118

Ultima notte di guardia

Posted by supergiovan8 on maggio 21, 2015
emozioni / 1 Commento
Foto di PB

Foto di PB

 

Ultima notte di vita di una centrale operativa

Qui dentro sono state combattute e coordinate tante battaglie, dalle più banali alle più difficili.
Ogni operatore ci ha messo la testa, il cuore e anche la schiena per portare a termine ogni missione con professionalità, avendo sempre come obiettivo il bene per l’utenza.
Ogni tanto sarà sembrato di aver perso ma una missione andata bene cancella la tristezza di 100 negative (forse non sempre…)!
Tante persone hanno affidato completamente la loro vita, quella di un caro o di un perfetto sconosciuto a “ignoti” che dietro a un telefono avevano il potere, e l’onore, di provare a portare la vita a chi, in quel momento, ne aveva bisogno, infondendo speranza e istruendo persone digiune di qualsiasi nozione clinica a valutare il paziente per fargli poi eseguire manovre salvavita, spesso non procrastinabili.
Questi “ignoti”, poi, come per magia si materializzavano in pochi minuti e prendevano in mano le redini del soccorso, infondendo ora qualcosa di più concreto per poi scappare in tutta fretta, come se si trattasse di un rapimento.
Questi “ignoti”, ora, arriveranno ancora in tempi supersonici a soccorrerci però non risponderanno più loro al telefono, il che non è poco!
I nostri ignoti, che hanno fatto la storia del 118, non solo provinciale, veglieranno comunque sempre su di noi, nei giorni più caldi e nelle notti più lunghe.
Grazie di tutto!

supergiovan8

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vuoto a rendere

Posted by Rantolo on ottobre 04, 2009
pensieri / 6 Commenti

Di nuovo in pronto soccorso, ma stanotte non ho voglia. Capita sempre più spesso. Succede quando la vita non ti regala più soddisfazioni, nessuna novità e pochi barlumi di felicità ingannevoli. Con i pensieri immobili, ti chiedi se il tempo stia andando avanti o stia finendo. Guardo il telefono del 118, annunciatore di fatica, sperando che non squilli perché stanotte non sono in grado di essere un professionista, non sono e basta. Ho solo desiderio di tornare a casa e addormentarmi per avere l’illusione di non esserci. Tutta la città sembra volermi accontentare, addirittura capirmi; ormai sono le 4 di un giovedì qualsiasi, poche ore e potrò prendere congedo dal mondo esterno.

Non squillare, non squillare, e se squillerai risponderò, ma non perché credo in quello che faccio, non perché c’è bisogno di salvare un’altra inutile vita. Ma perché devo.

Il mutismo, fortuna mia, continua implacabile. Gli occhi cedono, la testa pesa. Un ultimo sguardo al box d’accettazione però tradisce la mai quasi assenza. Un cono di luce proveniente dalla scialitica illumina tanto il box quanto i miei ricordi. Sangue, guanti, drenaggi, cateteri, siringhe, camici, tutto nel silenzio più assordante. Sento il cuore accelerare, lo sento nel collo, sudo, ho freddo. Voglio sparire.

Mi alzo ed esco di corsa, prendo una sigaretta e la guardo arrossire mentre l’aspiro, apprezzando come un regalo di Natale il crepitio che emette consumandosi. Ho avuto paura, ma è passata, mi ha solamente voluto accarezzare per non farsi dimenticare.

E’ ora di andare a casa; la notte, beata lei, è già andata a riposare. Passo attraverso i colleghi come un fantasma, con qualcuno parlo, forse rido e scherzo, ma non me lo ricordo. La porta del pronto delinea a meraviglia i miei due mondi, troppo simili tra loro. Esco, sono distrutto come quando sono entrato.
Ora puoi squillare.

Rantolo

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