doti

Festa di Laurea

Posted by Charlietango on luglio 28, 2018
pensieri / Nessun commento
EP chiostro

foto di EP

Buonasera a tutti e benvenuti,
ci ritroviamo con piacere per festeggiare il conseguimento della laurea in medicina da parte di nostro figlio Alberto.
E’ appena il caso di dirvi che questo evento ci ha reso felici, emozionati e anche discretamente orgogliosi. E che senso ha provare una gioia così intensa se non puoi condividere questo stato d’animo così straordinario con coloro che stimi, a cui riservi un affetto particolare, gli amici.
Questo è il senso intimo di questo incontro: la condivisione di una grande gioia.
L’unica nota stonata è data dall’assenza del nonno materno Fernando che non è più tra noi e da quella dei nonni paterni, Ferdinando e Maddalena che stanno affrontando insieme – come hanno sempre fatto negli ultimi 60 e passa anni – le sofferenze della malattia e che purtroppo non gli permettono di stare insieme a noi. Ma sono fermamente convinto che tutti e tre, pur fisicamente assenti, gioiscano per il traguardo raggiunto dal loro nipote Alberto, al pari della nonna Maria Teresa, che è felicemente qui con noi.
Con la sua straordinaria arguzia Ennio Flaiano sottolineava che “i giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume“.
Sono d’accordo, il ricordo di alcuni giorni in particolare resta scolpito nella nostra mente e nel nostro spirito ed è innegabile che il giorno della laurea sia uno di questi. Ma il giorno della laurea in medicina riunisce ulteriori elementi indelebili nella vita di una persona: l’impegno solenne che il giovane medico contrae nei confronti dell’individuo e della società attraverso il giuramento di Ippocrate, assumendo delle specifiche responsabilità etiche e deontologiche.
State tranquilli, non continuerò parlando ancora di medicina in una occasione così gioiosa, ma dovete comprendermi: fin dalla mia laurea, che ricordo ancora perfettamente e con chiarezza di particolari, ho lavorato, ho vissuto buona parte della mia vita, non solo professionale, con i medici.
Anche tra voi presenti molti sono medici. Ne ho apprezzato le capacità professionali, la predisposizione culturale, gli entusiasmi e gli slanci umanitari, ne ho conosciuto il linguaggio specialistico che spesso ho mutuato, ma ho anche conosciuto i loro limiti, con i quali si devono spesso confrontare che sono quelli dati dalle possibilità della medicina e della finitezza dell’essere umano.
Non credo esista altra professione che risenta così drammaticamente di questi due elementi: ritengo che debbano essere coniugati con equilibrio, cercando di non incorrere in una loro sbagliata contrapposizione.
Ritorno al nostro Alberto, mi accodo umilmente all’augurio rivolto a lui e ai suoi colleghi laureandi dal Presidente della Commissione di laurea quando gli ricordava che oltre alle indispensabili capacità, avrebbero dovuto mettere in campo, senza mai dimenticarsene, la necessaria umanità.
Per cui caro Alberto, ora devi vivere la gioia e l’euforia dell’evento, ma ti prego anche io umilmente, sulla scorta anche delle straordinarie testimonianze umane e professionali dei miei amici medici, di non perdere mai l’umanità, la compassione, la comprensione, di non eliminare il contatto con chi soffre, di avere sempre il coraggio di guardare negli occhi chi sta male e di potervi entrare in relazione.
Non spegnere la speranza di dare il tuo contributo per poter migliorare il mondo.
Ti vogliamo un mondo di bene, mamma Claudia e papà

 

Charlietango

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una nuova strategia

Posted by il guardiano on ottobre 25, 2008
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Era meglio parlare chiaro. La mamma era in coma. Il dottore aveva impiegato un bel po’ a spiegare questa cosa al ragazzino. Aveva anche parlato di un nuovo tubicino che le avevano messo in testa. Sembrava una cosa dell’altro mondo. Un sensore proprio dentro il cervello. Chissà quali informazioni avrebbe potuto dare. Il ragazzino immaginava tutta una serie di onde, di segnali, di flussi che messi insieme avrebbero dato un quadro molto preciso della malattia della mamma. Una specie di tac (aveva già visto una tac) ma non degli organi, proprio dei pensieri. Così quando era entrato e aveva visto quel piccolo monitor che indicava un numero scritto grande, come per essere letto da un bambino dell’elementari, c’era rimasto un po’ male. Era molto più interessante l’altro monitor, quello colorato, o il ventilatore (anche quello gliel’avevano già spiegato). Comunque non disse niente. Non voleva offendere quel dottore che gli aveva fatto lo spiegone. Certo che avrebbe preferito qualcosa di un po’ più sofisticato per frugare nel cervello della mamma.

Il quadro dei papaveri era appeso proprio sopra al letto. L’infermiere che si occupava della mamma (c’era anche lui di là con il dottore), gli disse che era molto bello quel quadro. Gli disse che lui non sapeva disegnare neppure una casetta ed ammirava molto chi invece aveva queste doti (disse proprio la parola “doti” che colpì il ragazzino, perché era una di quelle parole che usavano spesso gli adulti per fare un complimento, senza accorgersi che non c’era niente da essere contenti a possedere una “dote”; era più una scocciatura che altro).
Tornando a casa pensò a quando avrebbe potuto raccontare tutto a Miriam. Immaginava i discorsi, le parole precise che le avrebbe detto, e le sue reazioni. Ogni piccolo gesto. Immaginava i loro sguardi aggrappati l’uno all’altro, e le loro bocche impigliate fra dolci parole . Immaginava il suo sorriso, e le sue risate. Poi improvvisamente, poco prima del bacio, la scena ritornava dall’inizio, e ricominciava tutto. Ma ad un certo punto si era accorto che c’era proprio poco da ridere in tutta quella faccenda. Con che scusa avrebbe potuto invitare Miriam? E come avrebbero pututo trascorrere un pomeriggio insieme a divertirsi? “Ciao Miriam, vieni a casa mia a vedere il crocifisso che ho appena finito di dipingere?” oppure “Mi spiace, ma devo proprio tornare a casa per le 5 – se potessimo baciarci entro quell’ora! Mia madre è all’ospedale, in coma, che mi aspetta…”
No, così, non avrebbe mai funzionato.

il guardiano

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