Sono le ventuno, avevo avvisato che sarei arrivata un po’ più tardi, tutina blu elettrico , zoccoletti azzurri e camice bianco , tutto stirato alla perfezione e tutto col profumo che solo le mamme sanno dare al bucato, eppure anche io uso gli stessi detersivi, ah si… ma questa è un’altra storia.
Metto sul taschino tre penne, tutte griffate con il nome dei farmaci, con i colleghi facciamo a gara a chi riesce ad averne di più, metto in tasca una calcolatrice, un prontuario un blocchetto per gli appunti e il fonendoscopio al collo, Littman naturamente, però in effetti messo così attorno al collo sa tanto di E.R. o di Grey’s Anatomy, magari poi sembro ridicola e un po’ convinta, ma si dai, mettiamolo in tasca, anche se poi mi si impiglierà ovunque, ora attacco il cartellino che dice “Dottoressa… medico tirocinante”.
Io medico?? Stamattina mi hanno chiamato e mi hanno confermato l’iscrizione all’ordine, mamma mia, ma se fino a qualche mese fa mi disperavo per l’esame di neurologia!
Mah che dire, ecco, sta pure arrivando un’ambulanza, va bene, la vestizione è finita, leghiamo i capelli e andiamo: ora non ho più scuse e poi ho sempre sognato di essere qui.
Arrivo al piano superiore di fronte alla saletta delle emergenze, ecco la mia tutor, non si è accorta che sono arrivata, tutti si affannano attorno al paziente, il medico del 118 che parla di infarto e tutti che si adoperano, aghi, aghetti, monitor, ossigeno, provette, mi infilo nella stanza e mi metto in un angolino da cui posso vedere tutto senza essere d’intralcio, ognuno fa qualcosa, l’uno perfettamente coordinato all’altro, come una danza provata mille volte, quasi a ritmo di musica, io mi stringo nel camice che sa di ammorbidente impaurita, quasi a trovare coraggio nel profumo che solo i panni lavati dalla mamma hanno. Sollevo lo sguardo sono passati già 15 minuti, che strano, ma siamo sicuri? Magari l’orologio corre troppo in fretta. Ora il paziente è stabile, l’infermiera avvisa i cardiologi, adesso bisogna portarlo al quarto piano. Ecco la tutor si è accorta di me, mi sorride e mi chiede se sto bene ” Sì sì – dico io – sono sempre cosi pallida”.
Non le dico che il cuore sta per saltarmi via dal petto, mi sorride ancora e mi dice: “Vieni lo portiamo su in cardiologia, prendi lo zainetto di emergenza e chiama l’ascensore. Sei pronta per la tua prima notte dottoressa ? ”
aspirante anestesista
Grazie per questo tuo racconto. Grazie per l’entusiasmo che sei riuscita a trasmettere. L’emozione che ti arriva dalle cose nuove andrebbe sempre conservata e tirata fuori tutte le volte che la routine o la stanchezza ti fanno passare la voglia.
Tutti i camici, anche quelli dei più vecchi e dei più duri, sanno un po’ di ammorbidente, in fondo.
Le sensazioni di cui parli penso che le abbiamo vissute tutti al nostro inizio….in fondo abbiamo dedicato una vita intera per arrivare a provare l’emozione e l’entusiasmo di questa prima notte.Comunque, anche dopo diversi anni come medico in pronto soccorso, mettersi il camice e partire ogni volta per l’ennesima notte da solo contro tutto non mi lascia ancora del tutto indifferente e questa passione che abbiamo ritengo che sia in fondo l’unico motivo valido per continuare a fare uno dei lavori piu’coinvolgenti ma anche piu’stressante che esista.
Grazie per le vostre parole,spero di riuscire sempre a mantenere l’entusiasmo con cui mi sto affacciando a questo mestiere.