria che non saprà mai raccontare l’ angoscia della mia gente.”

Stringe al petto una strana custodia nera, rigida , di pelle come quella di un violino smagrito e allungato nelle forme.

La stringe con dita lunghe e sottili, deformate leggermente a martelletto sulle punte come un suonatore a lungo invecchiato sulle corde.

Il viso ancora giovanile sprofondato in uno sguardo precocemente invecchiato, barba cresciuta nella notte e capelli arruffati in un biancore spaventato.

Fuggito da un paese infiammato  dalla guerra, attraversato da  confini mai ben  compresi per approdare in una terra amata già da lontano.

“Il verde smeraldo delle mie colline, l’azzurro tenue del cielo e il richiamo giallo dei fiori a primavera ….”

Vivere, vivere e ancora vivere della propria musica, mai soddisfatto del dolore e di un  corpo che restituisce la memoria.

Memoria  del corpo torturato, del  corpo martirizzato, del  corpo violato.

È così che stringe la custodia del suo Tar al petto, per ricordare che è lì che il suo cuore approda e trova rifugio, calcando la nostalgia come l’unica malattia che non potrà mai ammazzare.

“Non legare il cuore a nessuna dimora, perché soffrirai quando te la strapperanno via.” 

Rumi  (Jalāl ad-Dīn Muhammad Balkhī  1207-1273  poeta mistico persiano)

Labile

Tags: , ,

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>