comunicazione

Non lo so

Posted by Bruno on aprile 25, 2012
emozioni / 5 Commenti

Non è molto che lavoro in terapia intensiva ed ancora non riesco, e non so se ci riuscirò mai, a mantenere una certa distanza da te, che dall’altra parte del letto dove abbiamo messo tua moglie mi subissi di domande a cui non so dare risposte.

Non riesco a darti risposte, non perchè sono un infermiere e non posso comunicarti diagnosi, non perchè non conosca i meccanismi che hanno portato tua moglie da una banale febbre alla morte cerebrale, passando attraverso una meningite fulminante; non riesco a darti risposte perchè tu e tua moglie avete la mia età ed è difficile capire e farti capire come si possa morire per una febbre a trent’anni. Già da ieri mi ero fatto una idea di quale sarebbe stato il destino di tua moglie, ma non potevo dirtelo e quindi dovevo nascondere pensieri ed emozioni che avrebbero confermato quella sensazione che mi dici sentivi nella pancia.

Come ho visto fare da colleghi e medici, inizio ad usare termini medici come edema cerebrale, potenziali evocati, elettroencefalografia, che mi servono per continuare a parlare, perchè ho una paura fottuta che tu, inizi a dire quello che provi e che metta a nudo il mio senso di inadeguatezza, che tu faccia entrare in me il tuo dolore.

Forse il mio guscio è ancora troppo morbido, ma 5 minuti dopo le tue parole mi sommergono come un fiume giallo e denso nel quale non riesco a stare a galla, ma solo ad affondare sempre di più.

Ed il tuo dolore diventa anche mio, in un secondo i corsi su comunicazione diagnosi infauste, supporto ai parenti, distacco professionale, vengono cancellati come petali di ciliegio da un colpo più forte di vento.

Non riesco a guardarti negli occhi mi vergogno troppo.

Non posso neanche immaginare quanto tu stia male.

Mi chiedi perchè il linguaggio comune e quello medico siano così diversi, se uno ti dice che stanno provando a svegliare qualcuno, ti immagini che ci sia un miglioramento e che forse l’altro si sveglierà, non pensi che sia un test per valutare la gravità di un danno al cervello; se ti dicono che la situazione è stabile, pensi che la situazione non si sia aggravata, non che non ci sia più nulla da fare. Mi chiedi cosa ne sarà della tua vita di domani, come farai col vostro figlio di 4 anni, a cosa starà pensando tua moglie in questo momento, se può sentire la tua voce, se può percepire il tuo bacio sulla fronte.

Non lo so.

Mi dispiace.

Lei mie risposte perdono senso, ti sto rispondendo col cuore in mano e a fatica riesco a non farti notare il nodo che non permette all’aria di gonfiarmi i polmoni.

Esco dalla stanza, ma non riesco a smettere di pensare a quanto fragile sia il filo che tiene due persone che si amano insieme.

Finisco la guardia, tu hai deciso con un gesto di infinito amore di far vivere tua moglie nel corpo di altre persone che stanno male.

Torno a casa, spero che dimenticherò tutto e vado a dormire.

Al mattino davanti allo specchio di nuovo i polmoni non vogliono saperne di gonfiarsi e le lacrime escono senza nessuna smorfia del viso. Sento qualcosa dentro che non sarà più come prima, come se tu avessi scritto direttamente sulla mia anima.

Bruno

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