anestesista

No woman, no cry

Posted by Storyteller on luglio 24, 2017
cronache / Nessun commento
Foto  di  EP

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“Vi supplico di essere indignati”
(Martin Luther King)

Immagino che molti lettori di questo blog abbiano letto di un fatto accaduto all’Ospedale San Paolo di Savona, dove a causa di un devastante sommarsi di pregiudizi, disinformazione e forse addirittura di pettegolezzi di quartiere un paziente ha rinunciato a sottoporsi ad un intervento chirurgico soltanto perché l’anestesista era una donna.
In omaggio alla tradizione del giornalismo anglosassone che vuole l’esposizione dei fatti separata dal commento, in questo link si trova una esauriente cronaca dell’accaduto.
http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_20/rifiuta-anestesista-donna-savona-7096301e-6cc3-11e7-adf5-09dddc53fe2d.shtml
Come colleghi penso che ci interessi prima di tutto la posizione del primario e della “anestesista donna” che hanno saputo tenere il punto di fronte ad una situazione non imprevedibile (vista la realtà in cui viviamo) ma sicuramente destabilizzante se non altro per la virulenza della coppia paziente – moglie del paziente.
Dunque un piccolo elogio al primario che ha detto in sostanza “queste sono le assegnazioni alle sale operatorie e basta” essendo perfino superfluo precisare che queste sono fatte secondo criteri di competenza. Perché piccolo elogio? Perché non avrebbe potuto tenere una posizione diversa senza doversi poi vergognare di guardare negli occhi i suoi collaboratori e senza creare un precedente dalle conseguenze insostenibili e dai risvolti assurdi ( anestesista maschio e chirurgo donna vanno bene? , e così via), Dunque il vero merito del primario sta nel non avere preso tempo e non avere cercato mediazioni.
Un grandissimo elogio, invece alla “anestesista donna”. Brava, collega. Tu possiedi sicuramente la consapevolezza del tuo ruolo, nonché del ruolo del medico in un ospedale pubblico, hai sicuramente la preparazione e la cultura che ti avrebbero consentito di discutere aspramente con questi soggetti con argomenti che ( per noi) sarebbero stati convincenti, ma stando alle cronache ti sei limitata all’essenziale (questa non è una clinica privata…), hai mantenuto il controllo, non hai minacciato querele (in Italia chi minaccia querele ha quasi sempre torto).
Come cittadini penso che ci si debba domandare se questi non siano i risultati di una bassa scolarità, di trenta o quarant’anni di “repubblica televisiva”, di un familismo arcaico in cui quello che diceva il nonno vale più di ciò che si impara a scuola. Tragica conseguenza di tutto ciò è il disconoscimento delle capacità e delle competenze professionali da parte non solo di molti nostri concittadini ma anche di vari organi di informazione. Se per trent’anni aveste avuto informazioni soltanto da “Striscia la notizia” vi porreste allo stesso modo di fronte a certe notizie?
Esiste una musica che parla dei diritti delle donne? Non ci crederete, ma esiste: è l’opera “ Al gran sole carico d’amore” di Luigi Nono in cui alla musica (voci, orchestra e nastro magnetico) sono intercalate registrazioni di cortei di protesta (1975: femminismo ruggente). Il gran sole carico d’amore è un verso del poeta francese Rimbaud, dedicato alle donne che si batterono per la Comune di Parigi.

Buone anestesie e buona musica da Storyteller

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La regola delle tre P

Posted by Zoro on dicembre 19, 2016
ritratti / 1 Commento

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“Una cosa che probabilmente la mattina non farete mai è guardarvi allo specchio e chiedervi: sono uno stronzo? (…) Probabilmente nel mondo ci sono dei veri idioti e di sicuro molti di loro hanno una buona opinione di sé. Non si considerano delle carogne, perché il prendere coscienza della propria stronzaggine è abbastanza difficile.”

Eric Schwitzgebel, dall’articolo ”How to tell if you’re a yerk” Nautilus, 15/9/2016

 

 

Prepotente, Presuntuoso, Paraculo.

Quali migliori caratteristiche per uno che ti lavora a fianco?

Hai sempre sperato di avere accanto una persona (un artista!) che sa di lavorare cosi bene che trova il modo di criticare tutto e tutti, dove, ovviamente, lui, invece, ha sempre la soluzione pronta, il protocollo adatto, la posologia giusta.

E sempre corroborata da una solida biografia, sempre millantata ma mai esibita, spesso controcorrente, a volte inventata di sana pianta, soprattutto quando, palesemente, non esiste. Solo lui, genio incompreso, lavora correttamente, sottolineando puntualmente le tue imprecisioni o presunte mancanze, anzi, puoi essere sicuro che le ha già fotocopiate e documentate e messe da parte nel caso in cui mai avessi per pura invidia, da mettere in dubbio il suo corretto operato.

Di ogni argomento ha la soluzione giusta, ogni diatriba è buona per sparare pareri che nessuno richiede.

Di collaborare poi non se ne parla. Al suo pari non ce n’è, e soprattutto non si fida. Nemmeno c’è nessuno che si voglia prendere l’improbo fardello.

Da buon paranoico ipotizza le complicanze più strampalate: ogni intubazione e difficile, ogni decimo di potassio di deficit prolunga l’inizio dell’induzione, posticipato a situazione riequilibrata, la pre-ossigenazione è un rito iniziatico, cosi come l’incannulamento venoso, precario se fatto da altri e quindi da sostituirsi di default.

L’anestesia è sicura solo se si dispone di tutti i monitoraggi possibili, e quindi non è infrequente una preparazione completa di arteria, vena centrale, intubazione, magari da sveglio e con il fibroscopio… e poco importa se l’intervento è un raschiamento, un tunnel carpale o una cataratta.

Tra induzione e risveglio le sue anestesie durano mediamente un’ora in più, col paziente trattenuto in osservazione per ore, finche non arrivi cambio di turno a graziarlo.

Il suo nemico giurato è il chirurgo, bramoso solo di menare le mani e metterle nella pancia/utero/bocca/schiena (dipende dalla specialità) del malcapitato paziente, di cui il cerusico ignora la vera condizione cinica e che toccherà all’anestesista difendere e tutelare.

La sua è una crociata, una lotta all’ultimo sangue per sottrarre il  paziente alle grinfie dell’orco chirurgo…

Quando poi l’ignaro paziente si lasci scappare in anamnesi il dolorino toracico non indagato, la sincope di ndd, ci penserà lui a infilarlo in un tunnel diagnostico infinito, da cui difficilmente riuscirà indenne, perchè qualcosa che non va si trova sempre.

L’unica cosa che manca, che proprio non si trova da nessun parte è il buonsenso. Di quello proprio non ce n’è…

Zoro

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Didattica, cura e sogni

Posted by Pills on agosto 28, 2014
emozioni / 2 Commenti
foto di NC

foto di NC

 

Non ci sono sogni più strani di quelli fatti nelle notti delle settimane di tirocinio.
Sono popolati di camici spiegazzati, emergenze improbabili e scambi di ruolo tra studente e paziente.
Ci si sveglia sudati, frementi e con i muscoli strizzati dal “girarrosto” notturno.
– Saprò abbastanza? Mi chiederanno tanto? Mi cazzieranno? Qualcuno abbia pietà di me! –
Le domande si affollano mentre un camice inamidato si appoggia sul corpo come una palandrana da apprendista stregone.
-Ecco…Mi faranno portare secchi d’acqua come le scope magiche della Disney? –
Fonendo, fazzoletti per esplosioni allergiche, liquirizia per cali pressori e afrori (in)umani, telefono silenzioso e cartellino segnaletico.
– E se mi perdessi e non trovassi il reparto? Se al primo errore mi cacciassero? Potrò sedermi e andare in bagno? –

La porta e davanti al mio naso mezzo ignorante di studente. Busso ed entro.
Nessuno tranne i miei sconosciuti compagni di tirocinio che non salutano e osservano con occhi prematuramente giudici.
Per fortuna poco dopo di me entra la mia CompagnaAmica. Una ventata di aria fresca.
– E’ troppo presto o troppo tardi?   –
Mentre te lo domandi compaiono figuri in camice.
Presentazioni d’obbligo, controllo della presenza e scartabellamento di cartelle.
– Sei già stata in una chirurgia? –
Sì.
– Oh bene, allora oggi c’è sala. Vai di sotto ed entra e cerca il primario. Magari ti fa anche lavare se ha bisogno di una mano in più –
Orpo!
Corro con la mente ma cammino spedita coi piedi.
Arrivata prendo la divisa, mi spoglio del mio essere individuo riconoscibile ed entro nell’anonimato che tanto mi piace. Solo gli occhiali tradiscono un lato di me.
Mi infagotto con cuffietta e mascherina e divento temporaneamente una delle tante anime che vivono di neon, aria condizionata e zoccoli autoclavabili.
CompagnaAmica è con me e gode anche lei dell’essere diventata fantasma.
Segnaliamo la nostra presenza senza scoprire il volto. Si dovranno fidare delle nostre mani e del nostro sguardo.
Trovata la sala entriamo come si entra in qualità di ospiti in un salotto di una casa sconosciuta.
– Permesso? –
Formichine viaggiano attorno all’Ospite d’Onore (per comodità Doppia O). Toccano, pungono, agganciano a flebo, girano, si intrufolano, palpano, accarezzano, montano aggeggi vagamente inquietanti.
Doppia O si addormenta dopo aver detto : “Fate i bravi”.
I Chirurghi arrivano, si vestono come da rituale. Per la vestizione devi farti allacciare il dietro del camice da qualcun altro, come la mamma che ti tira su la zip del vestito elegante.
La sala trasuda intimità e distacco contemporaneamente.
Un po’ di musica e si incide.
A metà del primo taglio vengo invitata a lavarmi (l’ho già fatto in precedenza).
Tachicardia. – Posso toccare. Posso imparare! –
Chiedo aiuto ad InfermieraSorriso. Mi fa un refresh sul lavaggio. Insultiamo il lavandino poco pratico.
Mani a preghiera e mi vestono.
Porto un 6 e mezzo. Me l’ero dimenticata.
Mi accomodo e vengo investita dal fumo dell’elettrobisturi… e nel giro di un attimo gli operatori conoscono il mio nome e vengo risucchiata nel vortice del campo operatorio.
Siamo sincronizzati e anche se devo solo tenere delle spatole e altri aggeggi ne approfitto per aiutare la strumentista a tenere ordinato il campo.
Scopro consistenze strane d’organi e di vasi. Me le imprimo a fuoco nella testa per quando ri-studierò quegli apparati.
Tengo, taglio, osservo e mi ipnotizzo.

No. Non farò il chirurgo. Non ho la resistenza di fisico ed animo necessaria.
Adoro parlare con le persone. Mi mancherebbe troppo quella parte.
Magari finirò dietro la vela, diventerò quella che sta seduta e fissa il monitor e conta i complessi dell’ECG.
Così assaporerò l’intimità della sala e la sete di curiosità dell’osservatore.
In più con calma e decisione tornerò a parlare con le persone dopo un sonno popolato da chissà quali sogni e demoni.

Chissà poi quali saranno i miei sogni tormentati.
Magari saranno li stessi dei miei pazienti e lì nelle nostre paure ci terremo per mano.
Io che rassicurerò loro sulla procedura e loro che rassicureranno me con il loro essere svegli.
– Che qualcuno abbia cura di noi tutti… –

Pills

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Condicio sine qua non

Posted by diprivan on ottobre 24, 2013
pensieri / 8 Commenti

Foto di HA

Foto di HA

Ok…stasera parlo solo di loro. Siamo in tanti, ma stasera ho voglia di parlare solo di loro. Sono la categoria più importante. Voglio dire siamo tutti importanti…ma loro…loro sono davvero speciali. Senza di loro non funzionerebbe nulla e se non ci fossero loro non ci saremmo neanche noi. Sono il nostro biglietto da visita. Sono il tramite, con loro possiamo avvicinarci al dolore…sono loro che toccano, infondono, aspirano, parlano,  lavano, pungono, esplorano l’inesplorabile.

Ogni volta lo ripeto: se fossi stata brava avrei fatto l’infermiera.

Ricordo ancora la prima notte di guardia in rianimazione nelle vesti di specializzanda alle prime armi.

Arrivai con molto anticipo…sufficiente a trovare ancora il turno del giorno. Una di loro, appena varcai la soglia sul retro della terapia intensiva, mi picchiò in mano 5 sacchetti molli di color rosso rubino e urlò “Controlla questo!” Non sapevo neanche di cosa stesse parlando…l’unica cosa che capii era che in mano avevo circa 3litri di sangue e che dovevo fare qualcosa che c’entrava con corrispondenze di numeri e lettere. In quel momento la odiai. Pensai che gli infermieri sono davvero brutte persone e che possono renderti la vita un inferno.

Con gli anni ebbi una smentita ed una conferma: non sono brutte persone ma possono renderti la vita un inferno. Eppure non lo fanno…non tutti almeno.

Subito dopo aver controllato il sangue, il monitor di un letto cominciò a suonare e una donna di 50anni,un po’ in sovrappeso, aveva deciso di morire di embolia polmonare massiva proprio quella notte. Mi ritrovai a guardare negli occhi l’infermiere che massaggiava la donnona e che con un sorriso mi disse “la tua prima notte?…che cu** che hai!”

Pensai che forse non erano tutti stronzi gli infermieri.

Un pomeriggio di qualche mese dopo, con umiltà e senza vergogna, chiesi ad un’infermiera di insegnarmi a fare iniezioni intramuscolo…volevo che i pazienti non sentissero dolore mentre pungevo, anche se raramente i malati della terapia intensiva sentono dolore…appoggiò un cuscino sul davanzale della finestra e prese una siringa e con estrema delicatezza mi chiese di pungere quelle piume e di farlo e rifarlo ancora. La ringrazio ancora.

Pensai che non erano tutti stronzi gli infermieri.

Qualche anno dopo mi ritrovai vestita di arancione in un campo di grano appena tagliato…a pochi metri c’era una macchina ribaltata e al mio fianco una sfortunata signora che credo stesse andando a fare la spesa. Questa volta era un tubo quello che dovevo infilare e il ricordo dell’intramuscolo era poco utile. Presi il laringo in una mano e il tubo nell’altra. La sua voce era ferma: “Stai tranquilla… va tutto bene… ci sono qua io… ora prendi la lama… ecco brava… così…”. Lo ringrazio ancora.

Pensai che gli infermieri non erano stronzi.

Col tempo continuai a parlare con loro e a volte mi sembrava di non capire nulla della loro professione, non capivo quale fosse il limite… dove arrivavo io e dove loro, un limite doveva esserci… ma quale?

Una notte di guardia in centrale provai anche a chiederlo ma fu difficile comprendere la risposta… o almeno non la capii del tutto ma sapevo che avevo accanto tre persone speciali sedute su comode (?) poltrone, pronte a lavorare al mio fianco per un unico scopo e ne ero orgogliosa…ed ogni notte…ed ogni giorno le poltrone rimanevano lì e le facce cambiavano ma la sensazione era la stessa.

Pensai che gli infemieri sono buone persone.

E così arriviamo a qualche giorno fa e mi ritrovo a fare la mia prima guardia in pronto soccorso da sola ma soprattutto con un reperibile lontano… urgenza vascolare… il mio reperibile al telefono che detta ogni singola cosa con precisione… le sacche di sangue… questa volta sono 10 e so controllarle e tutto è difficile e tutto dev’essere veloce e preciso… e come per magia compaiono tre angeli vestiti da infermieri e mi accorgo che ogni mio ordine viene eseguito un istante prima che esca dalla mia bocca.

Ho pensato che gli infermieri sono una meraviglia.

Alcuni li ho odiati. La maggior parte di loro li ho amati. Alcuni li amo ancora.

Riesco a bermi una birra solo con loro. Ed ogni volta mi chiedo perché.

I più bei ricordi con loro? Le risate così forti da coprire le sirene.

I ricordi che non mi lasceranno mai? Le risate che coprono i silenzi, quando le sirene non suonano più.

diprivan

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Se rinasco un’altra volta faccio il rianimatore

Posted by diprivan on ottobre 14, 2013
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foto di EP

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Il mio lavoro è il lavoro più bello del mondo.

No. Non è vero.

Il lavoro più bello del mondo è quello che ti fa vivere sereno facendo la cosa che più ti piace e facendoti pagare per farla e lasciandoti tanto libero per fare ciò che ti piace in egual modo.

Forse sì. Il mio lavoro è il lavoro più bello del mondo…se non fosse per quel piccolo dettaglio del farti vivere sereno.

Ci lamentiamo sempre di essere sottopagati…di meritare più di quanto spendiamo in energie mentali e fisiche e in responsabilità.

Ormai non faccio più il rianimatore “da strada” e mi manca l’ossigeno. Mi manca non potermi sporcare le mani. Mi manca il suono delle sirene. Mi manca non poter più condividere con chi sale con me in macchina di essere lì sul posto e di sentire che puoi fare la differenza. Quando sei per strada ci sei tu…e solo tu…e se non fai tu devi fare per forza tu.

Ormai faccio il rianimatore “di centrale” e sto risparmiando un sacco di soldi in benzina che investo puntualmente in pantoprazolo. Devi fare la magia e trasformare il tuo orecchio in un occhio e guardare attraverso la cuffia del telefono cercando, per quanto possibile, di non litigare, di fidarti, di organizzare, di far finta di essere lì anche tu e l’unica cosa che pensi è che vorresti con tutto il cuore sporcarti le mani.

Ormai faccio il rianimatore che porta notizie dal “fronte” pronto soccorso e quando sei lì ci sei tu, il collega più esperto (Dio sia lodato sempre sia lodato), il consulente, l’altro consulente, il tecnico, lo specializzando, l’internista, il medico accettante, ….vado avanti?

Ho capito perché lo faccio…non è vero che siamo sottopagati…sono tutte fregnacce…non c’è prezzo per un lavoro così.

L’unico motivo che mi spinge a farlo è perché lo amo alla follia. Non potrebbe essere altrimenti.

diprivan

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