Margherita è una signora di…novantanove anni e mezzo! Ripeto: novantanove anni e mezzo. Vedova, vive sola, in campagna, nei dintorni di una grande città. Spesso, la figlia, ultrasettantenne, le fa visita e le reca aiuto…nell’orto, di cui Margherita si prende amorevole cura; non nelle faccende strettamente domestiche, perché, per quelle, la mamma è del tutto autonoma. Assume una pillola per la pressione e l’aspirinetta. E’ una signora minuta, tutta pelle e ossa che ha attraversato indenne l’intero ventesimo secolo, testimone diretta di due sanguinose guerre mondiali, che, insieme, hanno provocato più di una trentina di milioni di morti e la distruzione di intere nazioni e popoli; della diffusione della penicillina e dei vaccini, che continuano a salvare vite umane; dell’evoluzione dei trasporti, dal cavallo all’ aeroplano e ai veicoli spaziali che hanno condotto l’umanità sulla Luna, gli automi su Marte e Titano e che solo recentemente varcano i confini del sistema solare. Ha vissuto tutto questo, in prima persona! Chissà che potrebbe raccontare! La immagino, di sera, parlare ai bisnipoti degli ultimi regnanti d’Italia, della guerra partigiana e dei bombardamenti, di Carnera, Coppi e Pozzo, della mezzadria, dell’eroico medico condotto del paese che fece nascere i suoi figli e di Papa Giovanni XXIIIesimo. Gli stessi racconti dei miei nonni!
Margherita ha un aneurisma dell’aorta addominale, ovvero una bomba a orologeria nella pancia, pronta ad esplodere da un momento all’altro, provocando un’emorragia quasi sempre mortale. Quando integro, sarebbe anche operabile, in un soggetto più giovane, poiché le statistiche provano che i rischi di sottoporre un ultraottantenne a un tale intervento superano, di gran lunga, i benefici. Quindi, l’aneurisma rimane dov’è e quando si romperà -perché sicuramente si romperà, a meno che il portatore non muoia prima, per altre ragioni- si vedrà.
Un di’ Margherita si reca nell’orto… a zappare la terra, insieme con la figlia. Di pomeriggio, d’un tratto, s’accascia, in preda a un violento dolore addominale. La figlia, conoscendo la probabile causa, chiede immediatamente soccorso e Margherita giunge al dipartimento di emergenza e accettazione dell’ospedale di provincia più vicino, dove vengono praticati antidolorifici ed effettuate le indagini clinico-diagnostiche del caso, che confermano i sospetti di rottura dell’aneurisma. Le viene spiegato che la cura consiste proprio in quell’intervento sconsigliato in precedenza, cioè ancora in condizioni controllate, che ora sarebbe assai più problematico e rischioso, ma in assenza del quale non vi sarebbe sopravvivenza. Margherita chiede che comunque si tenti di salvarla. E così, il piccolo ospedale di periferia, sprovvisto di competenza specifica, contatta il centro cittadino di riferimento, cui trasferire il caso. Ricorderò sempre l’espressione quasi colpevole, nonché dimessa, del chirurgo vascolare che mi si fa incontro alle ore 22.00 circa, nel corridoio della sala operatoria, dopo aver preso accordi telefonici per il trattamento del caso, che, guardando in terra e allargando le braccia, mi dice: “Che ci posso fare? Me la mandano!”. Così operiamo e Margherita, dopo una esanguino-trasfusione, cioè la sostituzione di tutto il suo sangue con emotrasfusioni, alle ore 06.00 del mattino è seduta sulla barella antistante la sala operatoria, quasi pronta per raggiungere il reparto di chirurgia vascolare, dove rimane per circa un mese (giusto il tempo di guarire da una brutta polmonite insorta successivamente!) per poi tornare alla sua casa in campagna, dove, sei mesi dopo, festeggeremo il suo compleanno!
Ma ricordo altri particolari di quella vicenda, direi quasi surreale e incredibile, se non l’avessi vissuta in prima persona, nell’intima, consapevole e inspiegabile solitudine che si prova durante una lunga notte di guardia, soprattutto nella completa clausura di un blocco operatorio e nonostante si sia circondati dal resto dell’equipe chirurgica. Uno è la faccia divertita del nipote medico che, guardandomi un po’ di traverso, da dietro gli occhiali e con un sorriso sarcastico, sembrava voler dire “Fammi un po’ vedere quel pazzo furioso e incosciente che ha avuto il coraggio di portarla in sala operatoria!”, che è poi esattamente ciò che avrei pensato io al suo posto! In realtà era piacevolmente sorpreso nel ritrovarsi vivo il caro estinto, perché pensava che non avremmo operato.
Il secondo è un articolo di quattro colonne all’interno di un quotidiano di rilievo nazionale, uscito alcuni mesi dopo la nostra vicenda, dedicato non a Margherita, bensì a un ottantacinquenne operato per un aneurisma dell’aorta addominale cresciuto di dimensioni, ma non rotto, trattato in un policlinico,
con tanto di fotografia a centro pagina, del vecchino, seduto nel letto della terapia intensiva che, ahimè, morì alcuni giorni dopo. Margherita ebbe unicamente una colonna sul giornalino del paese, grazie alla nipote fotografa.
E pensare che noi volevamo pubblicare il case report sulla rivista medica
“Criminal Surgery”
Zarianto